Il filosofo e musicologo Theodor Adorno intuì che la musica contemporanea si stava dirigendo verso una notte senza fine e proprio in uno dei suoi libri più famosi afferma lapidario: “E presto sarà notte”. Ma la “notte” della musica contemporanea si rischiara quando un direttore d’orchestra come Marco Angius, attualmente alla direzione dell’Orchestra di Padova e del Veneto, riesce a costruire un programma da sold-out che invoglia il pubblico ad avvicinarsi a un capitolo fondamentale della musica del Novecento.

Anticonformista negli abbinamenti, Angius nei suoi concerti colloca Sciarrino con Mozart, Berio con Brahms. Per il direttore dell’Orchestra di Padova e del Veneto la musica non ha confini temporali, non deve subire il pregiudizio per cui il classico sovrasti il contemporaneo o viceversa. Anche se i tempi attuali non vedono emergere novità in campo musicale e il panorama è desolante. “Oggi siamo in una fase regressiva - ammette - in cui si tende a recuperare stilemi del passato come consolazione di un presente un po' disarmante per quanto concerne l’arte, in cui la tecnologia ha preso il posto dell’arte e, quindi, dell’uomo”.

Dal suo osservatorio privilegiato, in questa intervista in esclusiva per Wall Street International Magazine, Angius racconta che il futuro della musica è nel teatro musicale, nella via intrapresa da Giorgio Battistelli, altro protagonista della stagione dell’Orchestra di Padova e del Veneto, compositore riconosciuto a livello mondiale. Se Angius ha sdoganato la musica contemporanea rendendola fruibile e conquistando anche il pubblico dei non addetti ai lavori, nel futuro tornerà l’Ottocento riletto, però, in una chiave più originale, senza retorica e soprattutto senza preclusioni. E l’analisi del Maestro muove proprio dalle parole di Adorno, da una notte in cui anche la musica “colta” nell’era della tecnologia facile è diventata semplicemente un oggetto di consumo.

“Siamo arrivati a una musica che si vende ai gusti del pubblico; è una musica che si può comprare come qualsiasi prodotto. Questo è il binomio della civiltà attuale da cui non si esce - avverte ancora - o si è puri, ma staccati dal mondo, oppure ci si contamina accettando tutte le conseguenze”.

E lei, maestro, dove si colloca?

“Al centro ovviamente. A parte gli scherzi è la logica del pensiero che determina la modernità e non il prodotto, perché quello che vediamo oggi non sembra né nuovo, né così contemporaneo. Noi pensiamo che la rivoluzione ci sia stata nel 1968, ma in realtà nell’Ottocento ci sono state molte rivoluzioni e anche nel Settecento c’è stata la Rivoluzione Francese, l’Illuminismo, il marchese De Sade. Siamo, insomma, abituati troppo a pensare per categorie classicistiche”.

Etichettare l’arte non è un modus operandi apprezzato da chi si occupa di ricerca seria. E Angius appartiene a questa schiera. “Personalmente, tendo a vedere continuità tra quello che è il passato della musica e quello che è il presente della musica. Non, quindi, in una dimensione di categorie storicistiche o di contenitori o di generi. Perché la musica contemporanea è considerata un genere, come può esserlo il jazz o la musica classica. C’è un discorso di ricerca artistica e musicale e c’è un discorso, invece, di pubblico e in questo caso chi fa la programmazione artistica, deve essere molto attento e sensibile al dialogo con il pubblico e, soprattutto, a evitare di compiacerlo”.

Eppure, nel nostro Paese permane una sorta di timore reverenziale per la musica contemporanea che si legge come astrusa e incomprensibile. “La musica contemporanea in Italia - puntualizza Angius - viene considerata quasi in modo ostile rispetto alla ricezione del pubblico. La sfida che ho voluto intraprendere è stata proprio quella di dimostrare il contrario. Dimostrare, invece, la portata costruttiva, divulgativa e di ricchezza culturale che è insita in questo tipo di musica”.

Ma esiste ancora il concetto di musica contemporanea?

“La musica contemporanea è diventata un fatto archeologico - evidenzia Angius - la musica di ricerca sperimentale che abbiamo conosciuto negli anni ‘60, ’70 e ‘80 ha avuto una parabola che poi si è estinta. Per questo, oggi abbiamo una serie di personalità che scrivono musica, ma non un vero pensiero di rottura o di trasformazione, come era stata la musica sperimentale degli anni ‘60 e ‘70”.

Ecco perché il percorso intrapreso da Angius con l’Orchestra di Padova e del Veneto è quello di riportare al centro del dibattito la musica frutto di ricerca e di approfondimento culturale, un viatico per comprendere come l’arte sia il risultato di un viaggio multidisciplinare. “Le scelte operate con l’Orchestra di Padova e del Veneto sono state nella direzione di non avere un approccio integralista, ma trasversale, offerto da una serie di opere realizzate anche da compositori viventi, che però hanno riletto il passato. Questo è stato il mio punto di partenza; mi riferisco a compositori come Sciarrino rispetto a Mozart, oppure Berio rispetto a Brahms o Fedele rispetto al Classicismo viennese. Sono i protagonisti delle Lezioni di suono, questa serie fortunata che è stata ritrasmessa recentemente da Rai 5. Una formula che ha avuto un notevole riscontro da parte del pubblico e ha dato slancio all’Orchestra stessa che veniva da un periodo di stagnazione. Ha ridato vitalità e curiosità giunte nel momento giusto. E tornando al contemporaneo, certe volte c’è più pregiudizio da parte dei musicisti che non da parte del pubblico che è sempre curioso di ascoltare qualcosa che non trova altrove e questo è l’obiettivo principale che perseguo con l’Orchestra di Padova e del Veneto”.