Vedere e ascoltare Nancy Sinatra vestita di rosa, illuminata al centro di una piattaforma rotonda, con attorno assenza di luce, nella postura antica, semisdraiata, propria delle Sirene, mentre canta Bang Bang è sempre un’emozione e nonostante le numerose e tutte interessanti cover di questa canzone, fino a Lady Gaga e Dua Lipa, la sua interpretazione del 1966 resta ancora oggi freschissima e perfetta nel suo fascino unico. Quando il canto resta nel tempo non è mai vano sviscerarne l’anima interna.

La canzone ha una struttura ternaria. Il primo quadro mostra un ricordo vivo, quando lei, vestita di bianco e a cinque anni e lui, vestito di nero e a sei, giocavano su cavalli a dondolo di legno a fingere di spararsi. Il secondo quadro riprende questa immagine e l’arricchisce dell’allusione delicata ad una storia d’amore tra chi canta e chi è evocato. Una storia d’amore al cui interno resta il ricordo infantile, trasfigurato nell’allegorizzazione classica dell’amore quale gioco e quale contesa.

La lingua inglese con la sua efficace velocità figurativa accenna ai dettagli del suono delle campane di una chiesa, che si incrocia con il suono delle simboliche pistole. La dialettica possesso/ricordo viene accennata dall’unilateralità con cui chi canta evoca la relazione con l’uomo: I called you mine, just for me the church bells rang. Bianco e nero, io e lui, il colpo come metafora, l’innamoramento come caduta, stanno e cadono insieme in un senso dell’esistenza quale accadere irreparabile. Il quadro centrale tiene due momenti, mentre quello finale torna unico, con la terza ripresa della metafora della “lotta a distanza”, del colpire con l’illustrazione di un’assenza totale: fisica, di relazione, di senso. La “caduta” allora da gioco torna fisica ma nella concretezza dell’annientamento di un amore. Più che dell’amore è ancor di più il cadere improvviso del canto, della perpetuazione di un’illusione, di un ricordo e del suo poterlo rivivere.

Il suono originario non riesce a salire condiviso né a tramutarsi in un altro suono, come quello delle campane, cioè dell’unione senza tempo. Lo stesso accompagnamento musicale della versione originaria appare simbolico ed assai evocativo. La chitarra elettrica con l’effetto di vibrazione e l’arpeggio d’accordo singolo suscita un “effetto fantasmatico”. Il canto resta protagonista assoluto. La musica resta sempre all’inizio. Un accompagnamento antico, simile all’arpa, alla cetra rinascimentale. La voce non lascia la linea melodica allo strumentale. Impostazione sirenica che genera una rete da cui non si esce.

Le glissature del basso tendono a scendere, enfatizzando il percorso catabatico, il contro-climax che struttura il canto. Un canto-respiro dove gli accordi aperti e lasciati svanire vanno eco ad una voce-respiro che risuona sola nel vuoto, dentro un’assenza che apre vasti spazi mentali che sono l’America quale mito, quale epos del canto, spiritualità trascendentale delle grandi pianure. Un canto che ri-canta un regresso verso un passato che non passa e si avvolge su se stesso come la gabbia d’aria che imprigiona Merlino. La musica all’antica non riesce a tenere in continuo il canto ma assume il ruolo dello svanire fantasmatico del mondo. Una terra umida, a cui il cuore è segno, resta la protagonista ambientale al cui interno si avviluppa il canto.

Sapiente appare l’inserimento ex abrupto che Tarantino fa di questa canzone all’inizio di Kill Bill con la protagonista agonizzante di fronte al suo ex amore assassino. Tarantino letteralizza il “bang bang” metaforico della narrazione esprimendo così al massimo il senso dell’irreparabile e dell’ossimoro contenuto nel sono onomatopeico della parola e della sua reiterazione. La sua poeticità trasfigura la violenza prosaica della scena.

Simile ciclicità ternaria troviamo in un altro evergreen che esprime una delle anime dell’America quale Mito: California Dreaming. Anche qui innumeri versioni molto interessanti anche se resta ancor oggi predominante il fascino della versione originaria dei Mamas’ and Papa’s per la sua coralità intensa e l’equilibrio del ritmo. Magnifica la sua ripresa nel film Chungking Express dove l’affascinante Faye Wong, protagonista del film, ondeggia danzando mentre prepara il cibo per i clienti del negozio o mentre ozia e fantastica, facendo partire a loop questa canzone come una sorta di “colonna sonora esistenziale”, senza fine, de-pensante, che arricchisce con il muoversi infantile e aggraziato della sua eleganza, trasformandola così in un’allegoria indiretta dell’innamoramento quale “distrazione della mente”, assenza di pensiero.

In questo film orientale viene colto bene il carisma edenico di Dreaming California, dove L.A. si svela quale Utopia della Felicità. Pure questo gioiello ruota con pathos attorno ad un’assenza: l’assenza di luce e colore propria dell’inverno e assenza dell’amata. Nel freddo di un “non luogo”, lontano dalla sognata L.A. il canto diventa desiderio di un archetipale calore, nostalgia del ventre femminile. Non a caso compare all’improvviso l’immagine di una chiesa lungo una via deserta dove si entra per raccogliersi in una preghiera. Il “fingere di pregare” diventa comunque un momento di meditazione al centro di una passeggiata solitaria nel freddo invernale, un qualcosa simile ad una preghiera, pur sui generis, riempendo il momento centrale, secondo, del canto. Un “fingere” che è come l’assumere esistenzialmente il trovarsi “fuori posto”, lontano dal proprio desiderare, ma nel contempo difende la propria intimità, senza vera recitazione.

Come ogni grande opera di poesia l’indeterminatezza viene giocata con sapiente maestria: l’accenno ad un “parlare a lei” che ha impedito di partire subito per L.A. unisce il senso della mancanza e dell’assenza a quello del rimpianto, intensificando il pathos lirico. Un canto che si nutre di un silenzio, a sua volta generato da una colpa consistita nel parlare. Dentro il ciclo never-ending del ritmo abbiamo quindi un climax espressivo nell’evocare l’assenza che regge il canto: l’inverno, L.A. lontana, l’interruzione di una relazione con una donna, illustrando un’identificazione quindi dell’idea del calore e del benessere con quello della città ammirata, L.A. e della donna amata. Il canto inizia con un vagare senza meta, segno di libertà, a cui però è associato il freddo.

È l’America quale “Mito della strada”, luogo mitopoietico, di evasione e incontro, prima di tutto con se stessi. Chi canta riprende il tema del freddo quando parla della chiesa e del fatto che “al prete piace il freddo” e che “sa che io mi fermerò” (in chiesa). A sua volta il tema del freddo, del vagare e poi del fermarsi (nel freddo) da una parte cela il segreto dell’aver parlato a lei dall’altra sembra velare un pathos e un attaccamento proprio nel “restare nell’inverno”. Il ritmo cadenzato e ripetuto tiene tutto in unità e sembra riprendere il senso fisico del passeggiare e dell’eco del sentirsi.

Se Bang Bang canta la parabola di un amore iniziato come gioco infantile, poi divenuto sogno e infine svanito improvvisamente, Dreaming California canta anch’essa un’assenza d’amore scandita similmente dal senso del decorso del tempo. Poesia del tempo, prima di tutto. Lirica del trascolorare delle stagioni. Per questo tutti possiamo riconoscerci nell’ascoltarle, condividendone il pathos. Poesia anche dell’ossessione, dei pensieri ritornanti, di cui non riusciamo a liberarci e che allora sublimiamo in canto. Poesia che si vela di equivoco per cui Bang Bang usa l’aura della morte mentre è canzone d’amore, irreparabile come la morte, mentre California Dreaming similmente sfrutta l’aura suppletiva della California quale Eden per reggere il vuoto d’assenza che è spazio mentale necessario per l’espressione lirica.

È un giocare di rimbalzo. Due forme di canto in una medesima canzone! Il freddo della passeggiata è il freddo di una mente fissa nel non-pensare delle proprie ossessioni ciclicamente persistenti. Il doppio canto della versione originaria si fa simbolo: l’eco dei passi solitari, il risuonare nella mente vuota e sola delle proprie tenaci e conflittuali affezioni. L’archetipo di base resta quello della terra. Bang Bang nel ritornello ripete l’immagine del corpo che cade sul suolo, da gioco fisico a simbolo della fine dell’amore dove il colpo è come il filo tagliato dalle Parche. In California Dreaming l’archetipo è meno esplicito ma pure presente e fondamentale. Il senso della passeggiata nel freddo e l’evocazione della calda L.A. rappresentano polarizzazioni del medesimo archetipo della terra nei suoi due aspetti di giardino, di visceri caldi e di terra secca, saturnina, fredda, flemmatica.

Se la terra di Bang Bang possiede l’umido delle lacrime e della rievocazione la terra di California Dreaming è una terra del tutto asciutta e fredda. In entrambe le narrazioni il canto si regge su di una recisione irreversibile. Gli amati lontani, terre edeniche ormai perdute, è proprio con la loro irraggiungibilità mentale che suscitano e reggono la liricità del canto e della sua narrazione.