Andrea Chénier di scena, nella primavera del 1992 al Maggio Musicale Fiorentino. Il coreografo Evgenij Polyakov prese Simona Marchini la vestì di bianco, le mise in testa una parrucca verde: una pastorella nel primo atto dell’opera di Umberto Giordano, una pastorella che faceva piccoli movimenti molto chic. Il sovrintendente Massimo Bogiankino le disse: “Come sai stare in scena!”. “Beh, non so salire sulle punte, ma…” ride lei nel ricordare l’episodio giocoso e quegli uomini sopraffini. Pier Luigi Samaritani, scenografo, il suo amore, era il regista dello spettacolo e le aveva presentato Polyakov: “L’impatto sentimentale con Genia fu immediato. L’ho poi rivisto con l’amica Irina Strozzi. Ironico, spiritoso. Persona di una qualità straordinaria. È infinita la stima che Polyakov merita come artista”.

Simona Marchini, attrice dalla comicità trascinante, serissima nel vivere l’arte e l’impegno civile, è stata a Firenze per partecipare alla giornata di studi che l’Associazione "Evgenij Polyakov" ha dedicato al ballerino e coreografo russo. “Contro la tragedia culturale, contro le cadute che nella storia ci sono sempre state e ora sono tecnologiche quindi aggraziate, sofisticate, ma stanno facendo strage di cervelli, provocando l’estraniamento dell’uomo da se stesso, lo dicono gli scienziati, mantenere la memoria di persone di questa qualità è giusto. Non per nostalgia - conclude la Marchini -, ma perché ci incoraggia ad andare avanti: non siamo figli di nessuno. Nel seminare coscienza, nel parlare con il cuore qualcosa succede perché l’uomo ne ha bisogno. Se su dieci persone una la catturi, hai fatto il tuo dovere”.

Da trentadue anni, l’attrice romana cattura i cuori animando un centro culturale a Roma, la Nuova Pesa: “Spendo il sangue delle mie vene, infatti tutti sono terrorizzati che non ce la faccia in più”. Ricorda di aver pensato che fosse la fine, un giorno del 1987, alla visione del programma Colpo grosso condotto da Umberto Smaila su Italia 7, un gioco che si svolgeva in un studio televisivo-casinò più somigliante a un casino. La volgarità glorificata, spacciata per edificante. C’era dunque bisogno di scendere in campo per difendere i baluardi dell’umanità.

Ironico e spiritoso, due degli aggettivi che la Marchini sceglie per descrivere Polyakov, sono condivisi dai danzatori che hanno lavorato con il coreografo, amico e collaboratore di Rudolf Nureyev che ne riconobbe subito la statura e poi lo volle accanto nei suoi sei anni all’Opera di Parigi. Stimolati da Enrica Pontesilli e Silvia Brioschi, fondatrici dell'Associazione "Evgenij Polyakov" della quale sono presidente e vice presidente, i danzatori hanno descritto il loro Genia.

L’uomo che salta fuori è sfaccettato: autorevole, ma disponibile. Introverso, ma gentile. Libero e ribelle. Lunare e misterioso. Professionale e consapevole. Schietto (per alcuni, detto in camera caritatis, a volte fin troppo). Insostituibile, inestimabile, colto. Trasformativo e generoso. Nicoletta Benuzzi, cresciuta alla Scala, poi danzatrice di MaggioDanza (il nome della compagnia, tristemente sciolta, era di Polyakov) specifica di aver detto ‘generoso’ perché non trovava un’altra parola veramente adeguata: “Lui dava a ognuno la possibilità di esprimersi al meglio, ecco. Cercava ruoli e situazioni che valorizzavano un po’ ogni ballerino, aldilà delle gerarchie”.

“Per tutti noi è stato e continua a essere il Maestro” spiegano gli Amici di Genia Polyakov che ricercano e conservano il materiale sull’artista, raccolgono testimonianze, realizzano e diffondono iniziative per continuare in linea ideale il suo percorso umano e artistico. “È stato con noi a lungo, dispensando generosamente le sue energie fisiche e intellettuali nel trasmetterci la danza - spiegano - ci ha insegnato l’arte della danza attraverso l’estremo rigore, affrontando le difficoltà tecniche con intelligenza, ricercando un movimento puro e preciso, senza fronzoli, ma anche attraverso la gioia e la frivolezza, abbandonando gli stereotipi con folle leggerezza. Tutti noi abbiamo trovato insieme con lui la maniera migliore per esprimerci, ci siamo sperimentati, trovando ognuno il nostro peculiare modo di ballare. Da questo sentimento di stima e riconoscenza nasce l’associazione, con l’intento di conservare viva la sua memoria di uomo e di artista e di continuare a valorizzare il prezioso lavoro da lui svolto come ballerino, maestro, coreografo”.

Evgenij Polyakov era nato a Mosca nel 1943 ed è morto a Parigi nel 1996, sieropositivo, vittima dell’angoscia prima che dell’AIDS allora malattia nuova, disdicevole e inaffrontabile. Diplomato alla Scuola del Bol’šoj, con Alexej Yermolaev, ha interpretato i grandi ruoli di repertorio per poi diventare maître de ballet e coreografo. Non c’è che da raccogliere l’invito dei suoi amici per vederlo e rivederlo danzare. Ascoltare le sue interviste. Magari spunta un altro aggettivo per definirlo.