Tra pochi giorni, l’11 dicembre, sarà nelle sale dei cinema, per un solo giorno, Temporary Road, un film che racconta la sua storia in modo singolare, seguendolo a ogni passo nel tour di Apriti Sesamo, ed è appena uscito il disco in coppia con Antony Hegarty, che testimonia il concerto tenuto la scorsa estate all’Arena di Verona.

Nel frattempo Franco Battiato è in tournée con uno spettacolo, Diwan, basato sulla scuola poetica araba nata in Sicilia intorno all’anno Mille, e aspetta di terminare come regista le riprese di un documentario in Nepal. Aggiungiamo le continue mostre con i suoi quadri, e viene fuori il ritratto di un artista impegnato su molti fronti. Ho visto il concerto di Montecatini Terme, il primo del tour che è ancora in giro, un bel lavoro, nonostante che - ammetto - un pizzico di timore per il rischio-noia alla vigilia lo avessi. Invece Battiato, accompagnato da un gruppo di ottimi musicisti (Nabil Salameh e Sakina Al Azami voce, Carlo Guaitoli piano e tastiere, Gianluca Ruggeri percussioni, Jamal Ouassini violino, Ramzi Aburedwan bouzuq e viola, Alfred Hajjar nay) ha saputo alternare alcune sue canzoni che potevano inserirsi in questo progetto, e pezzi scaturiti dalla ricerca storico-musicale.

Alla vigilia dell’esibizione, molto apprezzata anche da un pubblico che ha ottenuto una lunga serie di bis (alcuni dei quali del tutto fuori programma, come La Cura) l’ho incontrato nell’hotel proprio di fronte al teatro, immerso nel parco termale della cittadina toscana. E’ stata una chiacchierata con una persona gentilissima e cortese, che sembra totalmente immersa in quello che sta facendo, a cominciare da Diwan. “E’ un’operazione antropologica – spiega - un modo per mettere insieme due culture che solo in apparenza sono separate, perché noi siciliani siamo stati dominati dagli arabi, naturalmente. Mi interessava presentare il periodo d’oro della cultura araba, ma ho colto l’occasione per riprendere in mano anche alcune mie canzoni scritte negli anni ’80, in cui mi divertivo a mettere parti in lingua araba, e alcuni pezzi del mio repertorio di natura spirituale, come Lode all’inviolato e L’ombra della luce.

E’ un tipo abbastanza curioso, Battiato: ha un disco in uscita ma non spende troppo tempo a parlarne, e sul palco la coerenza dello spettacolo non gli permette (o non gli consiglia) di fare pubblicità a Del suo veloce volo, firmato insieme a Antony and the Johnsons. “Antony è uno dei cantanti più straordinari che ci siano in circolazione in questo momento. Il disco è più o meno diviso a metà, ma facciamo qualche pezzo insieme: una cover di As Tears go by dei Rolling Stones, la traduzione di un brano dello stesso Hegarty che dà il titolo a questo album, e poi You are my sister. Siamo diversi, ma credo che il nostro modo di fare musica possa coesistere”.

Sotto il tendone del teatro Verdi, quello che molti dalla platea chiamano continuamente “maestro”, inanella una lunga serie di pezzi, nessuno dei quali è nel cd appena sbarcato nei negozi. A Montecatini tra le altre ci sono Niente è come sembra, Veni l’autunu, Arabian song, Personalità empirica, L’ombra della luce, Lode all’inviolato, Oceano di Silenzio, Le sacre sinfonie del tempo, Haiku, Fogh in-nakhal, prima dei bis Stranizza d'amuri (con tanto di complimenti per il pubblico che batte le mani alla perfezione nonostante il tempo ostico di 7/8), La cura, L'animale e qualcos’altro.

Quando parla, Battiato alterna le riflessioni sul ruolo dell’artista e i ricordi di una carriera piena di progetti diversi fra loro, che vanno dal pop al progressive, dai successi commerciali alla sperimentazione pura, fino all’opera. Insomma, una produzione fatta di continue rivoluzioni, sfide ed escursioni in vari campi musicali. Per esempio, parlando dell’ultimo lavoro in studio, Apriti Sesamo, che riflette ancora una volta sulla necessità di dedicarsi alla ricerca spirituale, spiega: “I veri artisti devono studiare e condividere con il pubblico: non inseguire successi facili, ma indicare strade di natura superiore. A che cosa serve la vita se non ci si interroga su questo, se non si cerca una risposta? Io me lo domandavo già ai tempi di Pollution, quando cantavo ‘Ti sei mai chiesto che funzione hai?’. Nel mese di dicembre dovrei terminare le riprese di un film, Attraversando il Bardo, intervistando tre grandi lama tibetani a Katmandu. E’ un film che ruota intorno al concetto della morte, inteso diversamente da come lo rappresentiamo di solito in occidente, almeno finora”.

Parlando del passato invece, Battiato si diverte a raccontare della sorpresa di La voce del padrone. “Il disco precedente, Patriots - sono le sue parole - aveva venduto centomila copie, e io avevo toccato il cielo con un dito. Pensavo di poter arrivare a centocinquanta, forse duecentomila. Alla fine, negli anni, sono diventate tre milioni. Questo successo mi ha dato la possibilità di spaziare in un altro campo e scrivere canzoni mistiche. Mi ricordo ancora l’incontro con il gotha della casa discografica quando gli portai Come un cammello in una grondaia. Loro sapevano che io non facevo ascoltare niente: dovevano prendere quello che consegnavo, senza modifiche. Una volta lì, però, mi domandarono ‘Ma veramente vuoi fare un disco in cui su un lato ci sono lieder in tedesco e francese e sull’altro brani in italiano senza ritmica? Venderemo diecimila copie’. Invece ne vendemmo cinquecentomila, anche perché c’era Povera Patria, di cui si appropriarono tutti, dai comunisti ai fascisti. E’ stata l’unica volta in cui mi ha telefonato il direttore delle vendite, per dirmi che avevano comprato trentacinquemila dischi il primo giorno nella sola città di Palermo”.

L’ultimo pensiero, immancabile, è per l’esperienza amministrativa come assessore della Regione Sicilia, con Rosario Crocetta, interrotta in anticipo. “A Crocetta avevo posto delle condizioni per accettare l’incarico, e non le ha rispettate. Avevo capito già da un po’ che volevano farmi fuori: mi criticavano addirittura perché nelle occasioni ufficiali non portavo la cravatta, mentre la gente mi fermava per strada e mi incoraggiava, dicendomi che non gli importava se ero più o meno elegante secondo i criteri dei politici. Non bisogna essere ingenui, sapevo che sarebbe stato difficile, ora però mi sono fatto un’idea più chiara: è tutto contaminato, e l’unico modo per venirne fuori sarebbe cambiare un’intera classe politica. Siccome è praticamente impossibile, si può solo abdicare”.