A volte chiamata amichevolmente Jam, a volte Session, la Jam Session è un universo a sé e uno dei modi più emozionanti per avvicinarsi al jazz.

Solitamente la serata è divisa in due parti: nella prima, quella che viene chiamata la “House Rhythm Section” (piano o chitarra, basso e batteria a volte affiancata da un solista) propone un vero e proprio breve concerto e dopo la pausa ha inizio la jam session vera e propria, in cui qualunque musicista può salire sul palco e suonare. È una serata in cui il line up (cioè i componenti dei vari gruppi che si avvicendano sul palco) è improvvisato, il che significa che spesso i musicisti si ritrovano a suonare assieme per la prima volta, e questo rende ogni serata unica e irripetibile.

A questo punto della mia volonterosa spiegazione, la domanda che quasi invariabilmente mi viene posta è sempre la stessa: “Quindi ognuno può salire sul palco e suonare quel che gli pare?”. NO. Ci mancherebbe altro. Per potere suonare assieme bisogna essere in grado di fare gioco di squadra e il gioco di squadra presuppone, oltre a una serie di competenze individuali, la conoscenza e il rispetto di una serie di regole: come in una partita di calcio, il gioco funziona a patto che i giocatori sappiano come muoversi, e il livello qualitativo della partita dipende dalla bravura dei giocatori. Se non ci aveste mai fatto caso, in inglese per dire giocare e suonare si usa la stessa parola: play.

Il campo di gioco di una jam session è quello degli standard, che sono un paio di centinaia di brani che col tempo sono divenuti dei classici della musica jazz. Originariamente gran parte di questo materiale è stato scritto dai grandi autori dei musical di Broadway e dei film musicali di Hollywood nel periodo che va dagli anni '20 agli anni '50: erano compositori geniali, da Rodgers e Hart ai fratelli Gershwin, da Cole Porter a Irving Berlin.

Nel corso degli anni i jazzisti hanno usato questo materiale traendone ispirazione e reinterpretandolo, variandone la melodia, l’armonia, la parte ritmica, e usandolo come piattaforma per l’improvvisazione; è un po’ quello che si fa oggi nel pop con le cover, in cui parte della canzone rimane fedele alla composizione originale -il che ci permette di riconoscerla - ma il contesto cambia, a volte radicalmente. Nel jazz, la reinterpretazione di un brano è creazione di un nuovo arrangiamento in tempo reale, e l’improvvisazione altro non è che composizione in tempo reale. Questa è la più importante e affascinante caratteristica del jazz: ogni musicista non è un mero esecutore ma è in grado di rielaborare ciò che suona facendolo proprio.

Spesso mi sono sentita dire che il jazz è musica troppo complicata. E continuo a domandarmi perché nessuno definisca tale la musica di Beethoven o i libri di Dostoevskij. Il jazz non è complicato, è complesso. Ed è proprio questa caratteristica a renderlo straordinariamente interessante e vitale. Non è musica da sottofondo, è musica che richiede e pretende di essere ascoltata, che coinvolge sia chi la suona e chi la ascolta a livello intellettuale, emotivo e fisico. Il problema casomai è il fatto che vivendo in una società in cui la capacità di concentrazione è scarsissima, le persone non sono più in grado di ascoltare. L’apparente difficoltà di ascolto non è che la diretta conseguenza della diffusa incapacità di essere presenti e consapevoli, di farsi coinvolgere abbandonandosi alle proprie sensazioni.

Il jazz non è il panino del macdonald, è roba da 5 portate accompagnate dai vini giusti. E allora, lasciate perdere il fast-food musicale a cui siete stati abituati e imparate ad ascoltare, con tutti i sensi aperti. Andate a una jam session e aprite non solo le orecchie, ma le porte della vostra immaginazione. Di che colore è il pezzo che state sentendo? Guardate il batterista, e cercate di seguire quello che fa con quattro arti che si muovono indipendentemente, improvvisamente sarete in grado di distinguere suoni e ritmi diversi. Chiudete gli occhi e focalizzate completamente la vostra attenzione sul contrabbasso: magicamente tutta la musica inizierà a ruotare attorno al suono di questo strumento straordinario e poco appariscente. Ascoltate il pianista, e guardate come ciò che suona viene riflesso in movimenti corporei a volte impercettibili, a volte evidenti.

Fatevi coinvolgere, battete le mani, urlate e fischiate come se foste a un concerto rock, commuovetevi, emozionatevi, perché:

Il jazz è la rivolta dell'emozione contro la repressione.

(Joel A, Rogers)