Viene accolto con caldi applausi e con diffuso consenso il film Sacro GRA di Gianfranco Rosi, vincitore del Leone d'Oro alla 70esima mostra del Cinema di Venezia. Una vittoria che a detta di molti rappresenta simbolicamente una rottura, un importante segnale per il cinema italiano e non solo: per la prima volta nella storia del Festival un documentario si aggiudica il Leone e Venezia sembra dimostrare il buon proposito di volgere lo sguardo a un cinema indipendente come quello di Rosi.

«Personalmente non ho mai riscontrato una divisione narrativa radicale tra cinema e documentario, ma solo produttiva», spiega Rosi, «io lavoro da solo, filmo, curo il suono. Inizio un film senza mai sapere quando dovrò consegnarlo. Queste sono le uniche differenze che mi vengono in mente con il cinema di fiction, ma hanno a che fare con il sistema produttivo, non con i contenuti. Non è questione di squadra o ideologie, semplicemente ogni storia ha il suo modo di essere raccontata. La capacità è sempre quella di riuscire a individuare come raccontarla».

Rosi racconta il GRA, il Grande Raccordo Anulare, attraverso frammenti di vita di un'umanità che vive e lavora a suo stretto contatto. Rosi si oppone alla crisi d'identità (molto più grave di quella economica, afferma) mostrando individui fortemente caratterizzati, ben solidi nella loro - spesso eccentrica- personalità. Bertolucci annunciava la sorpresa e la promessa é stata mantenuta: Sacro GRA è uno sguardo insolito, che travalica i rigidi sistemi del meccanismo produttivo per aprirsi e concedersi totalmente all'ispirazione del regista, alla sensibilità del suo sguardo sull'umano, sulla vita, sulle persone, ai margini di una capitale stereotipata, consumata, arcinota.

Forse sulla scia di un ideologico segnale di positività e speranza, la Grecia si aggiudica il Leone d'Argento con l'opera Miss Violence di Alexandros Avranas, nonché la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile di Themis Panou. Il film mette in mostra i meccanismi oscuri e saturnini dell'universo familiare, il dolore e la violenza consumati entro il nucleo protettivo, rispettato e onorato nelle società mediterranee, della famiglia. La vicenda si svolgerà attorno al suicidio di Angeliki nel giorno del suo undicesimo compleanno.

«La violenza più efferata è quella del silenzio. Del non detto», afferma il regista. Il silenzio viene tradotto da un linguaggio filmico asciutto, non emotivo, che sembra voler escludere qualsiasi movimento empatico, qualsiasi avvicinamento o articolazione nell'inquadratura che possa smuovere dalla fredda rigidità dei rapporti familiari.

Il gran premio della giuria viene assegnato all'opera Jiaoyou di Tsai Ming-liang, lirica ed estetizzante. In una Taipei piovosa si incrociano i destini di una famiglia allo sbando ( un padre che lavora come uomo-cartello sotto la pioggia incessante e i due figli che trascorrono le giornate in giro per la città alla ricerca di cibo) e una signora distinta che lavora in un supermercato. In un continuum visivo tra l'interiorità lacerata e gli ambienti esterni che ospitano i personaggi, Tzai Ming-liang traduce - anch'esso con inquadrature fisse e tempi lunghi - esistenze drammatiche: lascia lo spazio e il tempo per poter entrare visceralmente nel quadro e dunque nel dramma, per poter assaporare ogni dettaglio amaro della scena. Opera ingiustamente criticata per il suo lento svolgimento, a mio avviso necessario: la profondità richiede tempo, non solo spazio.

Die Frau des Polizisten (vedi articoli precedenti) di Philip Gröning riceve un meritato premio Speciale della Giuria mentre la rispettabile pellicola Philomena, acclamatissima e da molti apprezzata per il suo humour in grado di stemperare con eleganza un dramma ricco di pathos, riceve il premio per la miglior sceneggiatura (Steve Coogan e Jeff Pope).

La Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile è stata invece assegnata a Elena Cotta per Via Castellana Bandiera, sebbene Judi Dench di Philomena sembrasse la candidata ideale.

Riconoscimenti anche per White Shadow di Noaz Deshe, vincitore del premio Venezia Opera Prima - Leoni del Futuro (DeLaurentis) - per la settimana della critica: film memorabile sul terribile destino degli albini in Tanzania, rapiti e uccisi per entrare in possesso di parti del loro corpo, vendute a caro prezzo in virtù dei poteri che la gente creda risiedano in essi. Regia e fotografia molto accurati - sebbene il regista sembri spesso approcciare curiosamente e con maestria la finzione in maniera documentaristica.

Il presidente di giuria Paul Schrader assegna il premio per il miglior film della sezione Orizzonti a Eastern boys di Robin Campillo, dramma sul tema dell'immigrazione; i premi per le giornate degli autori e settimana della Critica vanno rispettivamente a: Kill your darlings di John Krokidan (premio internazionale) e Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleotto mentre il premio Fedeora - meritato riconoscimento - va a Class enemy dello sloveno Rok Bicek.

Nessun riconoscimento invece per Wang Bing con il suo film Feng ai (‘till Madness Do Us Part) - fuori concorso, estenuante Cinéma vérité ambientato in un manicomio nel sud-ovest della Cina. Più di tre ore trascorse tra i corridoi e le celle umide entro le quali uomini dormono, si vestono e svestono compulsivamente, si abbracciano, dormono insieme, mingono sulle pareti. La durata del film convoglia l'empatia e l'attaccamento per i detenuti, semplici uomini prima che prigionieri, ormai del tutto privati di umanità.

Le sorti della 70esima Mostra del Cinema sembrano dunque essersi risollevate, sebbene il bilancio medio delle opere presentate non sia stato dei più soddisfacenti. Il premio assegnato al Sacro GRA fa però ben sperare sulle prossime edizioni: lascia aperta la speranza per la nascita di una "nuova" curiosità da maturare nei confronti di un cinema indipendente, in grado di proporre nuovi sguardi e nuove capacità di carpire il presente prossimo. Se ne sente il bisogno.