È finita (o quasi) in questo modo: con Wayne Coyne, il cantante dei Flaming Lips, chiuso dentro un pallone trasparente che si rotolava sulle mani tese del pubblico cercando di cantare con la voce rimasta Somewhere over the rainbow. Le due facce del concerto rock. È stata una cosa un po’ così, la serata da “double bill” di domenica 1° settembre in piazza Duomo a Prato, uno degli appuntamenti della rassegna “Settembre/Prato è spettacolo”. Due performance di altrettante band protagoniste del rock alternativo degli ultimi 25 anni: Eels e Flaming Lips. Il songwriting fatto di refrain e melodie irresistibili, ma anche degli alterni umori di Mark Oliver Everett, il leader degli Eels, e la follia visualmente fracassona dei Flaming Lips, che nella copiosissima discografia hanno declinato la musica in infinite variazioni, tutto sommato rimanendo sempre fedeli a un aggettivo: psichedelici. E bastava vedere il circo di effetti speciali messo su per questo show per avere un’idea di quanto l’aspetto estetico e le coreografie pesino nei loro live. Per questo gli organizzatori hanno fatto bene a mandare fuori prima gli Eels che, invece, si sono concentrati solo sulle canzoni.

Partiti stranamente con un paio di cover, Out in the street degli Who, e poi Raspberry Beret di Prince, hanno accontentato un po’ tutti: chi si fosse sintonizzato sulle loro frequenze negli ultimi tempi, con Bone dry e Today is the day dall’ultimo album del 2018 The deconstruction, ma naturalmente anche chi segue le gesta di Mr E., che poi sarebbe Everett, fin dall’inizio. Flyswatter, I like birds, Daisies of the Galaxy, Mr E’s, beautiful blues tutte da Daisies of the Galaxy, l’album più saccheggiato, Novocaine for the soul e My beloved monster dal folgorante esordio Beautiful freak del 1996, ma anche SoulJacker Pt.1 o “Blinking Liths* dai due dischi omonimi, solo per citarne qualcuna.

Everett era in buona forma, ha scherzato e dialogato con il pubblico, ha portato sul palco un bell’equilibrio tra energia, delicatezza e ironia che non è sempre scontato per uno come lui, che ha passato vicissitudini dolorose e che le ha condensate in una musica in bilico tra il tentativo di consolazione e la condivisione della sofferenza. Alla fine, ha chiamato a gran voce i Flaming Lips, (“Gente, ci credereste? Tra poco su questo stesso palco i Flaming fucking Lips!”) e se n’è andato mentre la sua band accennava The end dei Beatles, e dopo aver tributato gli onori ai suoi eroi infilati nella setlist: gli Who, Prince, Ringo Starr (anche se il pezzo di Abbey Road suonato è di McCartney) e Brian Wilson, di cui ha citato Love & Mercy nel medley conclusivo.

Probabilmente non sarà mai un animale da concerti, E.: la sua dimensione è soprattutto quella di chi tiene nascosto da qualche parte uno stampino con cui, con una facilità impressionante, inanella un riff stregato dopo l’altro, una canzone dopo l’altra, un disco dopo l’altro. Proprio per questo quando te lo ritrovi davanti, vedi che sta bene e ha voglia di suonare, smetti di chiederti se è meglio la Novocaine versione originale, praticamente perfetta, o quella dieci volte più cupa e molto bella portata a Prato. Sei solo soddisfatto, e ringrazi.

Dopo un cambio palco piuttosto lungo la piazza è diventata territorio dei Flaming Lips e delle loro variopinte follie: intanto una scritta fatta di lettere gonfiabili ed esibita dal cantante come benvenuto: Fuck Yeah Prato. E poi centinaia di palloni con cui il pubblico ha giocato per più di un’ora, facendoli rimbalzare da un lato all’altro, visual che comparivano su una cascata di tubi luminescenti, e poi le coreografie dedicate alle canzoni: un gigantesco androide danzante mentre facevano Yoshimi battles the pink robots, la cavalcata di Coyne in mezzo alla gente su un unicorno psichedelico per There should be unicorns, ma anche le grandi labbra fiammeggianti, due bulbi oculari da cui spuntavano le gambe dei tuttofare che si sono dedicati anima e cuore a questi infiniti giochi per tutta la sera.

Tutto talmente esagerato da sfondare la porta del kitsch da diventare divertente, anche perché sul piano musicale di appunti, ai Flaming Lips dell’altra sera se ne possono fare pochi, se non per una serata con poca voce di Wayne. La scaletta, aperta da una marziale cover di Also sprach Zarathustra Op. 30 di Richard Strauss, ha pescato una decina di brani dal canzoniere affollatissimo e sempre difficile da classificare: da Race for the prize a Do you realize?, passando tra le altre per Feeling you disintegrate o All we have is now. La band gira come un orologio e non bastano i travestimenti, dalle parrucche verdi alle tuniche da monaci buddisti, a distrarla dal proprio compito: far materializzare il suono che corrisponde al teatro delirante che ormai è il marchio di fabbrica dei Flaming Lips dal vivo.

Setlist

The Eels

  • Out in the Street(The Who cover)
  • Raspberry Beret (Prince cover)
  • Bone Dry
  • Flyswatter
  • Dog Faced Boy
  • I Need Some Sleep
  • Prizefighter
  • Tremendous Dynamite
  • You Are the Shining Light
  • My Beloved Monster
  • I'm Going to Stop Pretending That I Didn't Break Your Heart
  • I Like the Way This Is Going
  • The Ballad of Little Joe
  • Today Is the Day
  • Novocaine for the Soul
  • Souljacker, Part I
  • I Like Birds
  • Mr. E's Beautiful Blues
  • Fresh Blood
  • Love and Mercy (Brian Wilson Cover) / Blinking Lights (For Me) / Wonderful, Glorious
  • The End (The Beatles cover)

Flaming Lips

  • Also sprach Zarathustra, Op. 30 (Richard Strauss cover)
  • Race for the Prize
  • Yoshimi Battles the Pink Robots, Pt. 1
  • There Should Be Unicorns
  • She Don't Use Jelly
  • True Love Will Find You in the End (Daniel Johnston cover)
  • Fight Test
  • The Yeah Yeah Yeah Song (With All Your Power)
  • Feeling Yourself Disintegrate
  • Are You a Hypnotist??
  • All We Have Is Now

Bis

  • Somewhere Over the Rainbow (Harold Arlen cover)
  • Play Video
  • Do You Realize??