Compie 30 anni L’apparenza di Lucio Battisti, il primo disco in senso stretto (cromaticamente parlando) dei cosiddetti “bianchi”, ossia gli album della collaborazione con il poeta sperimentale Pasquale Panella per la parte dei testi (l’unico dei 5 dischi della coppia che presenta la copertina di un colore diverso, beige, è infatti il capostipite Don Giovanni del 1986). Pubblicato il 7 ottobre del 1988, sugli scaffali L’apparenza si presenta con una veste grafica ancor più essenziale rispetto a quella del precedente LP: un altro disegno del musicista che questa volta raffigura una sorta di credenza realizzata con un semplice tratto di penna, su sfondo completamente bianco (disegno visibile per intero solo nel formato del 33 giri e tagliato nelle versioni in cd e musicassetta seguendo il motto panelliano, ostile alle riduzioni, del “quanto ce n’entra”; le edizioni rimasterizzate del 2018 invece vengono meno a tale precetto filosofico-artistico riducendo il tutto).

L’apparenza fra l’altro è il primo nuovo lavoro del cantante a uscire su Compact Disc, supporto che nel mercato discografico all’epoca cominciava a sostituirsi al vinile, e l’ultimo, per una parentesi di sei anni, a portare il marchio Numero Uno, l’etichetta per cui Battisti incideva dal 1971. Aspetto importantissimo, sulla busta interna, contenente le sintetiche indicazioni sui collaboratori insieme ai titoli dei brani, per la prima volta dal 1974 non sono compresi i testi delle canzoni: più che la volontà di non rivelare, probabilmente la scelta di mettere in primissimo piano durante l’ascolto la ricercata sintesi tra parola e musica (vera “pietra filosofale” del “secondo” Battisti). Su tutto, L’apparenza avvierà la consuetudine del termine del biennio tra l’uscita di un album e l’altro, abitudine che si protrarrà sino al 1994 con scadenze sempre più regolari. È l’ultimo disco della coppia Battisti-Panella a raggiungere la vetta della classifica di vendite.

Un capitolo fondamentale insomma per la comprensione del progetto artistico del Lucio Battisti post Mogol ma allo stesso tempo un’opera di un fascino sublime, da sindrome di Stendhal, per l’architettura sonora e le note che la compongono, per l’estetica sensibile del cantato, vivo in ciascuna parola, anzi in ciascuna sillaba, per il palpabile entusiasmo di sperimentare con scrittura e tecnologia e per i versi che creano e connettono realtà e significati nuovi, offrendo una ricchezza lessicale inedita nel mondo della canzone italiana. Come quadro d’insieme, L’apparenza sembra confermare le scelte attuate con Don Giovanni: le canzoni sono ancora otto, i testi di Pasquale Panella sono liberi nella versificazione, ma mantengono il già collaudato stile sempre più lontano dalla descrizione dell’evidenza, e le musiche di Lucio Battisti sono un’altra volta ricche di quelle aperture melodiche a cui manca soltanto una classica forma strofa – ritornello (non criptata) per tornare alla cantabilità delle sue composizioni di maggior successo. Da questo momento in avanti Battisti compone le musiche sui testi (liberi da qualsiasi schema metrico) che Panella di volta in volta gli fornisce: ciò porta frase musicale e verso a non coincidere più, fatta eccezione per l’apertura con A portata di mano, composizione durchkomponiert che sviluppa di continuo la propria linea melodica insieme al testo (sostanzialmente ad ogni nuova porzione di testo corrisponde nuova musica).

Un “unicum” in tutta la produzione battistiana. Quello de L’apparenza è un Battisti ancora più sicuro e preparato, un Battisti che ha affinato al massimo la pronuncia e che ha raggiunto una nuova dimensione della sua vocalità e che padroneggia in modo incredibile gli ultimi ritrovati della tecnologia musicale, strumenti, interfacce e macchine di ogni tipo. Assieme ai timbri elettronici (le tastiere sono accreditate a Robyn Smith, produttore e arrangiatore del lavoro, il quale suona anche chitarre ed Ewii) nell’organico sono presenti un’orchestra (diretta da Gavyn Wright) e una chitarra acustica (suonata da Mitch Dalton), che però non si sentono distintamente: le tastiere e i suoni sintetizzati il più delle volte tendono a tenere in ombra i pochi veri strumenti del disco, il che appunto rientra in una precisa ricerca estetica.

Con un ascolto ben mirato ci si accorge poi che l’orchestra viene mantenuta ad un volume molto basso e che compare, oltretutto, in punti in cui suonano già i timbri d’archi delle tastiere; la stessa cosa accade con la chitarra, che è appena percepibile, ma molto studiata anche nel completamento dell’armonia: succede infatti, ascoltando bene, di sentire alcune singole note che arricchiscono, tramite particolari intervalli, gli accordi (per esempio nella title track). Concludendo: ora, per distinguere bene la linea vocale e le parole è necessario un preciso esame, non potendo più contare sull’ausilio dei testi, e la stessa cosa va fatta se si vogliono riascoltare nelle canzoni di Battisti quegli elementi timbrici classici che avevano avuto il ruolo di protagonisti nel passato. È necessario quindi un attento lavoro di decifrazione.

Ne L’apparenza viene portata ai massimi livelli la sperimentazione sulla struttura dei brani (anche quando rispondono alle consuete suddivisioni e ripetizioni) e in più viene indicata nitidamente la strada da prendere nel trattamento della parte vocale e della parte strumentale per i successivi album. Tratto specifico de L’apparenza è insomma l’impenetrabilità dell’intreccio tra la trama dei suoni elettronici e l’ordito dei timbri campionati che, come già rilevato, soffoca i pochi “superstiti” del tipico organico cantautoriale. La qual cosa rende l’impasto inconfondibilmente omogeneo e, al tempo stesso, frustra qualsiasi tipo di analisi “tradizionale” dei singoli brani. Tuttavia, prendendo ad es. la canzone omonima del disco, si può riscontrare l’elevarsi sull’organico di un piano ora ad accordi pieni, ora ad accordi arpeggiati, ora in contrappunto con la voce: piano che fa per di più da solista nell’interludio strumentale. In genere, però, sono il basso e la batteria (spesso costruita su un’unica e articolata figura ritmica) a sorreggere le innumerevoli parti di pad (tappeti sonori di sintetizzatori), di archi e di suoni sintetici, senza che vi sia uno “strumento guida”.

Con l’album L’apparenza viene esplicitato il “fine ultimo” della nuova ricerca: ossia la perfetta fusione di tutti gli elementi. Sia Battisti che Panella cercano libertà all’interno delle convenzioni della forma canzone, l’uno dal punto di vista del suono, l’altro delle possibilità di significato della parola, mai uno soltanto. Ogni brano del disco risulta fondamentale: dalla sperimentazione massima sulla struttura della succitata ouverture, A portata di mano, esempio di genio puro che dà vita ad un’unica grande linea melodica in volo su di un suono all’insegna della “spazialità” (di echi, di note sgranate, di tappeti sonori), al raffinato “lirismo” di Specchi opposti e a una “quadratura” che altera l’ordine tra inciso e strofa, recuperato nei suoi equilibri “classici” dalla successiva, e comunque mai scontata, Allontanando; dall’architettura perfetta della title track e un cantato che è un campionario di nuove “emozioni”, all’irresistibile incedere ciclico (con le sue metafore testuali) di Per altri motivi, che trova un ulteriore modo (inedito) di giocare con gli elementi all’interno delle forme conosciute; da Per nome, esempio che per melodia, cantabilità e forma è quanto di più vicino esista al “primo” Battisti, un potenziale hit radiofonico, alla finezza di scrittura e al clima “orchestrale”, pronto ad esplodere in un improvviso ritornello dall’indole rock, di Dalle prime battute, fino alla conclusiva e vivace Lo scenario, anch’essa tutto sommato rispettosa dell’impianto tradizionale della canzone, ma senza farlo capire.

Nei lavori degli anni Novanta verranno riproposti gli schemi fin qui sperimentati con una certa tendenza alla “semplificazione”: si torna a una regolarità di struttura più percepibile e la canzone, con tutta la sua capacità melodica, entra in territori sonori completamente nuovi quali techno, hip-hop, jungle e drum ’n’ bass. Gli strumenti reali vengono via via diradati e resi sempre meno percepibili all’orecchio. Le linee di questo sviluppo progettuale appaiono con chiarezza proprio dentro L’apparenza.