Il grande regista Krzysztof Zanussi, conteso da molti festival cinematografici nella duplice veste di film maker e di membro di giuria, è arrivato al Trieste Film Festival, che festeggia il trentennale con un suo film, Eter. Ha dichiarato che un festival come questo non se lo voleva certo perdere, visto che è ancora immune dalla deriva di molti altri eventi cinematografici, che costringono i cineasti ad affrontare argomenti di moda (fuori moda il buco dell’ozono, ok per il cancro), pena l’esclusione dal festival. Ciò comporta - ha spiegato Zanussi - un intralcio alla libera creatività e, anche, meno possibilità di scoprire nuovi autori. Ha riconosciuto a questo Festival l'aver conservato l’apertura a molte sperimentazioni.

Fra le novità, in contemporanea alle proiezioni, GoCritic!,il primo programma europeo di formazione per giovani giornalisti e critici cinematografici, organizzato da Cineuropa e da alcuni cinefestival europei. La formazione, dopo il Festival, prosegue on line con un periodo di tutoraggio. Un'altra novità è l’uso diffuso di disegni animati in diversi film, come in Un genocidio minore, Chris the Swiss e Ruben Brant, il Collezionista.

Questo 2019 è un doppio anniversario: il trentennale della prima edizione del Trieste Film Festival e, insieme, la caduta del muro di Berlino. L’interesse iniziale verso l’Europa centro-orientale, da cui è scaturita la creazione di questo Festival si è ampliato negli anni verso paesi poco conosciuti in Italia, dando luogo a racconti di grandi maestri del Cinema di un’Europa spesso filmata nei suoi risvolti più oscuri. Il muro di Berlino lo si racconta qui ripescando capolavori comici (Uno, Due, Tre di Billy Wilder, 1961); Totò e Peppino divisi a Berlino di Giorgio Bianchi, 1962) e altri drammatici (Rabbit à la Berlin di Bartek Konopka-2009, e Possession di Andrzej Zulawski, 1981).

Negli otto giorni, con un'alternanza di un sole luminoso e di un cielo corrusco, con refoli di bora, i tanti argomenti svolti nei film e negli incontri erano strutturati in sei percorsi tematici molto attuali: Confini e Nuovi Muri, Donne Sbagliate, Conflitti Europei (suddivisi in Balcanici, della Grande Guerra e della Seconda guerra mondiale), Cinema per i Giovani. Ultimo, il meno espressivo, Racconti dal Novecento.

Si potevano approfondire anche altre tematiche: film imperniati sul chattare in Internet tessendo rapporti virtuali che non sempre sfociano in conoscenze de visu (Like me back; My home in Libia); film più propriamente politici (Hungary 2018 sull’elezione di Viktor Orbàn; Svideteli Putina, sulla transizione fra Eltsin e Putin; Donbass sulle lotte intestine in Ucraina, dominate da un cieco fanatismo); film storici (Okupacia 1968, cinque cortometraggi di cinque registi cui è stato chiesto di descrivere, a 50 anni di distanza, l’atteggiamento degli occupanti della Cecoslovacchia nel 1968; I Leoni di Lissa, un modo nuovo di far riemergere la Storia; Meeting Gorbachev, che getta una luce nuova su alcuni degli avvenimenti più significativi della fine del XX secolo, dal disarmo nucleare all’unificazione della Germania); Retrospettive, film selezionati dal Festival e che ancora oggi risultano attuali - un esempio Rezervni Deli - Pezzi di Ricambio del 2003, sull’emigrazione clandestina e il commercio di esseri umani fra Croazia e Italia, fenomeno in pieno sviluppo ma di cui allora nessuno sapeva.

La retrospettiva ci ha anche regalato Simon Màgus del 1999, in Concorso all’XIa edizione. È inserito per far gioire il pubblico, dopo molti film intensi, di grande interesse, ma spesso amari, tragici o cupi. Dominato da levità e bellezza, sospeso in un luogo che passa in secondo piano rispetto al rapporto fra la ragazza e il mago che se ne è innamorato. Anche Nordrand - Periferia Nord - del 1999, sebbene abbia sullo sfondo la guerra, è un racconto tenerissimo, venato di ottimismo. Quattro ragazzi di vari paesi, confluiti in Austria dopo la caduta del muro, fra molte difficoltà riescono tutti a trovare la loro strada. Anche se con la malinconia di aver visto sfumare una maggior coesione fra i popoli in cui la caduta del Muro aveva inizialmente fatto sperare.

Il manifesto del Festival è una bella fotografia di Isabelle Adjani, scattata nel 1980 da Dominique Isserman in una pausa del film Possession di Andrzej Zulawski. Scena in bilico fra libertà e chiusura, Isabelle che salta alla corda sullo sfondo del Muro, col sole che lo scavalca per illuminarle il viso.