E così se ne è andato anche il tristissimo 2020! Ed è trascorso, è il caso di dire, quasi sotto silenzio a causa della maledetta pandemia il duecentocinquantesimo anniversario della nascita di Beethoven. Gli appassionati si sono dovuti accontentare del freddo surrogato dei concerti in streaming che qualche teatro ha trasmesso.

Povero Beethoven! Era così contento che già dai primi giorni dello scorso anno se ne era andato lungo le strade del Paradiso a invitare gli amici a seguire i concerti in suo onore sulla terra da un grande balcone sui cieli che gli era stato eccezionalmente concesso. Il Signore aveva voluto sdebitarsi con lui per la direzione dei cori degli angeli alla quale si era dedicato da sempre con passione e vigore, felice che lassù finalmente gli era tornato completamente l’udito.

E tutti i suoi più fidati amici, le famiglie Von Breuning e Wegeler al completo, il pastore Karl Amenda, il suo maestro Christian Gottlob Neefe e il premuroso segretario Anton Schindler avevano accettato di buon grado l’invito, curiosi di vedere come il loro Ludwig sarebbe stato celebrato nel mondo e ansiosi di godersi in contemporanea i suoi commenti. Tra l’altro con la serenità del Paradiso era diventato piacevolissimo e gradevole quel carattere burbero e scontroso che lo aveva reso in vita spesso difficilmente sopportabile.

E lui già se li immaginava i concerti. Pregustava l’esecuzione della Terza Sinfonia, l’Eroica, la sua preferita, affidata ai Wiener Philharmoniker diretti da Riccardo Muti. Già si divertiva a prevedere le discussioni degli amici sulla sua passione politica, sulla sua partecipazione agli eventi rivoluzionari, sulla delusione per Napoleone al quale aveva dedicato quella sinfonia; dedica che aveva cancellato l’anno in cui il Bonaparte s’era fatto incoronare imperatore.

Ed era ansioso di ascoltare la sua ultima sonata per pianoforte, la drammatica 32 in Do minore, affidata a quel giovane e talentoso pianista di cui aveva sentito tanto parlare, il cinese Lang Lang, così universalmente amato e osannato e così criticato dai benpensanti per il suo atteggiamento da divo e per l’approccio spettacolarizzato con la tastiera.

Era certo che sarebbe intervenuto, alla fine, anche Romain Rolland, autore della biografia, che tra le tantissime era la sua preferita, perché lo scrittore francese aveva insistito molto sulla sua concezione eroica della vita, sulla purezza degli ideali cui si era sempre ispirato e soprattutto perché era accessibile a tutti, anche a quelli che non avevano alcuna dimestichezza col lessico musicale. E sotto sotto si aspettava anche la partecipazione di Haydn, che non aveva avuto mai grande simpatia per lui e che forse anche adesso un po’ di invidia per il suo successo lo nutriva ancora. Insomma si sentiva soddisfatto ed elettrizzato per questa grande soddisfazione che i posteri stavano per dargli; e forse qualcuno avrebbe organizzato anche un grande concerto all’aperto in riva al suo amatissimo Reno!

Nulla di tutto questo! Tutto chiuso, tutto vietato. Tutto considerato assembramento pericoloso. Che delusione! Adesso, tornato agitato e apprensivo come è sempre stato in vita, alla notizia che a causa del Coronavirus non s’è potuto fare nulla di tutto ciò che ha immaginato, e di nuovo trasandato nel vestire, con la fronte corrugata e gli occhi di fuoco, Beethoven se ne va nervoso, mani unite dietro la schiena, a passo veloce lungo i viali del Paradiso borbottando e meditando una frase di Romain Rolland che gli risuona martellante nella mente: “Il mondo muore d’asfissia nel suo egoismo prudente e vile”.

Possibile, si chiede, che il mondo sia così timoroso per questo maledetto Coronavirus tanto da svuotare i teatri e le sale da concerto e lasciare che arte e cultura muoiano, preoccupandosi solo che resti in vita il gioco del calcio? Certo, se lui adesso fosse in vita, di questo ne è sicuro, farebbe il tifo per la squadra della sua città natale. Ma di fronte al lockdown della musica e dell’arte, protesterebbe con tutte le sue energie e forse, se non una sinfonia, almeno una sonata di protesta la comporrebbe.

Ma il buon Karl Amenda, il pastore che in vita gli è stato sempre molto vicino, aiutandolo e proteggendolo, e da religioso ha ancora séguito da queste parti, pensa di aiutare ancora una volta il suo amato Ludwig. Si fa animo e coraggio, chiede e ottiene udienza dal Signore per pregarlo di organizzargli una manifestazione di solidarietà e di consolazione. In fondo, con un po’ di timidezza Amenda ricorda al Signore che il suo protetto è stato uomo di grande fede e che il suo capolavoro in assoluto è stata la sua grandiosa Missa Solemnis. Il Signore, che sa sempre tutto del futuro, acconsente alle richieste del pastore prima ancora che gli vengano espresse.

E così, eccola la sorpresa! Dopo qualche giorno Amenda conduce Beethoven nel grande auditorium del Paradiso dove sono schierati il coro e l’orchestra degli angeli; la cavea è piena zeppa di beati, seduti l’uno accanto all’altro senza mascherina. In prima fila ci sono nientemeno che Bach con i suoi numerosi figli e Franz Joseph Haydn. Lo fa sedere in mezzo a loro.

Sul podio arriva Arturo Toscanini, che, dopo aver ringraziato per gli applausi il foltissimo pubblico, dà avvio ai primi solenni accordi della Nona Sinfonia, la Corale. Beethoven dimentica immediatamente la tristezza per le mancate celebrazioni in terra del suo duecentocinquantesimo anniversario della nascita. Ora sì che è finalmente felice come non è mai stato! Sorride e piange di gioia. Per fortuna il Coronavirus non arriva in Paradiso.