Una fata dai lunghi cappelli rossi si muove con incedere regale nella magnifica Piazza del Duomo di San Gimignano: la cittadella turrita possedeva, in epoca medievale, 72 torri; ora le 13 rimaste sono, dal 1999, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Sarà uscita da una di queste aristocratiche vette, la nostra Seduttrice “impalpabile, sfuggente come un animale raro” e schivo? Chissà… Sotto una leggera mise color carne, la figura clou dell’ottava edizione di “Orizzonti Verticali - Arti sceniche in cantiere”, indossa un abito campione di originalità e bellezza (di Rosaria Minneci), fatto di una lunghissima coda in cui a volte si nasconde come un riccio. Stoffa? Macché: sono fogli di carta arrotolati, pagine scritte, oppure linde, innocenti. E lei trascina questo suo tesoro ora stesa a terra, ora con i suoi piedi calzati di sandali leggeri, piegata, in cambré, come stesse danzando ma il suo danzare è solo un accenno. Le braccia si alzano e si chiudono più avvinte a “parole, segni, speranze, sapere, sogni, visioni, appelli” che non agli sguardi e persino all’aria che nella tre giorni dei Cantieri - quest’anno non a caso intitolati Sentieri di carta - si infervora e si cheta, forse alimentando con i riccioli fioriti come origami della lunga coda della fata fantasie, ricordi e di certo “ravvivando le menti” nel senso così ben definito e descritto da John Berger in Questione di sguardi. Sette inviti al vedere fra storia dell’arte e quotidianità.

Questo testo, ormai imprescindibile, che ci invita a osservare con stupita meraviglia, e a rimettere in discussione ciò che crediamo di sapere, aiuta a non trasformare in fashionable l’immagine rapinosa, esaltante, baciata dalle elaborazioni sonore di Daniele Borri con inevitabili rumori di carta e tuoni di natura. Per tre pomeriggi, al tramonto, la fata interpretata dalla bella e fulva Camilla Diana, ha percorso il perimetro di una grande piattaforma posta al centro della Piazza, e di rado vi è salita sopra, e solo per lambirla e poi fuggire sulla scalinata del Duomo o dalla parte opposta. I due direttori dei Sentieri di carta - Tuccio Guicciardini, figlio di Roberto e come lui, regista, e Patrizia de Bari, coreografa/danzatrice - hanno fatto in modo che Bianchisentieri - questo il titolo della performance (nata nel 2013 e già presentata in diversi luoghi e musei) si abbinasse ad un rito quasi sacro, nel senso attribuito a questo termine da Mircea Eliade, ossia ad ogni cosa che per qualche ragione (potenza, bellezza, temibilità, stranezza o altro) si distingue dal resto. Sulla bianca piattaforma, infatti, il pubblico veniva invitato ad incollare - tramite una maestra di cerimonia e delle ancelle con un vassoio e della colla - la pagina di un libro: un testo proprio e amato, ma strappato in onore di un’installazione che presumibilmente s’infittirà a Genazzano, quando e se l’intero armeggio verrà trasportato colà.

Con un garbo e un’eleganza, attinente al luogo, il rito ha già dato molti e insperati frutti, assieme all’idea scaturita dal “pensatoio” dei due direttori durante il lockdown e sino alle diverse disposizioni ministeriali, di non confezionare un cantiere interdisciplinare o multidisciplinare (parole ormai destituite di ogni spirito innovativo, proprio come la parola “festival”), ma di lasciarlo correre per conto proprio come un incontro tra amici conniventi e speciali, ma anche tra un pubblico incuriosito e talvolta attonito per la quantità di inviti predisposti qua e là con naturalezza, senza obblighi, biglietti, impegni…

È piaciuto L’Omaggio a Carlo Quartucci (scomparso alla fine dell’anno scorso), celebre teatrante che con Carla Tatò diede un gran calcio alle istituzioni teatrali per unirsi all’indimenticato pittore /scultore/installatore Jannis Kounellis, nell’esperienza performativa “maggese” di un Camion bianco, itinerante per vie e piazze poco conosciute. È piaciuto anche a chi, come noi, non si è mai imbattuto nei suoi spettacoli, grazie alle parole di Donatella Orecchia autrice di Stravedere la scena Carlo Quartucci. Il Viaggio nei primi venti anni 1959-1979, corredate, nella fascinosa Piazza Pecori, dalle musiche di Luigi Cinque dal vivo e dalle appassionate “interferenze” della Tatò, ma anche di altri relatori.

Più tardi, nella stessa serata, ha persino commosso Il dottor Semmelweis, racconto tratto da Louis-Ferdinand Céline e dedicato al grande e misconosciuto debellatore ungherese dell’infezione puerperale che nel cuore dell’800 dovette subire le più ignobili angherie da parte dei baroni della medicina istituzionale, a causa delle sue scoperte capaci invece di salvare la vita a migliaia di puerpere spesso abbandonate a se stesse perché povere o senza marito. Un travaglio medico-esistenziale ben esposto da Sergio Basile (e coordinato da Andrea Di Bari) che portò l’insigne scienziato (1818-1867) alla follia e ad una morte precoce.

Sottile e delicata, anche qui, l’assonanza tra l’attuale pandemia e questo flagello lontano ma non così distante nelle battaglie, forse anche politiche, tra i virologi attuali… È difficile dire se i giovani che hanno poi assistito, nel recinto naturale della Rocca di Montestaffoli, al duetto di due congiunti, Lorenzo di Rocco e Jennifer Lavinia Rosati, abbiano continuato a rimuginare sul terribile “caso Semmelweis”. Forse di fronte a una goccia di danza, intitolata Entanglement_Studio 2 (Groviglio_Studio 2), snocciolata in braccio alle musiche di Zack Hemsey - molto simile a un corretto e liberatorio esercizio di Contact Dance (e per ora nulla più) - si sono sbarazzati di molti pensieri.

Assieme ai due giovani e resoluti esordienti, la danza a Sentieri di carta ha ospitato un interessante estratto da Leonardo da Vinci: Anatomie spirituali della Compagnia EgriBianco Danza di Torino. Guidata da una straordinaria danzatrice, coreografa e didatta dalla vita rocambolesca e dalla solida ferula didattica, l’ungherese Susanna Egri, classe 1926, è una dei nostri residui Maestri della modernità coreutica. Con lei ha ballato la bellissima madre di Tuccio Guicciardini e i legami con la Compagnia Giardino Chiuso retta da Patrizia de Bari, sono molto stretti. In Piazza Pecori è così risuonata la voce (per interposta persona, ovvio) del genio di Vinci, incastonata nel sound concept rinascimentale di Diego Mingolia. Parole e suoni a portata di mani e piedi, spesso distorti e con le dita forzatamente aperte dei sei danzatori (tre uomini e tre donne) che non hanno raccontato alcunché, se non nella loro nudità coperta solo da slip, quella sorta di analogia tra l’essere umano e l’animale, tra istinto e ragione così cara a Leonardo e in lui così acuta nello scavare entro i misteri della natura. Raphael Bianco, l’autore della coreografia, ha così avuto modo di lanciare i suoi interpreti in una sorta di esposizione personale delle capacità trasformistiche di ognuno. È prevalso il segno aguzzo, diabolico, corvino dei ballerini maschi, mentre all’elemento femminile è toccata una maggiore grazia, quasi a bilanciare le fosche trame di uomini rapaci e persino terrorizzanti negli sguardi cattivi.

L’estratto, pur nella correttezza geometrica della coreografia (diagonali da tutti i lati della piattaforma-palco, assoli, duetti eccetera), e soprattutto nell’originalità della scelta tematica, sostenuta da ricerche che rimandano agli studi anatomici di Leonardo, pecca di scarsa sintesi: se si procedesse per eliminazione del più volte, inutilmente ripetuto, persino l’intero lavoro - il secondo di un progetto intitolato Ergo Sum - ne trarrebbe giovamento. Ma giudicare da un estratto è sempre pericoloso: lasciamo in sospeso… quel che invece, nella Piazza delle Erbe, è tornato ad essere del tutto positivo. Il finale di “Orizzonti Verticali/Sentieri di Carta”, sempre in combutta con il fiorentino “Fabbrica Europa”, storico appuntamento performativo di cui scriveremo, è stato tutto riservato alla parola.

In “Sto felicemente dimenticando tutto”, frase estrapolata da Tutto, testo di Sebastiano Vassalli, autore molto amato da Tuccio Guicciardini, si sono radunati nella Piazza delle Erbe, nove amici e sodali dei Sentieri di Carta. Giancarlo Cauteruccio ha proposto un estratto dal suo monologo Fame. Mi fa fame del 2005; Sergio Basile ha riportato in vita alcune divertenti pagine del poeta Ernesto Regazzoni. Virginio Gazzolo, classe 1936 che con Giardino Chiuso/Opus Ballet ha dato vita a un Pinocchio da rimettere subito in scena, ha guidato il pubblico attraverso una storia che si snodava tra Leopardi, Pascoli, il Belli, Dante Alighieri e Jacopone da Todi. E ancora Angela Torriani Evangelisti ha declamato con il corpo e non solo con le parole, estratti da I volatili del Beato Angelico di Antonio Tabucchi. Giulia Martini ha letto da un suo libro di poesie del 2019: Alessio Martinoli ha frugato nel Galileo di Bertolt Brecht e Carla Tatò nella splendida Pentesilea di Kleist. E mentre Giuliano Compagno rifletteva leggendo sulle pagine del defunto filosofo Mario Perniola, si poteva tornare all’inizio di questa originale kermesse con Patrizia Zappa Mulas, in assenza, ma a voce in Ofelia all’Inps, un suo racconto.

Di certo non “abbiamo felicemente dimenticato tutto” in questa serata e nella tre giorni di “Orizzonti Verticali/Sentieri di Carta”, anzi la nostra memoria sta ancora rievocando tutto, inclusi i muri spessi, solidi, medievali, baciati da diapositive appropriate e mai invadenti. Una conclusione? Questa vetrina morbida, meravigliosamente disorganizzata/organizzata (e non è un difetto) ha dimostrato che i festival estivi sono definitivamente periti. Si procede in un fare in “fuga dal pensiero”, in un tempo sospeso, mai corrotto da preconfezionati “programmi” e in una indeterminazione dei significati - parola, danza, azione, performance - che di essa si appaga.