Con il nuovo album Inexorable in uscita a inizio anno, abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con uno dei protagonisti di maggior spicco della scena italiana degli ultimi lustri. Giulio Casale è stato a lungo frontman degli Estra, per poi passare alla carriera solista, a una moltitudine poliedrica di spettacoli teatrali e alla scrittura di poesie. Scopriamo insieme cosa l’ha portato a questo nuovo, quarto lavoro, dove il brano d’autore raffinato si fonde con arrangiamenti contemporanei…

A tanti anni da Sullo Zero e dalla nostra prima intervista, inizio col chiederti il motivo che ti ha spinto a scrivere una breve introduzione per ogni singolo brano. Sembra quasi di trovarsi al cospetto di tanti piccoli cortometraggi…

Beh, può anche essere (ride). Cerco sempre di metterci così tanto dentro ogni singola canzone... Poi non è che io debba spiegare alcunché, e spesso le intenzioni dell’autore non coincidono col sentire dell’ascoltatore (del lettore, dello spettatore, ecc.). Si tratta comunque e sempre di far risuonare la nostra epoca, tanto a livello di sound quanto a livello poetico. Le introduzioni contestualizzano appena. C’è così tanta solitudine in ogni volto che incontro (e proprio nel primo momento storico del “tutti connessi”), nel disco in fondo canto questo enorme spaesamento di sentimenti e di ideali e insieme la voglia, il bisogno profondo di rimanere se stessi, nonostante tutta la brutalità dilagante, nonostante tutto direi. Cioè a ben vedere ancora una volta: contro tutto “il ragionevole”.

Negli anni hai sperimentato a teatro molte forme comunicative diverse. Quasi un viaggio parallelo al tuo, da musicista. Anni fa parlammo del tuo sentirti vicino all’opera di Carmelo Bene. È ancora così? Suppongo altri Maestri si siano, nel tempo, avvicinati al tuo cammino…

Sì, di Maestri ne ho avuti e frequentati anche troppi, per un uomo solo, per una vita sola… Ora credo sia venuto il momento, per tutti, di non voltarsi più indietro, di non perpetuare un revival che può solo continuare a svalutare il nostro presente, costringendolo a essere più misero di quanto non sarebbe, o non è. Apparentemente il mercato non concede più spazio oggi (almeno in Italia) per linguaggi e ricerche davvero originali. Ma non per questo rinunceremo a provarci. No?

Trovi ci siano sostanziali differenze nel tuo accostarti a un mezzo anziché a un altro? Penso agli spettacoli ispirati a Gaber, ai tuoi libri di poesie e a questo album di inediti in uscita.

Certo che ce ne sono, ma hanno più a che fare col mezzo, col “medium” scelto di volta in volta che non con la mia essenza. In questi anni ci sono stati momenti a teatro in cui a livello di contenuti sono stato certamente più dirompente che al tempo degli Estra per esempio, ma il modo, la forma scelta (e provata e riprovata, e approfondita) poteva invece sembrare a qualcuno più accomodante… C’è molta continuità in quello che faccio ma ammetto che per chi mi segue non sia sempre facile riconoscerla… Poi però c’è sempre la mia voce, e il mio corpo, tanta fisicità. La continuità è qui (s’indica il petto, il cuore).

Il richiamo a Michel Houellebecq, nel titolo Inexorable, quali corde ti auspichi tocchi nel futuro ascoltatore?

Nessuna (ride)… Non è necessario aver letto tanto… Però aiuta! Posso garantire. A me commuove quella parola, quell’aggettivo, valido tanto in inglese quanto in francese. È un richiamo anche, un’invocazione, e insieme una magia, un incantesimo di salute ed energia luminosa inesauribile. Il vento cui lui allude in quella poesia spazzerebbe via tutto questo nero. Non smetterebbe mai. Mai più. Anche a un certo Céline sarebbe piaciuto.

Puoi già anticiparci qualcosa sulla struttura del tour che porterai in giro per la penisola con Alessandro Grazian?

Oh sì, ecco: sarà il contrario di un concerto acustico. Il contrario dell’unplugged. Bisogna venirci e basta, e poi un po’ vi stupirete.