I giovani della ESYO, che rinasce ogni anno dalle sue ceneri, sono la metafora perfetta di un’Europa possibile, capace di rinascere continuamente grazie ai giovani e al miracolo dell’incontro.

(Paolo Rumiz)

Un’orchestra è un sistema complesso in cui ogni musicista deve cogliere e interagire con la presenza di tutti gli altri musicisti. Il suono complessivo, cioè quello che l’ascoltatore percepisce, è frutto di un processo in cui una parte (quella più ovvia) è l’esecuzione strumentale ma ciò che lo rende possibile è l’ascolto reciproco, la capacità di ogni strumento di essere una parte di un tutto, un tutto che è molto di più della somma delle parti, un tutto che trae forza dal legame che unisce ogni parte all’altra, a quella contigua come a quella lontana.

Ogni concerto della European Spirit of Youth Orchestra e Paolo Rumiz è una ventata di speranza, di aria libera e fresca, una voce cristallina che si fa sentire con forza oltre al rumore, che oggi è tanto.

È magnifica, questa orchestra di minorenni. Sono davvero giovanissimi, appassionati, consapevoli e concentratissimi, ed è incredibile quanto sia facile rimanere perfettamente concentrati quando ci si trova davanti qualcuno perfettamente concentrato; quest’anno c’è un primo violino di una bravura strepitosa che ha quindici anni e viene da Belgrado.

Saranno i neuroni a specchio, l’empatia che si crea tra esecutore e ascoltatore, la passione che è tanta e chiaramente percepibile, ma durante l’esibizione di questa orchestra sinfonica è impossibile distrarsi. Sempre uno mantenga aperti le orecchie e il cuore.

Ogni anno da più di vent’anni, il maestro Igor Coretti Kuret dà vita a un nuovo organico offrendo la possibilità a ragazzi provenienti da ogni angolo d’Europa non solo di fare una esperienza formativa straordinaria ma di poter intuire e sperimentare qualcosa che oggi sembra sfuggire a molti: il fatto che la comunicazione, la condivisione e l’accettazione dell’altro sono elementi essenziali per potere crescere individualmente e per poter costruire le basi di una cultura di pace.

Il sodalizio con Rumiz è nato cinque anni fa: dopo aver viaggiato con treni improbabili, in bicicletta, a piedi e a bordo di una Topolino, Rumiz è salito a bordo di questa orchestra sinfonica per iniziare un nuovo viaggio e parlare un’altra volta di identità, di libertà e di umanità.

Grazie per aver trovato il tempo per questa intervista. Volevo innanzitutto chiederti come è iniziata la collaborazione con ESYO, come vi siete incontrati?

Sei anni fa alla Stazione Marittima di Trieste ho sentito questo maestro che preparava un gruppetto di una ventina di ragazzi che erano stati mobilitati per un evento ufficiale dell’Unione Europea. Mi sono commosso più volte, ho dovuto più volte allontanarmi dalla sala perché mi vergognavo di piangere, vedevo questo amalgama che si creava velocissimo tra ragazzi di provenienze diverse, lingue diverse e vedevo anche la capacità del direttore nel creare questo amalgama.

Ho provato un’emozione che non provavo da molto tempo e quando ho saputo che l’orchestra era in difficoltà perché venivano meno i finanziamenti, veniva meno l’interesse per l’Europa, era sempre più difficile trovare degli sponsor e che il maestro per sopperire a tutto questo aveva messo in vendita il suo preziosissimo violino pur di fare continuare ancora questa utopia, l’ho contattato e gli ho chiesto come potevo dagli una mano.

È stata sua l’idea di mettere accanto alla musica dei racconti, e così ho cercato di aggiungere la mia professionalità e anche notorietà all’orchestra perché uscisse da queste secche, ora stiamo vedendo dei risultati. Dopo 5 anni la macchina comincia ad andare, attorno alla macchina si è stretta una coalizione di persone legate al mondo dell’industria, della finanza che pian piano iniziano a rendere economicamente sostenibile questa follia. Perché è una vera follia costruire ogni anno un’orchestra con ragazzi nuovi andandoli a cercare nelle capitali europee, è un lavoro improbo.

Siamo l’unica orchestra europea che rinasce ogni anno e l’unica che ha un narratore e affronta i grandi temi dell’Europa, Dal 2015 ad oggi abbiamo parlato della Grande guerra, dell’Europa delle ferrovie, cioè dell’Europa vista dal treno - perché all’inizio è stato il treno a costruire l’Europa attraverso i collegamenti ferroviari - dell’Europa dei cammini, dell’Europa delle frontiere e quest’anno dell’Europa del Mito.

Che cosa è stato scelto per il programma dell’Orchestra per raccontare il mito di Europa?

La Sharazad di Rimskij-Korsakov, il Bolero di Ravel, e come sempre l’Inno alla Gioia di Beethoven, l’inno d’Europa.

Tutto questo si intreccia con la narrazione, con la lettura adattata alla musica di pezzi di un libro che sto scrivendo, dedicato appunto al mito di Europa. È un libro in versi endecasillabi, fatto tutto di mare, di navigazione, è un libro che parte da Trieste con una barca guidata da un Triestino - che ahimè è morto due anni fa - con cui abbiamo deciso di veleggiare sulle rotte del rapimento di Europa e di zigzagare tra i due continenti, Europa e Asia, fino in Grecia e oltre. Ci siamo imbarcati su una barca inglese antica che con la bandiera europea dichiarava la sua diversità la sua originalità e portava fatalmente il discorso in ogni porto sul grande tema europeo.

Il libro ha già un titolo?

Sì, essendo un libro in versi dovrebbe chiamarsi Canto per Europa. Lo schema parte dal fatto che l’Europa ha dimenticato la propria origine mitica e di conseguenza anche il senso del suo nome; anzi, non lo ricorda nemmeno il suo nome, comincia a chiamarsi attraverso delle perifrasi, “L’occidente” “Terra del tramonto” “Giardino delle Esperidi”, la parola Europa è scomparsa inghiottita dal materialismo dei tempi. Un gruppo di amici partono in barca alla ricerca del nome, trovano una profuga siriana di nome Europa che chiede loro di imbarcarla e aiutarla a scappare. Alla fine del viaggio decidono di dare alla loro terra il nome di questa donna; quindi, è un mito fondativo.

Che parla di migrazioni, di Mediterraneo, di una possibile salvezza tramite l’accoglienza dell’altro.

Il mito dice una cosa molto chiara, cioè che noi siamo il pezzo finale dell’Asia, che da millenni i popoli vengono da oriente, arrivano in Europa e la devono fermarsi, perché dopo c’è l’oceano. Questa principessa fenicia rapita da Giove sotto forma di toro è una donna asiatica: Europa è una figlia dell’Asia. Questo in sintesi ciò che ci ricorda il mito.

In questo momento così confuso, tra Brexit, nazionalismi e respingimenti, è il momento di chiedersi cosa significa Europa, ripartendo dalle sue origini.

(Paolo Rumiz)