Nessuno le domanda come vorrebbe essere perché gli ammiratori si aspettano che Marianna Pizzolato sia Marianna Pizzolato, ma lei vuole dirlo lo stesso, per bearsi di tanta bellezza, racchiusa nel nome glorioso di due geni musicali. “Se qualcuno mi chiedesse come vorrei essere, risponderei: fra Jessye Norman e Christa Ludwig”.

Nel 2002 andò in scena per la prima volta, Tancredi a Piacenza, e il celebre basso Enzo Dara fu categorico con i giornalisti: “La Pizzolato non è una debuttante, è una realtà”. “Molto semplicemente - spiega - mi pongo come Rossini mi ha insegnato: l’Arte è studio”. Il maestro pesarese per professore, sebbene da un altro secolo, due artiste irripetibili a mo’ di muse, la Norman dal Nuovo Mondo, la Ludwig dal Vecchio, quindici cd e sette, otto dvd usciti in dieci anni (fra i quali la Missa Solemnis in E di Cherubini, diretta da Riccardo Muti, lo Stabat Mater di Pergolesi e quello di Rossini con Anna Netrebko, Zelmira di Rossini con Juan Diego Florez), L’Italiana in Algeri nel 2016 a Toulouse, il Requiem di Verdi in maggio a Lipsia, Riccardo Chailly sul podio, Maria Stuarda a Barcellona, una produzione al Metropolitan in arrivo: Marianna Pizzolato, mezzosoprano, ama gli orizzonti ampi.

Da dietro le quinte qualcuno racconta che se riceve più applausi dei colleghi si imbarazza perché non è la grandezza dello star-system, al quale dovrà pur abituarsi dato che ne fa parte, che la soddisfa, ma la grandezza della musica. La storia degli applausi non la conferma per timore di apparire artificiale. L’equivoco sarebbe imperdonabile perché la cantante è autentica, incorrotta dalla fama, non fa uso di stratagemmi divistici se non per rari divertimenti, vuole solo essere degna di se stessa, con quella voce splendida, il temperamento importante, il volto molto bello, e costruire una carriera varia, alla Renée Fleming, non proiettata esclusivamente nel mondo operistico, “all’italiana”, ma “con tante cose sinfoniche e Lieder”.

Il vero principio , dopo l’esordio di Piacenza, è stato al Rossini Opera Festival con Tancredi, pietra miliare della sua avventura insieme con L’Italiana in Algeri, sempre a Pesaro, Il Nabucco al Covent Garden accanto a Placido Domingo, la Cenerentola a Parigi. In futuro vorrebbe essere Arsace in scena, Semiramide l’ha solo incisa, pensa ai Capuleti e i Montecchi, a La Favorite di Donizetti: “È un po’ presto, ma sto cominciando a lavorare anche al Don Carlo, vorrei anche debuttare con un programma wagneriano”. E Brangane nel Tristan und Isolde? “Perché no?”. “Sento la responsabilità di vendere sogni e di venderli bene. E’ una frase che mi fu detta da un regista e mi colpì.Ti è stato affidato un dono? Devi studiare e metterci l’impegno massimo. E’ già tanto quando si riesce a interpretare quello che il compositore voleva dire. C’è una musica e una sotto-musica, c’è un testo e un sotto-testo, lì trovi la chiave. Se veramente vuoi comunicare con il pubblico devi essere tramite. Con umiltà di cuore, apertura di mente. Se non sei un mezzo fra la musica e il pubblico non dai quell’attimo di Eterno (con la maiuscola, si sente dall’enfasi n.d.r). Se lo sei, lo spettacolo ritorna dal pubblico a te, come il propagarsi della tua vista e della tua anima. Un sasso lanciato nel fiume che crea mille movimenti”. Certo anche il pubblico ha la sua responsabilità, la privazione dell’applauso finale per un interprete non è appena il mancato appagamento dell’ego: “E’ irrispettoso, dal palcoscenico li vedi alzarsi e percepisci la loro ansia di non farcela, magari per la cena, per il taxi. Percepisci uno stato d’animo esagitato”.

La Pizzolato non apprezza i ritmi forsennati: “Voglio passare tanti mesi a casa, in Sicilia, e non da un teatro all’altro, senza un filo logico”. La Sicilia è inesorabile con i suoi figli ben riusciti, degli altri non si parli per evitare atmosfere da mafia-film: li nutre e incatena con la ridondanza, la magnanimità, i barocchismi, l’indolenza da scirocco, l’intelligenza vulcanica, la passione stemperata ed esaltata dal fatalismo: “La voce di mezzosoprano ha il colore ambrato che appartiene alla mia terra. Abbagliante come il sole e insieme scura, rispecchia il mio modo di pensare. Mi sento così dai piedi alla cima dei capelli”. Capelli corposi e lucenti, nei quali i parrucchieri adorano mettere le mani.

Di Chiusa Sclafani, Palermo, la Pizzolato ha avuto dalla sua Sicilia, e questo è raro, le possibilità che di solito l’isola nega: un’insegnante nel paese natale, Claudia Carbi, depositaria di saperi perduti, la prima audizione a Corleone, una serie di persone e situazioni che “per forza di cose mi hanno spinta verso la musica, non c’è stata scelta”. Il Conservatorio a Palermo, poi lo stage a Piacenza. Nonostante difficoltà di ogni tipo: “Vengo dal niente. E mi piace venire dal niente. In realtà, le mie radici sono molto profonde”. Profonde, e così ramificate che il niente, più libero del poco e del molto, complice il talento, diventa il tutto.