Terry Gilliam con la nuova pellicola riesce a esaudire uno dei suoi sogni nel cassetto, un progetto che viene realizzato dopo 25 anni di gestazione, L’Uomo che Uccise Don Chisciotte. Come ha fatto in altre opere, Gilliam racconta la volontà di sopraffazione dell’uomo sull’uomo, come si può ricordare in film quali Brazil, L’Esercito delle 12 Scimmie e Zero Theorem. In questo ritratto non tanto distopico è il regista stesso a mettersi in discussione e a rivelarsi come il Don Chisciotte di Hollywood.

Partiamo con calma però. Fin dalle prime scene si assiste al nostro protagonista, per l’appunto un regista cinematografico, che viene servito e riverito da tutti: già da qui si capisce benissimo che il tema del potere e dell’autorità sono centrali. Il protagonista sta attraversando un periodo di crisi esistenziale, non capisce bene come proseguire il suo lavoro ed è finito a girare uno spot in un paesino dove anni prima era stato per realizzare il suo primo cortometraggio. Così si ritrova ad affrontare il passato, a confrontarsi con ciò che ha seminato nella giovinezza, verificando che tutti i suoi amici, sono caduti in disgrazia.

Il nostro protagonista, in cui lo stesso Terry Gilliam si cala, cerca di risolvere la situazione, ma in realtà è solo una battaglia contro i mulini a vento, proprio come fa il caro Don Chisciotte della Mancia. Terry Gilliam cerca di comunicarci che nonostante la sua insistenza, come anche quella di altri suoi egregi colleghi, di rivelare la natura umana, di denunciarla e di far passare il messaggio “riflettiamo e cambiamo”, è una battaglia inutile, uno scontrarsi contro i mulini a vento, contro le sacche del vino. In una società dell’apparenza, dell’opportunismo, dove le donne si sentono costrette a scegliere uomini orrendi solo per riuscire a elevare il proprio status e dove uomini di potere possono permettersi di comportarsi come preferiscono, incuranti della vita altrui, si capisce che la battaglia di denuncia di Terry Gilliam come quella di altri registi sembra davvero tempo perso, in un periodo dove la cavalleria è scomparsa e rimane solo il vuoto del denaro e il piacere della crudeltà.

Lo stesso Terry Gilliam racconta ai giornali: "Per me il cinema è la cosa che ho vissuto fin da ragazzo: entrare in una grande sala buia e vedere cose fantastiche che erano meglio della mia vita, cose magnifiche e totalmente nuove per me. Questo era quello che mi piaceva del cinema, esiste ancora? Non lo so". Il giornalista lo incalza: "E qual è la storia che vorrebbe raccontare oggi?". "Non lo so, questo è il mio grande problema. Non ho storie che vorrei raccontare. Sto continuando a cercare, leggo di tutto alla ricerca di ispirazione. Sono confuso: il mondo è molto cambiato. Forse non ho più storie da raccontare".

Chissà che i tempi cambino e torni in Terry Gilliam la voglia di narrare ancora, d’altronde ha dichiarato ai giornali: "Mi sono identificato in Don Chisciotte e nel suo creatore, solo che lui credeva che la letteratura potesse migliorare l’umanità e io credo che lo possa fare il cinema". La speranza è l'ultima a morire.