“Padre, perché quei bambini stanno piangendo?/Stanno solo piagnucolando, figlio mio/Il vero pianto è ancora da venire”. Mentre Nick Cave canta (più o meno) queste parole di “The weeping song”, a Lucca, i ragazzi delle prime file, che tra poco si catapulteranno sul palco, lo accompagnano in coro. Qualcuno sorride, altri hanno gli occhi sbarrati di fronte al proprio idolo, c’è chi dondola beato. Vicino a me sento anche una mezza risata. Mentre dagli altoparlanti esce una canzone dolorosa e disperata, come una lametta affilata sul cuore.

È complicato raccontare il concerto di Lucca, davvero, però sgombriamo subito il campo da qualsiasi possibile fraintendimento: è un grande concerto, con Nick in forma nonostante il caldo e i Bad Seeds che sferzano, spingono, abbagliano o si mettono in ombra a seconda della necessità (e con una misura perfetta).

La difficoltà sta nel descrivere quello che ormai sembra diventato il momento caratterizzante dei concerti di Cave dopo “Skeleton Tree” (e naturalmente dopo la morte del figlio Arthur): quel momento in cui fa salire sul palco decine di fan, per poi dirigerli con piglio autoritario: abbassando braccia altrui, spostando persone, pilotando cori e battiti di mani, togliendo di mezzo video(fonino)maker troppo invadenti. È una scena straniante che, come ha detto qualcuno, per certi versi trasforma Nick in un animatore da villaggio turistico, per altri lo fa sembrare un regista folle che dispone degli attori sulla scena come fossero pupazzi da muovere a proprio piacimento. E però allo stesso tempo sono esseri umani con cui inscena una simbiosi, da cui si fa toccare, abbracciare, e che tocca e abbraccia a sua volta. Mi ero chiesto, prima di vedere questo quadro raffigurato sul palco, che impressione mi avrebbe fatto. E improvvisamente, quando me lo sono trovato davanti, vedere quelle magliette sgargianti, quelle presenze inadeguate (e allo stesso tempo evidentemente necessarie per lui) in mezzo ai musicisti, quegli zainetti sulle spalle, quell’aria inebetita da “Guardate dove e sono e con chi sto in questo momento” mi ha fatto lo stesso effetto di una foto di David LaChapelle: tutto esagerato, e allo stesso tempo affascinante, perfino bello, almeno nel momento dello scatto. Confesso: preferirei che questa abitudine a un certo punto finisse, che il pubblico tornasse al suo posto, un metro e mezzo più in basso, perché non diventi un cliché, e sono sicuro che finirà. Ma intanto mi porto dietro le sensazioni di una serata che può accarezzarti o prenderti a schiaffi, estasiarti o riempirti di dubbi, ma non lasciarti indifferente.

Lo capiamo presto, dalle prime note di “Magneto”, che segue “Jesus alone” nella scaletta, che ci è toccata una notte senza mezze misure, con un Nick Cave indiavolato fin da subito. L’esplosione vera arriva dopo qualche brano, quando si torna indietro ai tempi di “From her to eternity”, salutata dal pubblico con un’ovazione, che porta un crescente fragore, una rabbia distorta capace di scuotere e lasciare storditi ed eccitati al tempo stesso. Dopo “Loverman”, che viene eseguita in alternativa a “The mercy seat” (la perla mancante della serata) è la campana di “Red right hand” a dare la misura di una furia che sembra sempre placarsi, per poi riportare lo sconquasso.

La fase dedicata alle ballad si apre con una versione rallentata di “The ship song”, mentre “Into my arms” è più fedele all’originale, con Nick a scandire le parole: “Non credo in un Dio interventista/ma so, cara, che tu ci credi”. Quel Dio che non esiste nella vita e nelle convinzioni del cantautore australiano, ma che invece permea il mondo delle sue canzoni. E a pensarci bene questo concerto ha un che di messianico. A un certo punto qualcuno dal pubblico dice che ha sete, e Nick lancia lì in mezzo due bottiglie d’acqua, intimando: “Condividetele con la moltitudine”, come se fosse capace di moltiplicare pani, pesci e bottiglie da un litro e mezzo (e infatti fa una battuta su questo).

“Shoot me down”, riportata alla luce dalla recente compilation “Lovely creatures” è una piccola perla nel vasto mondo delle B-Sides e rarità. “Girl in amber” forse non arriva con la stessa intensità che ha in “Skeleton Tree” e “Distant sky” è il momento più traballante, con quel duetto virtuale che stenta a funzionare, e sembra sempre sopra le righe. Anche qui però viene in aiuto la stessa sensazione che suscitano gli “intrusi” sul palco: un tono volutamente esagerato, che lambisce il kitsch, e che certamente va letto – almeno riguardo alle intenzioni – tenendo presente il percorso artistico più recente.

“Tupelo” riporta la temperatura in cima alla colonnina, mentre “Deanna”, che non era nella setlist ufficiale, viene eseguita per accontentare uno spettatore della prima fila. “Qualcuno di voi si ricorda questo pezzo?” chiede Cave ai Bad Seeds, e naturalmente ne viene fuori uno dei momenti più sporchi, ruvidi e autenticamente energici della serata. Ormai Nick ci tiene tutti tra le mani, non solo quelli schiacciati alle transenne della passerella percorsa centinaia di volte, ma anche noialtri a qualche decina di metri: “Jubilee street” e “The weeping song” riportano una calma del tutto instabile, “Stagger Lee” è una mano infilata nella presa di corrente, come al solito, ed è il momento in cui si verifica l’invasione di palco. Poco dopo, cantando una versione eccellente di “Push the sky away”, il padrone della piazza invita il pubblico a spingere il cielo verso l’alto con le mani, in un gesto comandato, coreografico, ancora una volta meravigliosamente esagerato.

È l’ultimo brano prima dei due bis. Nel frattempo si fa ordine sul palco, scende la piccola folla e rientrano i musicisti, scomparsi solo per un minuto. Ne mancano una manciata, di minuti, prima che “Rings of Saturn” ci mandi a casa un po’ storditi, lasciandoci la voglia di capire fino in fondo quello che è successo, senza essere sicuri di riuscirci.

Setlist
Jesus Alone
Magneto
Do you love me?
From her to eternity
Loverman
Red right hand
The ship song
Into my arms
Shoot me down
Girl in amber
Distant sky
Tupelo
Deanna
Jubilee Street
The weeping song Stagger Lee
Push the sky away
Encore
City of refuge
Rings of Saturn