Per vedere nel modo giusto il film di Grϋning, strutturato in 60 capitoli, quasi le immagini fossero pagine di un libro, occorre molta pazienza. Il ritmo è imposto dal regista. Vietato volerlo più accelerato, vietato cominciare ad agitarsi e a sbuffare. Il risultato è di poter vivere, per il tempo del film, l'atmosfera in cui è immersa ventiquattr'ore su ventiquattro una moglie vittima di violenza domestica. Il disagio non è subito palese, gli inizi sono scene di una famiglia di tre persone, madre Christine (Alexandra Finder), padre Uwe (David Zimmerschied) e figlia piccola che giocano, cantano, dormono e si risvegliano. Poi, passo passo, piccoli cambiamenti che creano un’ansia che attanaglia e cresce di scena in scena. Uwe picchia la moglie senza un perché, in scatti immotivati e imprevedibili.

Non sai mai cosa può succedere, in ognuno dei capitoli, e questo crea una tensione alle stelle. Come in un film di Hitchcock, senza mai ricorrere ad effetti speciali, solo documentando con maestria gli atti del vivere quotidiano, con il marito, poliziotto di quartiere, sempre più incapace di rapportarsi alla moglie e lei che raccoglie tutta la sua vitalità per non turbare la bambina. Una suspence che scaturisce da immagini di apparente normalità. Christine vive la sottile ansia e l' indeterminazione di non sapere cosa cova dietro la faccia inespressiva del suo biondino Uwe, al ritorno dal lavoro. Grϋning ce lo filma mentre la butta violentemente a terra a pugni e schiaffi, o la trascina per i capelli, o le sputa in faccia, e poi, come se nulla fosse, gioca con lei a bolle di sapone, o canta con lei e la bambina davanti all'obiettivo per costruire un CD. Poi lo vediamo piangere e infuriarsi se lei, che sta dormendo, lo respinge quando torna di notte dal lavoro. Tante, troppe piccole e grandi violenze, che raggiungono un culmine quando Uwe, con lucida follia, giustifica alla bimba con una malattia i lividi sul corpo della mamma che la piccola vede con sgomento, un giorno, tutti insieme.

Christine perde gradualmente il rapporto con Uwe, ma non con la bambina, per cui mantiene fantasia e tenerezza. La vediamo cedere, ma per poco, quando la bimba, candidamente, le dice che puzza. E in quel momento il padre non perde tempo a farsela alleata contro sua madre. Christine non è animata da una doveristica responsabilità , ma da un moto d'animo affettivo verso un oggetto d'amore. Resetta tutto il male che subisce appena è con lei, separando nettamente i rapporti. Un immane lavoro che consuma giorno dopo giorno la sua vitalità. Un dare senza ricevere, perché da brava madre non richiede consolazioni alla figlia, e non ha nessun rapporto extrafamiliare che la rinfranchi. Un inquietante vecchio, che potrebbe essere il nonno, si prepara da mangiare coscienziosamente, ma non tenta di evadere dalla sua solitudine o di dare amore alla nipote.

E' l’altalenante ambiguità del quotidiano, i piccoli atti che possono acquistare valenze distruttive, ma con modalità che crescono di intensità molto lentamente che non le fanno troncare un rapporto distruttivo, che lei non vede scivolare su di una china sempre più inarrestabile. Più che le botte pesano le continue lesioni all'immagine, che la spingono a sottomettersi per prevenire, senza riuscirvi, gli scoppi di aggressività per un nonnulla. Sopravvalutando la sua capacità di resistenza a un uomo fragile la cui sola forza è rimasta la violenza.

Groning dice che ha creato questo film senza un copione, solo con gli attori e la bambina (in realtà sono due gemelle che si avvicendano in queste scene, troppo impegnative per una sola protagonista). Non vuole, dice che non sa, dare una risposta, ma una descrizione così precisa è una creazione che lascia stupefatti e ammirati.