Catherine Michel riprende ciò che ha appreso e lo ritrascrive: "Il mio obiettivo è di rendere, come mi diceva Bernstein, la musica accessibile". L’album Musique pour harpe de Debussy à Bernstein, uscito ufficialmente il 18 ottobre, è innanzitutto un omaggio al suo insegnante, il segno di un passaggio di testimonianza delle parole di Debussy e un'importante raccomandazione per la nuova generazione. Quella di Catherine Michel con la musica e la sua alleata, l’arpa, è una storia meravigliosa. Alleata, l’arpa, strumento che per lei stata tutto fin da piccola, quando inizia a lavorare per una scuola di musica, fino ad oggi, che la vede diventare, essere icona di riferimento del suo strumento. "Inserire nel mio disco West Side Story per arpa ed orchestra parrebbe assolutamente incredibile. Eppure, lo abbiamo fatto." L'arpa, secondo Catherine Michel, è ancora vista, a torto, come "uno strumento da soggiorno", molto spesso "polveroso", sebbene sia, come anche lei stessa ha dimostrato, uno strumento dalla potenza e grandiosità universali. "Occorre fidarsi della musica contemporanea", dice. Tuttavia - non può negarlo - l’opera lirica e la musica per film rimangono le più seguite. Ma c'è una cosa che collega tutte le arti e tutta la musica, ed è la parola "rispetto". "Il rispetto è tutto. La musica non è solo intrattenimento: si deve avere rispetto per la composizione originale, per ciò che il compositore avrebbe voluto, o vuole". Catherine Michel insiste sulla parola "rispetto" perché è grazie alla sua esperienza che può, oggi, precisamente affermare che "è dai vincoli e dalle regole che dobbiamo osservare e rispettare, che la nostra sensibilità può dare alla luce qualcos'altro".

Come si articola questo nuovo album, Musique pour harpe de Debussy à Bernstein?

Nella mia vita, ho avuto la possibilità di incontrare molti grandi compositori, tra cui Leonard Bernstein. L'anno scorso ricorreva il centenario della morte di Debussy e il centenario della nascita di Bernstein. Così, ho realizzato un disco dedicato a Debussy, e un altro a Bernstein. In verità, non solo a Bernstein, ma anche gli autori americani che hanno scritto i cosiddetti grandi successi, e coloro che io chiamo discendenti di Debussy nella musica francese.

Che cosa lo distingue dai lavori precedenti?

Con l'età, si inizia a raccontare i propri ricordi. Volevo rendere omaggio al mio insegnante, e soprattutto trasmettere alle giovani generazioni ciò che Debussy aveva detto a lui, proprio come io trasmetto ciò che Bernstein mi ha detto. Lo trasmetto in musica, ovviamente. Ma trasmetto anche, in un certo senso, il consiglio che mi è stato dato. Nella mia vita, non ho mai proposto nulla, mi è sempre stato chiesto di fare quello e quello, ed io l'ho fatto. Ho alle mie spalle una ventina di dischi ma, se vogliamo, per me ora è importante esprimere, dire ai giovani: "non esitate a parlare con i compositori, siano essi contemporanei o classici. Non esitate a parlare con loro, e soprattutto ad incoraggiarli a scrivere per noi, perché il nostro strumento è sempre stato uno strumento che fa sognare tutti ma del quale sappiamo poco, in fin dei conti". Inserire nel mio disco West Side Story per arpa e orchestra parrebbe assolutamente incredibile. Eppure, lo abbiamo fatto.

Nel luglio 1990, il musicista Bernstein, dopo un concerto, le concede il "privilegio" di un lungo ed eccitante scambio, che le permetterà poi di avvicinarsi alla commedia musicale e di riunire, grazie ad un vasto repertorio musicale classico e popolare, il pubblico all'arpa. Cosa significa, per lei, aver avuto questo "privilegio"?

Non è andata esattamente così. In realtà, ci incontrammo nuovamente negli anni '90, ma ci conoscevamo già da molto tempo, da quando appartenevo a l’Orchestre National de la Radio Française ed avevo lavorato con lui per diversi anni. Il nostro ritrovarci nel 1992, insomma, fu un caso. Lui mi riconobbe ed iniziammo a chiacchierare: "Cosa stai diventando, cosa fai?", ed io gli dissi: "Sono un po' triste perché vorrei suonare, suonare la tua musica" e lui mi rispose (è stata una conversazione lunga, la sto abbreviando): "Ascolta, prendi questi brani e vieni a suonarmeli, e poi vedremo come possiamo lavorare insieme". Ecco come sono andate le cose. Sapeva benissimo chi ero, come suonavo. Eravamo, come dicevo, colleghi, compagni di lavoro da molto tempo.

È lei ad aver scelto l’arpa, o è l’arpa ad averla scelta?

Questa è una storia triste. Mia madre è morta molto giovane e dovetti sostituirla nella scuola di musica dove era insegnante. Nella giuria incaricata di trovare un nuovo insegnante, c'era un insegnante che si prese cura di me, che mi ha cresciuto completamente. Fu un papà per me, l'amore della mia giovinezza. Quest'uomo era importante non solo perché aveva conosciuto Debussy, ma anche perché creò diverse opere, ed in particolare quelle di quattro compositori che diventarono - e sono tutt’oggi - delle celebrità. Era grandioso.

Come descriverebbe il suo modo di suonare, in francese « jeu », se non altro nell’intenzione?

Il mio modo di suonare, non lo so. Ma quel che definisce la mia personalità è innanzitutto l’aver avuto la possibilità di essere una persona curiosa. Sono da sempre interessata a tutto ciò che è stato scritto. Ho ricercato molto, ho scritto un libro, ho fatto molti dischi anche sui tempi di Napoleone, mi sono interessata a lungo di questo genere di letteratura. Beh, è tutto un po’ un ricordo, ma penso che col tempo, ritornerà. Ho trascorso vent'anni a fare musica per film, musica grazie alla quale riuscivo ad avere un pubblico che non avrei mai potuto ottenere con la musica classica. È più probabile infatti che le persone ascoltino la musica di John Williams e Leonard Bernstein, piuttosto che ascoltare la musica per arpa. È molto difficile risponderle, ma posso dirle che sono soprattutto una persona curiosa, appassionata. C'è desiderio di trasmettere, di liberare l'arpa dalla sua campana di vetro. L'arpa, purtroppo, è immolata in una sorta di immagine polverosa da salotto... E invece no, l'arpa può essere uno strumento estremamente moderno e popolare. Ve lo garantisco.

È in grado di guardare a se stessa in maniera retrospettiva? Direbbe mai, ad esempio, di un determinato disco o di un determinato brano, ho sbagliato, non è venuto bene?

Per me, ciò che è fatto è fatto. È divertente. L'altro giorno, proprio in questo senso, mi è successa una cosa incredibile. Ero invitata in un castello molto grande, entro, sento suonare l'arpa in lontananza. Mi isolo un po’ per ascoltarla e, tra me e me, dico: "Oh, che meraviglia!". Scopro poi che chi suonava ero io. Avevo dimenticato tutto. Quindi no, non guardo mai al passato. Ciò che mi interessa, tuttavia, è ciò che accadrà domani, ciò che suonerò, ciò che trasmetterò. Quello che è successo, sembrerebbe ridicolo, ma l'ho dimenticato.

Esistono dei riferimenti musicali che la accompagnano sempre? Ha, oppure no, un repertorio di predilezione?

No, non proprio. Come le dicevo, mi sono a lungo interessata a tutto ciò che non era stato conosciuto, a tutto ciò che era stato trascurato, nel XIX secolo soprattutto. Ho scritto un intero repertorio sulla musica del XVIII secolo, un libro consistente, duecento novanta pagine. La documentazione è notevole, ho ricercato a lungo, ho fatto tutto ciò che era in mio potere per metterlo in luce e, oggi, serve ai giovani da « Bibbia » di riferimento quando, ad esempio, si vuol fare un concerto con una tematica come quella della musica ai tempi di Marie Antoinette. Non voglio specializzarmi, finire in un imbuto e non poterne più uscire. Al contrario, più le porte verranno tenute aperte, maggiori saranno le opportunità, i nuovi possibili incontri, le scoperte. Quello che faccio ora, lo faccio soprattutto affinché le nuove generazioni, i miei studenti, continuino a fare questo lavoro. Pensi, solo un'ora fa mi è stato chiesto di andare a suonare Harry Potter in Inghilterra. L'avevo già suonato a San Pietroburgo e sono contenta che me lo abbiano chiesto nuovamente, perché fu un enorme successo. Questo progetto appartiene ancora al repertorio della musica per film, ma, al contempo, sto facendo delle ricerche sulla musica ai tempi di Napoleone. Ho registrato un disco che non riuscivo a ricordare, il mio desiderio adesso è quello di cercare nuovi spartiti da pubblicare. Non ci rendiamo ancora conto abbastanza di quanto l'arpa sia uno strumento meraviglioso per accompagnare la voce.

Catherine, lei è anche un’insegnante. Come cambia la sua vita da un lavoro all'altro? Nell'insegnamento, come nella musica, è necessario disporre di una presunta intelligenza artistica?

Tutto dipende dalla propria natura. Sono convinta di essere nata per fare l'insegnante, mia madre lo era, i miei figli lo sono. Siamo come dei fattorini: riceviamo qualcosa e lo doniamo. È un atteggiamento, in fondo, piuttosto semplice: ciò che abbiamo ricevuto, specialmente quando siamo consapevoli di averlo ricevuto da grandi maestri, ci sembra perfettamente normale trasmetterlo. Il lavoro di solista si svolge naturalmente. Io ero principalmente una solista. Nel mondo dell’orchestra, ho incontrato grandi direttori. La mia passione per la ricerca della musica deriva dall’essere stata orfana sin dalla tenera età. Non avevo la TV, non avevo niente, mi annoiavo molto, quindi curiosavo nella biblioteca di mia madre. Tutto questo in me avviene in modo molto naturale, non ci sono calcoli.

In quanto solista, si è esibita in molti paesi. In che modo la dimensione del viaggio influenza l’arte, la sua arte?

Questa è una domanda molto pertinente. Vede, quando mi esibisco, sento di portare qualcosa in un Paese. Ma spesso e volentieri mi pento di poter portare soltanto, senza ricevere da questo Paese tutto ciò che questo Paese potrebbe darmi. A dire il vero, non ho mai tempo di condividere qualcosa con le persone che riconosco. Poco tempo fa, stavo andando in Russia ad insegnare. Per la prima volta, ho detto: "Ascoltate, vi prego, mi sono spesso esibita a Mosca, a San Pietroburgo e in molte altre città, ma non ho mai avuto il tempo di incontrare altri musicisti e di interagire con loro. Questo è quello che mi manca."

In un mondo che è e sarà sempre più all’insegna del commerciale, come possiamo rendere la musica classica meno elitaria? La musica classica ha bisogno di essere rinnovata?

È lo scopo di questo disco. Con Bernstein parlavamo di repertorio, eravamo partiti da grandi nomi: Ravel, Debussy... Poi, gli ho detto: "Queste persone hanno scritto molto poco per noi, c'è solo un'opera di ciascuno, o due al massimo..." Ed è lì che mi ha detto: "Bisognerebbe rendere la musica accessibile". Ecco, questa frase mi ha colpito molto. Bernstein era molto stanco, era arrivato alla fine della sua vita, avevamo scambiato insieme cose familiari molto forti e intime, così mi disse: "Sai, sono stanco, devo unirmi a mia moglie". Gli risposi: "Sii gentile, lasciami lavorare una volta con te". Sorrise e disse: "Lascia che ti dia degli spartiti". La musica deve essere accessibile. Non dico che la musica contemporanea non sia accessibile, purtroppo è erroneamente considerata musica elitaria. È un peccato pensare che questa musica sia solo per pochi, come penso che sia sciocco pensare che non possa piacere al grande pubblico, ma per il momento ho capito che sono l’opera lirica e tutte le grandi colonne sonore, ad essere le più accessibili.

Un pianista cinese molto famoso di nome Lang Lang, notato dal pianista tedesco Eschenbach e poi dal direttore Barenboim, ha dichiarato: "Ogni interpretazione è una ricreazione". È d'accordo?

Oh sì! Totalmente. Ma la parola "ricreazione" devo ammettere che un po’ mi spaventa. Dobbiamo stare molto attenti, vale a dire che non possiamo fare esattamente quello che ci pare e piace. Non molto tempo fa, ho avuto a tal proposito una conversazione con uno dei miei colleghi con il quale non ero assolutamente d'accordo, almeno non con il modo in cui aveva interpretato un'opera di Ravel. Dopo il concerto, ne parlammo e lui mi disse: "Ma Catherine, questa è l'interpretazione". Personalmente, sono un po’ scettica al riguardo di chi prende troppe libertà con un testo. Vengo da una generazione in cui era d’obbligo una grande fedeltà e un rispetto che ci impediva di fare quello che ci pareva. Sono convinta che qualunque cosa facciamo, ad ogni modo, suoneremo tutti in maniera diversa! L'interpretazione non ha nulla a che fare con la totale libertà e anzi, la libertà nel vincolo è qualcosa di eccezionale nella musica, nell'arte in generale. Ci sono regole che dobbiamo rispettare, ma è proprio a partire da queste regole, da questi vincoli che la nostra sensibilità può dare alla luce qualcos'altro. La sua ultima domanda è molto interessante, è una domanda che ha un grande valore per me perché, nelle competizioni internazionali, purtroppo, vedo ora che con il pretesto dell'interpretazione molte persone agiscono come vogliono. Questo è un problema perché, dato che sono quasi sempre delle opere di compositori che ho conosciuto, so benissimo quello che avrebbero o non avrebbero voluto. Quando ero molto giovane, al Conservatorio di Parigi – sono entrata al Conservatorio di Parigi all’età di tredici anni – la persona che aveva creato le opere di Ravel partecipava ai corsi, e se noi la interpretavamo male, ci diceva esplicitamente: "Ma non è affatto quello che voleva Ravel!". Vede, grazie a Dio su Internet ci sono ora riferimenti a sufficienza per gran parte delle opere, per conoscere ciò che il compositore voleva. Nel mio nuovo disco, appena uscito, ci sono opere di un compositore piuttosto sconosciuto di nome Jean-Michel Damas, che era il figlio di questa donna per la quale ha scritto Ravel. Quando venne al Conservatorio per ascoltar suonare la classe, molto gentilmente, ci disse proprio così: "Ma non è affatto quello che voleva il compositore!". Ci tenevo a sviluppare quest'ultima domanda perché, come dicevo prima, nella mia vita è fondamentale. Il nostro lavoro non è un lavoro di improvvisazione, è nostro dovere ricercare ed essere assolutamente precisi. Dobbiamo, innanzitutto, essere davvero molto attenti a non violare la volontà del compositore.