“Il giorno in cui cominci a comprendere quello che sai è il giorno in cui inizi veramente a vivere”, diceva il maestro spirituale indiano Nisargadatta Maharaj. Con questa frase possiamo tradurre il percorso artistico di Michele Pastrello, un regista veneto che ha intrapreso un cammino artistico molto personale e ricercato. I suoi “microfilm” (come lui ama definirli) sono un concentrato di evocazioni introspettive, esistenziali o filosofiche. C’è un microfilm sulla custodia della memoria (Nexus), oppure quello sull’incontro con il bambino interiore (The Little Child). Oppure ancora Sensorium Dei, riflessione criptica sul rapporto tra Tempo e ricerca filosofica, o The Key (Il viaggio), sull’auto-guarigione. In questi suoi lavori, tutti fruibili nel web sul suo canale YouTube, il regista affronta sempre e rigorosamente tematiche legate alla condizione umana.

È come se Michele ne individuasse le fragili impalcature (che siano l’amore per se stessi, la solitudine, la ricerca introspettiva fino persino all’incontro col bambino interiore) e le faccia vacillare, permettendoci di porci domande su noi stessi o di aprire gli occhi su cose che non abbiamo il coraggio di vedere. Il regista concretizza questa intenzione senza didascalismi, senza dialoghi, senza voler essere edificante a tutti i costi: lo fa in modo sincero con la forza metaforica delle immagini. Ne parliamo con Michele in occasione del suo settimo microfilm che si inserisce in questo filone, dal titolo Teneritia, che è stato appena pubblicato e che potete vedere qui nel nostro articolo.

Michele, ci puoi raccontare perché hai scelto un percorso registico così particolare e delicato, cioè parlare dell’essere umano e della sua anima?

Non saprei dire se è stata proprio una scelta, nel senso non è che mi sono messo su un tavolo a ipotizzare o immaginare come fare. È venuto da sé. James Hillman la chiamerebbe ghianda, il daimon che bramava di essere riscoperto e forse è un po’ davvero così. Io fin da bambino sono stato un osservatore, ho studiato e ascoltato molto le persone che incontravo. I dilemmi, le speranze e i desideri che ci attanagliano sono in fin dei conti comuni, ognuno li declina in base al proprio vissuto. Ho sentito che dovevo dare voce alle fessure, alle “parentesi di vita” in cui il nostro io, l’Es freudiano e il junghiano sussurrano, scalpitano, smaniano e, affacciandosi, configgono. Forse è anche un mio percorso elaborativo, non lo so esattamente.

Cito spesso una sequenza di un film di Michael Mann, Collateral, che mi è rimasta impressa e alla quale penso sempre quando rifletto sui miei lavori. Il film racconta il conflitto e contrasto tra un killer a pagamento e un tassista, obbligato a fargli da autista. In questo incontro-scontro notturno in cui le due personalità esplodono e implodono a un certo punto, mentre sono in auto, due coyote attraversano la strada: i due uomini si trovano come paralizzati a fissare i due animali selvatici, uomini e animali si guardano negli occhi quasi a specchiarsi in una inspiegabile relazione tra i loro destini, che nessuno potrebbe veramente raccontare in un ‘luogo’ altro rispetto a quello racchiuso nello scambio di sguardi.

Ci puoi parlare di Teneritia, il tuo nuovo lavoro, che hai pubblicato proprio in questi giorni?

Teneritia è un video più anarcoide rispetto ad altri che ho realizzato. Nel senso che non c’era un vero canovaccio, c’era solo una idea ‘sospesa’ alla base che poi, in post produzione, ha chiesto il suo tempo per essere capita persino da me, che l’avevo partorita. Teneritia - cioè tenerezza - è la storia di un essere umano (l’attore è Paolo Bertoncello) ormai quasi incurante di se stesso, perso tra dipendenze e un lavoro faticoso.

In questo scenario di solitudine cede ogni giorno a un bisogno di regressione, che è l’unica modalità con cui può ancora tentare un riavvicinamento con quella tenerezza che, almeno per qualche momento, tutti i bambini hanno conosciuto e che gli adulti sovente (si) negano. Posso dire che il racconto La Carriola di Luigi Pirandello ha dato il “la” a questo mio lavoro, anche se poi prende decisamente un’altra strada.

Le musiche sono italianissime, del musicista pugliese Kisnou.

Sì, sotto Kisnou si cela Giuseppe Tria, compositore e produttore musicale barese, molto ascoltato su Spotify. La sua musica è fondata su melodie evocative, accompagnata da cantanti, violinisti, sintetizzatori e profondi layer sonori, al fine di creare suggestive atmosfere e composizioni musicali narrative. Per Teneritia ho scelto un suo brano noir, veemente, in cui una voce recitata dell’australiano Samuel Ross parla di solitudine e dei tentativi cortocircuitanti che l’essere umano adotta per provare a sconfiggerla.

La vita, l’autostima, il tormento, il risveglio della coscienza, l’amore per se stessi: cosa ha capito Michele Pastrello di questo essere umano contemporaneo così smarrito?

Oddio, io sono un essere umano contemporaneo, con molti limiti e insicurezze. E forse proprio perché sono così mi sento legittimato a raccontare per immagini le mie intuizioni inerenti all’universo umano e alle sue molteplici sfaccettature. Ho capito una cosa fondamentale: che l’essere clementi con se stessi va bene solamente nel momento in cui contemporaneamente ci ostiniamo a essere auto-consapevoli e stiamo facendo un percorso per scrutarci dentro. Sembra una ovvietà, ma non lo è. Molte persone non lo fanno davvero, credono di farlo, mentono a se stesse. Ho conosciuto persone che a parole si raccontano ben diverse da come nella realtà poi si dimostrano.

L’essere umano ha il dono della parola e, con essa, afferma se stesso: ma sono gli atti nella vita che lo disegnano veramente. In sostanza io credo che, quando siamo cresciuti e ci hanno maneggiato, ci siamo scheggiati, siamo stati rotti in un punto. Succede nell’infanzia e il bambino, per ‘salvarsi’ in un mondo in cui non ha riferimenti, crea dei meccanismi per reagire al malessere. Questi meccanismi ce li trasportiamo con noi nella crescita e continuiamo a riutilizzarli in situazioni che riteniamo speculari ma, da adulti, queste dinamiche non vanno più bene. E il meccanismo si inceppa e si perpetua. Se non capiamo che è quella rottura di un tempo che ci fa replicare certi automatismi e blocchi, continueremo a soffrire. Non credo nella guarigione, ma credo nella cognizione: se sai da dove e come il dolore ha origine, sai che è da lì che tutto parte, non necessariamente da fuori. Non è cosa da poco.