Ho iniziato fin da bambina a sentire che c'era qualcosa che non funzionava. A scuola, in famiglia, mi sentivo un'estranea e provavo spesso il desiderio di essere da qualche altra parte. E se fisicamente la fuga non mi era possibile, me ne andavo, con la mente, in altri luoghi. Il qui e ora del pensiero orientale mi ha trovata sempre lontana. Il qui e ora dei diritti delle donne, invece, ha incrociato il mio cammino e in qualche crocevia ne ho individuato il percorso.

La percezione che per noi donne fosse tutto un po' più complicato l'ho avuta a cinque anni con la nascita di mio fratello. La percezione è divenuta certezza nel corso dell'adolescenza e della prima giovinezza. Non so se ci sia una prima e una seconda giovinezza. Non vedo tappe, vedo la mia vita come un fiume che scorre; ma a volte mi sono arenata nelle sue secche. Spesso impreparata e fuori posto. Assente. Questo disagio, potrei dire fin dalle origini, perché sono nata sotto i bombardamenti, ha fatto di me una combattente disarmata e a volte una disarmante rivoluzionaria.

Ricordo un pomeriggio di tanto tempo fa a Cesena. Mia mamma ed io eravamo nel terrazzo di casa e guardavamo mia figlia Marcella giocare. C'era nell'aria un'idea di grazia e di bellezza che non ho più dimenticato e che ho rivissuto solo con le mie figlie nei momenti di riposo. Avvertivo la potenza di appartenere, noi tre, a una sola sostanza, al legame più intimo che la natura possa creare.

Il mio sguardo avvolgeva in un'unica visione le nostre vite e desideravo che il tempo si fermasse. Immobile. È difficilissimo, per me, mantenere una visione positiva; infatti, poco dopo, una nube ha offuscato i miei pensieri e mi sono detta: "Se siamo un'unica sostanza perché il mio cognome è Busi, quello di mia mamma è Morena e quello di mia figlia è De Logu? Neanche parenti. E se poi mi fossi chiamata Mariella Morena, avrei preso il cognome di mio nonno...". Per fortuna eravamo alle soglie del '68 e credo proprio che in quel pomeriggio abbiano preso forma e sostanza quei balbettii confusi che da tempo dentro di me dicevano "non è giusto, non è giusto".

6 marzo 2019

E per ingiustizie pubbliche e private combatto tutt'ora.

Questa mattina sono andata al mare. Il bagnino mi ha detto che questo inverno per tre volte hanno scaricato barriere di sabbia per proteggere la spiaggia e i Bagni dalle tempeste di vento che hanno fatto avanzare l'acqua marina. Mentre guardo il mare che avanza e si ritrae penso che anche la storia di noi donne segue quel movimento: avanziamo, poi forze esterne tentano di riportarci indietro - al nostro posto naturale.

8 marzo 2019

Dopo le tempeste di vento, ecco arrivare dalle nostre parti anche la soverchiante tempesta emotiva e passionale del ‘povero’ Michele Castaldo, che ha strangolato con le sue mani Olga Matei, la donna che frequentava da poche settimane. Ergastolo in primo grado, ridotto a 30 anni per il rito abbreviato. Riformata in Appello, infine, la sentenza a 16 anni.

Ormai si è ben capito che la pena dimezzata non dipende dalla "soverchiante tempesta emotiva e passionale", frase tratta testualmente dal perito, ma da altre due attenuanti: la confessione dell'imputato e il tentativo di risarcire la figlia della vittima, la bimba che Olga aveva adottato assieme al suo ex marito.

Ecco alcune frasi del presidente della Corte D'Appello di Bologna: "La gelosia non è stata considerata motivo di attenuazione del trattamento, anzi motivo di aggravamento... La misura della responsabilità era comunque condizionata dalle infelici esperienze di vita affettiva pregressa dell'imputato, che avevano amplificato il suo timore di abbandono". Allora è tutto regolare, il verdetto non fa una piega: immotivata gelosia. Tentativo teatrale di suicidio. Poche e infelici esperienze sentimentali. Riccione d'inverno. Lei era bella e giovane: come poteva innamorarsi di me? È quello che mi chiedo anch'io. Ma voi potete immaginare cos'è Riccione d'inverno? Io si. Nel 1961, in febbraio, vi ho trascorso i giorni del mio viaggio di nozze. Lo ricordo come un incubo, ero in attesa di Marcella e vomitavo in continuazione. Stavo malissimo; anch'io avevo avuto esperienze affettive disastrose, vicino a me c'era un giovane uomo di rara bellezza e perciò richiestissimo. Inaffidabile? Sicuramente. Io ero distrutta, però non l'ho ucciso… e dire che convivevo con quotidiane tempeste emotive.

Dopo 58 anni, mentre sto scrivendo, mio marito è in un'altra stanza che guarda un programma televisivo che si chiama L'eredità. Non sono una vittima, mi sono difesa, ho risposto. Semplicemente. Noi donne quando veniamo colpite da tempeste emotive, al massimo ci suicidiamo. Dalle mie parti bisogna andare molto lontano nel tempo per ritrovare una donna che uccise l'uomo che la sedusse e l'abbandonò.

Ritorno al ‘povero’ Michele Castaldo; la compagna era moldava e le moldave, pare, siano proprio inaffidabili. L'assassino al giudice ha fatto pena, quindi, da un certo punto di vista lo ha compreso, mentre alla vittima cosa è successo? Di lei non si parla. Chi le dà voce? Sorge il dubbio che un po' se lo sia meritato, perché bella, giovane, moldava.

Come un po' se lo sia meritato anche Jenny Reyes? A suo marito, Javier Gamboa, la giudice Silvia Carpanini ha ridotto la pena da 30 anni a 16 anni. Anche qui articoli e discussioni a non finire. E ci si ferma quasi sempre alla superficie degli eventi. La legge permette la riduzione della pena e così è stato fatto. Eppure, a me ritorna sempre quel "non è giusto, non è giusto" che è stato ed è il richiamo, la volontà di dare risposte, di cercare oltre ai fatti qualche cosa che si avvicini alla verità e alla giustizia.

In questi casi di riduzione di pena a me sembra che la legge non sia giusta. Non sempre la legge corrisponde alla giustizia. La riduzione di pena nei casi di femminicidio ha un suono nefasto, cupo, al limite della vergogna. Risuona come un invito a ripetere. E non ce n'è bisogno, perché ogni 72 ore una donna muore per mano del suo ex compagno, o compagno, o marito, o ex marito. Le uniche varianti si ritrovano nel modo con cui vengono uccise e nel tipo di relazione esistente tra vittima e carnefice. Il risultato è sempre il femminicidio. Questa è la grande differenza: qui si ripete ogni 72 ore lo stesso delitto.

Provo un senso di malessere quando nelle discussioni c'è qualcuno che dice: "C'è stato un omicidio nel 2014 e anche lì hanno ridotto la pena" e ancora: "Ma siamo sicuri che i femminicidi sono aumentati? Forse nel passato non se ne parlava come adesso". Nelle conversazioni spesso ritrovo una forma, neanche troppo velata, di autodifesa di genere.

Questi i fatti. I fatti sono sempre la conclusione di ciò che strada facendo è accaduto. Ora c'è da chiedersi perché ciò accade. Ed è questa la soglia che molte persone tendono a non varcare perché le ragioni di "ciò che accade" sono molteplici e complesse, socialmente e culturalmente non risolte. Ne sottolineo almeno due: l'educazione ricevuta e un accenno alla nostra psiche nelle parole di Umberto Galimberti: "... E allora qual è quella ‘cultura’ a cui gli uomini dovrebbero essere educati? La cultura femminile, alla quale è possibile accedere se si prende contatto con l'altra parte di noi stessi, o come vuole il linguaggio psicoanalitico, con la propria controparte sessuale, che è la dimensione femminile nel maschio e la dimensione maschile nella donna. Come può, infatti, capire il mondo femminile chi non ha mai avuto un rapporto con il suo femminile, perché si è sempre rifiutato di riconoscerlo o l'ha addirittura negato? Così facendo, invece di un maschio a tutto tondo, com'era nel suo intento, è diventato un maschio a cui manca una parte essenziale di sé, senza la quale non sa rapportarsi a una donna o al massimo si rapporta come a un oggetto..."

E l'educazione ricevuta a scuola non aiuta perché dà per assoluta una storia che appartiene solo agli uomini. Come ricordo spesso, da questa incapacità del pensiero umano di conoscersi nella dualità uomo/donna avviene che la differenza si viva nella forma di una passione. Così a ciascuno accade di essere uomo o donna a seconda del corpo che ha. Ma sarebbe più giusto dire: che è.

Ora desidero ricordare che la pena dimezzata per l'assassinio di Olga è avvenuta in prossimità dell'8 marzo, Giornata internazionale della donna, che intende ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in quasi tutte le parti del mondo.

E la mia risposta è in Uomini con la gonna. Questo mio lavoro mette in campo, con le azioni di Monica Marcucci, Catia Gori, Gianluigi Tartaull, quello sguardo ben disposto che, come dice Adriana Cavarero, vede un esistente in carne e spirito, corpo e mente, che appare unico a chi lo guarda. E per farlo compio un ribaltamento e mi metto a rischio. In questo tempo di notte fonda do a una voce maschile la responsabilità di leggere in prima persona la vita di donne uccise e umiliate per la sola ragione di essere nate donne. Desidero così che gli uomini comprendano la nostra irripetibile soggettività. Il mio richiamo: "Ecco quello che accade. Mettetevi finalmente nei nostri panni. Magari con una gonna come hanno fatto gli uomini turchi".