La trama artistica di una vetusta struttura, il teatro polifunzionale “Anche Cinema”, sita nel centro di Bari, all’interno della stazione e per questo intramagliata tra binari, asfalto e cavi elettrici, pone il senso del suo agire nell'elargizione di cultura ad ampio spettro, coinvolgendo artisti del panorama nazionale ed internazionale, esponendo cultura dall'underground al lirismo neoclassico.

Questo spazio ludico nasce negli anni Trenta - 1921 - nel ventennio fascista, come cinema teatro conosciuto con il termine di “cinema dei ferrovieri”, uno spazio gestito dal Dopolavoro ferroviario, con sala scherma, sala biliardo, sala giochi, un luogo di intrattenimento gratuito o sottocosto frequentato esclusivamente dagli impiegati delle ferrovie. Dopo la Seconda guerra mondiale diventa uno spazio aperto al pubblico mantenendo l'identità dei ferrovieri ed il nome originario “Cinema Lucciola”. Di proprietà delle Ferrovie dello Stato fino al 2005, poi ceduta alla srl Dlf patrimonio (che possiede tutto il patrimonio immobiliare del Dopolavoro ferroviario), questa sala ha visto nel tempo l’avvicendarsi di diverse gestioni, la prima dal dopoguerra al ’74, poi nel ’74, la prese in gestione il tarantino Aldo di Gennaro, che sotto la presidenza di Giovanni Decaro, assessore socialista, la ristrutturò completamente dandole il nome di “Royal”. Dal 1981venne rilevata da Nicola Martino e, in seguito, fu gestita dalla sua famiglia anche dopo la morte di quest’ultimo. Purtroppo, questo spazio non rinnovando l'offerta comincia la sua lenta decadenza, fino ad arrivare al 2013 quando Andrea Costantino decide di far rinascere la struttura: grazie all’incontro con Ebe Guerra, un avvocato esperto in materia di diritto dello spettacolo ed a Tommaso Barone, presidente del Dlf Bari - Dopolavoro Ferroviario - ha chiesto il permesso all'ex gestore, che era in causa con i proprietari, di poter provare a condividere l'idea di una transazione che potesse realizzare gli interessi di tutti, mettendo da parte le questioni legali, che si sarebbero sicuramente trascinate per anni lasciando la struttura a marcire. La battaglia - durata 6 anni - del proprietario, nonché direttore artistico, è riuscita a predisporre la procedura per dare inizio alla ricerca di una nuova struttura che mancava nella direzione del panorama culturale barese.

Questo spazio, quindi, rinasce nel 2016 con l'idea di creare un luogo parte dello spettacolo, non solo una scatola in cui vedere il film, ma un'identità versatile, poiché in quei 10 anni la politica barese, in seguito ad investimenti sulla cultura, aveva creato un enorme fermento culturale ed enormi aspettative sulla distribuzione di contenuti. In quegli anni a Bari mancava un luogo d’incontro, un posto fuori dalla città percepita, che riuscisse a strappare da quella cappa che a volte hanno le multinazionali o la politica nella gestione degli spazi, un cinema - grande simbolo di Bari - che potesse essere gestito in modo libero e indipendente per offrirlo alla collettività di operatori culturali. La percezione che si aveva di un posto sito nel cuore della ferrovia, a ridosso di una via - via Quintino Sella - che fa da spartiacque e muro al confine tra quartieri, ha innescato il fascino di una formula di tendenza: quella di creare una comunità scontrandosi con l'abitudine delle persone, uno degli ostacoli più grandi, ma che inaspettatamente ha manifestato un approccio di grande accoglienza. Il processo che passa dalla soggettività alla creazione di una comunità, è frutto di una risposta che parte dall’intenzione di sfuggire al controllo di chi cerca di dominare la collettività stessa plasmandone in toto la necessità di emancipazione.

L'avvio del movimento dei diritti civili ha richiesto, ad esempio nell’episodio di Rosa Parks, una netta presa di coscienza che ha portato ad un no che ha cambiato la storia.

Le persone dicono sempre che non ho ceduto il mio posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente o non più di quanto non lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro. Non ero vecchia, anche se alcuni hanno un’immagine di me da vecchia allora. Avevo 42 anni. No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire.

(Rosa Parks, My Story)

Ciò che innesca un cambiamento sociale culturale riguarda una comunità, un gruppo di persone, soggetti protagonisti della vita culturale di una città e quindi attivisti reattivi ed appassionati nei confronti di qualcosa che li porta ad essere propositivi ed a collaborare pretendendo innovazione, l’esistenza di luoghi che creino rinnovamento e rianimino uno spazio societario. Innanzitutto, per avviare un progetto ci deve essere una persona implicata con una forte personalità, legami forti con i propri simili e nello stesso tempo legami deboli, ovvero amici di amici che la conoscano pur non avendo un rapporto diretto e la stimino avendone valutato e percepito l’operato. Percepire, ma soprattutto riuscire a superare la diffidenza che c'è nelle persone e la scarsa propensione verso la curiosità, lottando con un diffuso grado di omologazione e sicurezza che la gente trova nelle abitudini, non mettendosi in discussione.

Proporsi con un'identità forte, pronta a raccogliere tante individualità, pone nell’altro la difficoltà di percepire quello che si è, quante cose si è. Molti attrattori culturali per creare certezza nelle persone puntano su un’unica fortissima caratteristica per attrarre il pubblico con determinazione, proponendo sempre lo stesso contenuto - secondo le leggi del capitalismo - ma ciò, da un certo punto di vista, non è un atto di grande valore culturale bensì implementa un atteggiamento aggressivo di un substrato sociale verso qualcosa che non conosce.

Il valore aggiunto del progetto di Andrea Costantino, di quel piccolo gruppo di ragazzi volenterosi e capaci, che è riuscito a raggiungere l'obiettivo, è di presentare, senza l’illusione di un cambiamento, senza alcuna pretesa politica o la presunzione di destare anime, con un approccio più moderato - ed in questo assolutamente diverso - proposte culturalmente avanzate scavando la solidità di vari gruppi sociali stratificati e di tutti quei legami attivati dalle logiche del gruppo che intervengono a favore dell’arresto infimo del processo di esclusione, riuscendo a creare una comunità che rende la proposta culturale condivisa, mantenendo un'identità multidisciplinare con un pubblico che possa rappresentare una comunità dove coniugare e guardare lo spettacolo dal vivo, impostazione futura dello spettacolo polifunzionale. Le scelte artistiche ed il tipo di spettacolo fomentano interesse verso una visione di cultura opposta a quella impostata per decenni, idea di cultura esclusiva non inclusiva, ma identitaria: includente ed esclusiva, una contaminazione polifunzionale, non solo dal punto di vista multi artistico, ma anche un veicolo che permette l'incontro di diversi pubblici sfidando la tendenza di un'abitudine che invece educa al non cambiamento.

Angela, venuta a trovarmi nel mio eremo, si divertiva a vedere come acchiappavo con un fazzoletto le mosche entrate nella mia stanza per poi liberarle dalla finestra. Divertiva anche me, non perché pensassi che fossero la reincarnazione di qualcuno, ma perché mi pareva un modo per essere in armonia con gli altri esseri viventi, un'occasione per non togliere vita alla vita. Solo un'intuizione, visto che non ho bisogno di credere, di avere fede, di essere sicuro di nulla. Vivo ora, qui, con la sensazione che l'universo è straordinario, che niente, mai ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta.

(Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra)

La difficoltà è di raggiungere la sostenibilità di un evento culturale in una città, Bari, di 400.000 abitanti, una provincia di più di un milione di persone, una regione di 5 milioni di cittadini, in un cinema dove c'è un treno che arriva quasi dentro il teatro, eludendo un approccio capitalistico aziendale e mantenendo l'identità sperimentale. Il futuro dell'impresa culturale dei piccoli attrattori culturali in tutta Italia non può che essere polifunzionale implementando la realizzazione di un progetto pilota di un tipo di spettacolo che non ha bisogno di sottostare a delle imposizioni private o pubbliche, avvalorando la dignità di artisti emergenti, che vivono un destino di privazione di libertà di espressione ma che riescono a conquistarsi una volta nella vita un grande palco. Non un filtro di qualità, bensì l'unico sbarramento è la sostenibilità.