Quando circa sette anni fa ho conosciuto il musicista Alexander Aco Bocina mi sono stupita di quelle mani leggere e appassionate che volavano sulle corde magiche del suo mandolino e della sua chitarra. Per suonare in quel modo ci devono essere voluti millenni di esperienza, quelli di tutta la sua vita e della storia intera del popolo croato che gli ha dato i natali.

Aco ha compiuto sessant’anni lo scorso 22 maggio e posso affermare che a quella grande bravura che lo rende un aristocratico Maestro, aggiunge con la maturità una saggezza che ha acquisito tutta in Italia.

Ormai Aco è un musicista italo-croato, ha un figlio italiano, Ivan, che ha fatto crescere nutrito dai sani principi della musica, abita nella sua amata Milano e ha girato il Belpaese in lungo in largo avendolo ‘suonato’ dalla punta dello Stivale fino alla cima delle montagne.

Inoltre, il nostro mandolinista ha un raffinato gusto per i prodotti italiani e per il buon cibo di ogni regione oltre che per la bellezza di questa terra che apprezza come un’amante.

Proprio il 1° maggio, Festa dei Lavoratori, ho letto su La Repubblica una notizia che mi ha fatto pensare ad Aco: un musicista che andava a recuperare i suoi strumenti musicali era stato fermato dai carabinieri e multato perché in "assenza di comprovate esigenze lavorative" e, nonostante lo avesse dichiarato nel foglio e dimostrasse di appartenere anche a una famosa band, le forze dell’ordine affermavano: "La musica la si può fare per hobby, non è un lavoro".

Aco, infatti, per circa cinquant’anni ha vissuto da musicista, senza mai lavorare, quindi!

Come si diventa musicisti virtuosi?

Bisogna studiare, studiare, studiare e poi suonare, suonare, suonare e anche questo non basta. Occorre riuscire a coniugare la capacità tecnica di conoscere uno strumento con il proprio estro creativo.

Come si sviluppa l’estro creativo?

Si tratta di scegliere se accogliere il proprio sogno o lasciarlo volare via. Fin da piccolo sapevo che la musica era la mia strada. Anche se ero nato in una famiglia modesta, ho voluto con tutto me stesso dedicarmi alla musica. Devo ringraziare i miei genitori che me lo hanno consentito, anche se i loro mezzi economici erano limitati. Non mi sono mai distratto dallo studio, mi sono applicato finché non sono diventato uno dei migliori!

Come hai ripagato il loro sacrificio?

A diciotto anni sono partito per Brazza, un posto straordinario, dove ho suonato per una decina d’anni nei migliori locali dell’isola. Mio padre faceva il tornitore, un bravo tornitore, ma io guadagnavo quattro volte quello che guadagnava lui, così mandavo a casa tutti i miei guadagni, perché ai miei genitori e a mio fratello non mancasse nulla. Avevo vitto e alloggio nei migliori alberghi e una terra meravigliosa dove ho trascorso gli anni più belli della mia vita. Mi esibivo per tre ore al giorno, mi preparavo provando con gli altri musicisti, poi c’erano il cielo azzurro, le spiagge di sabbia bianca e un mare trasparente dove nuotare. E le distese verdi di ulivi riflettevano su di me l’abbondanza di quella terra, nutrivano il mio corpo e la mia musica di profumi e sapori… Il cibo era ottimo e avevo tutto quello che potevo desiderare…

Sei riuscito, quindi, a fare il lavoro che hai sempre desiderato?

La giovinezza l’ho vissuta intensamente, poi sono diventato talmente ricercato che hanno cominciato a chiamarmi dappertutto, prima in Iugoslavia dove ero il primo mandolino dell’orchestra della mia città, Spalato, poi all’estero. Sì, ho avuto molta fortuna, ma c’è voluta abnegazione e un grande impegno. Ora lo racconto con leggerezza, ma non è stata una passeggiata. Però io amo vedere sempre il bicchiere mezzo pieno…

Ti sei mai pentito di aver lasciato la tua terra?

Io sono un’ulisside, non ho mai lasciato la mia patria… Anche viaggiando da un Paese all’altro, mi sono sempre portato dentro l’anima, la bellezza, i ricordi e gli affetti del mio mondo, semmai mi sono arricchito con altra bellezza, in Italia, soprattutto, dove mi sento proprio a casa, nonostante il momento difficile che stiamo vivendo noi artisti… E comunque non mi pento mai delle mie scelte, le strade hanno tutte una fine, nessuna è sbagliata, mi lascio guidare dal flusso…

Come stai vivendo questa situazione di blocco delle attività e soprattutto dei concerti?

Nella vita di un musicista ci sono sempre degli alti e dei bassi, mi adatto al pentagramma del momento… certo il mio desiderio è di fare ancora grandi concerti, ma nel frattempo cerco di trovare un altro modo per occuparmi…

Sei considerato il miglior mandolino del mondo, il Maradona del Mandolino - tanto che ti è stato attribuito nel 2016 il Premio Città di Napoli –potresti anche insegnare ai giovani ad amare questo strumento!

È da un po' di tempo che ci sto pensando, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria e di mancanza di lavoro. Mi piacerebbe trasmettere le mie conoscenze musicali ai ragazzi, non solo mandolino, ma anche chitarra. Posso insegnare a suonare, a comporre musica per questi strumenti, ma soprattutto è importante trasmettere loro la passione per la vibrazione della musica!

Come richiameresti l’interesse dei ragazzi per la chitarra, per esempio?

Io non sono un venditore di musica, io sono un Maestro e un maestro non può forzare alcun allievo. Così come faccio con mio figlio, i giovani devono essere lasciati liberi di seguire il loro flusso, se hanno voglia di varcare la soglia della musica io ci sono, non posso cercare gli allievi, sono loro che devono trovare il maestro, quello giusto per loro…

E se arrivasse da te un allievo, appassionato, curioso, pieno di voglia di imparare, cosa gli diresti?

Nulla, lo lascerei interagire con lo strumento, cercherei di capire il suo rapporto con esso, osserverei il suo corpo, le sue mani, il suo sguardo e pian piano cercherei di mostrargli i movimenti e di fargli sentire come ascoltare i suoni…

Tu come ascolti i suoni, cosa è per te la musica?

Per me tutto è Musica, suono, vibrazione. Sono abituato a riconoscere ogni minimo fruscio, a distinguere le note che si celano nel chiasso o nel silenzio, che danzano allegramente sul selciato della realtà, o che si celano mestamente in ogni emozione. Le guardo comporsi davanti a me, librarsi nell’aria leggere, le vedo discendere velocissime e dettarmi i tempi giusti, le osservo mentre rallentano e si separano, ne carpisco i segreti, i toni, i timbri, ne comprendo la misteriosa armonia…

E quando non suoni o componi musica, cosa ti piace fare?

Per prima cosa ascoltarla, la musica migliora le mie giornate, mi cura, la sua vibrazione è in grado di vincere malattie e di migliorare lo stato d’animo. Mi rallegra, mi rende malinconico, accompagna le mie gioie e i miei dolori, ma mi dà sempre una speranza, un nuovo ‘La’…

Quale altra passione segreta coltivi?

C’è una cosa che amo fare e che mi rilassa come la musica, mi piace pescare… stare per ore in silenzio, con la pazienza di aspettare che il pesce abbocchi, che scuota la canna da pesca, al chiaro di un piccolo lume, o in una notte illuminata dalle stelle, sentendo lo sciabordio dell’acqua, il suono sommesso delle onde e il respiro armonico dell’Universo. Non c’è niente da fare, sento sempre note che mi vengono a trovare anche nell’assordante rumore del silenzio…

Quando ti esibisci è più importante il pubblico che ti acclama o lo spettatore silenzioso che coglie ogni sfumatura?

Sono importanti tutti e due: come afferma la fisica quantistica, l’osservatore influenza il fenomeno. Se uno spettatore è distratto posso condurlo dentro lo spettacolo muovendo le giuste corde. Se uno spettatore è attento e segue l’armonia del suono, il suo cuore mi parla più delle sue esclamazioni, ma è chiaro che lo scroscio di un applauso mi carica e mi appaga. Purtuttavia a volte mi diverto di più con un pubblico che non conosce la musica ma si lascia trascinare dalla forza del suono, piuttosto con un pubblico di esperti sempre attenti alla tecnica e poco inclini a farsi muovere altre corde. Io faccio musica gitana e mi piace viaggiare nel cuore della gente, attraversare la loro anima e perdermi nell’Universo delle loro emozioni… Tutto questo si riverbera nella mia anima e la rende più luminosa…

Quando Aco suona, sembra un fiume in piena, scuote l’aria come una tempesta, crea un’armonia sempre più incalzante capace di scaraventarti altrove. Ti schiaffeggia come un’onda, ti sommerge come l’acqua che fuoriesce dagli argini.

Hanno ragione le forze dell’ordine, fare il musicista crea disordine, non è un lavoro, è un piacere, un modo di dare vita agli altri, di trasmettere vibrazioni positive, di creare gioia, di stimolare la creatività, di far nascere nuove idee, di migliorare la comunicazione, di far evolvere chi è ancora inconsapevole delle sue emozioni. Dovrebbe diventare un lavoro, un musicista o un gruppo di musicisti, dovrebbero suonare in ogni luogo della burocrazia, in ogni caserma, in ogni istituzione, in ogni carcere. Il musicista è uno scassinatore, apre le pareti del tempo e si allarga in altri spazi, è una sorta di manager divino, stimola la produttività, ma non quella economica, bensì quella della Natura...