Stefano Di Battista ha reso omaggio a un gigante della musica come Ennio Morricone con estrema grazia e rispetto. Il suo nuovo album Morricone Stories, pubblicato da Warner Music, è una traversata di versatilità e coscienza nelle 12 tracce scelte a compendio delle oltre 500 colonne sonore di cui il Maestro ha posto la firma, in quella superiore concezione orchestrale che lo ha fatto amare universalmente.

Al contrario il sassofonista romano ha condotto un trio elegante composto dal pianista Fred Nardin nome emergente e di talento, il contrabbassista Daniele Sorrentino e il veterano batterista André Ceccarelli: “Un progetto partito da lontano, quando Ennio era ancora in vita - esordisce- sincero - che omaggia un rapporto speciale, privilegiato. Un atto dovuto, dove in mezzo a dei brani consegnati all'immaginario collettivo, ci sono delle pagine meno battute ma dello stesso alto rango, come Verushka e Novecento o Peur sur la ville, che neanche io ricordavo alla perfezione. Le abbiamo passate in rassegna insieme al mio team di produzione e management, salvo prendere la decisione di operare una selezione, inevitabilmente parziale, avendo il Maestro composto così tanto e bene, per riuscire ad affrontare il materiale con estrema libertà. Personalmente ha rappresentato un grande stimolo: ho cercato di opporre al rigore formale di un colosso come Morricone e a tutta la magia della sua scrittura, il mio modo di intendere la musica. Le composizioni sono tutte stupende, non devo certo sottolinearlo io, devo dire che il lavoro è stato impostato e portato avanti con grande serenità, quasi come se questa musica ci avesse scelto, e riascoltandolo, circostanza atipica per me, perchè non lo faccio quasi mai, penso quasi che neanche sia un disco mio, piuttosto di qualcun altro che mi rapisce con la bellezza di queste note, trasportandomi verso un'altra dimensione. È stato un piacere condividerlo con i musicisti in studio, fra cui c'è anche il pianista Fred Martin, un giovane di gran talento di cui sentiremo parlare ancora e bene in futuro. È giusto il caso di sottolineare che noi abbiamo eseguito queste partiture in quartetto, quando invece di solito quella musica veniva concepita e realizzata per grandi orchestre”.

Cosa ha rappresentato per te il suo tratto distintivo e quando vi siete incontrati?

Non ci sono superlativi adatti per condensarne il genio: è come quando uno cammina da solo per strada con la capacità di illuminare il percorso. Tutto, nelle cose che realizzava, era talmente supremo da rasentare la perfezione. Una nota dietro l'altra fino a comporre l'ennesimo capolavoro. Una magia che non si può né spiegare né imparare all'accademia. Ho avuto l'onore di conoscerlo in una serata molto informale organizzata dal mio amico Stefano Leali per l'attribuzione del suo Oscar alla carriera. Eravamo seduti a cena, quando Ennio ad un certo punto, ruppe ogni indugio e protocollo: chiese un foglio di carta pentagrammata, per comporre all'istante un pezzo che poi ho dedicato a mia figlia Flora: l'ho accompagnato mentre lui suonava al pianoforte e devo dire che è stata un'emozione grandissima. Lo seguivo con lo sguardo inanellare note fino al fa reale, ovvero la più alta che c'è, poi ho provato pure simpaticamente ad ingannarlo eseguendo l'attacco sotto di un’ottava, ma lui mi ha beccato subito.

Quando gli confidai la mia intenzione di realizzare un disco tributo alla sua arte mi sembrò inizialmente perplesso, forse perchè timoroso dell'approccio improvvisativo di noi jazzisti, ma poi quando ho deciso di portare a termine il progetto, beandomi per l'altissima qualità di pagine che non ricordavo o non conoscevo proprio, mi sento di avere profondamente rispettato l'essenza della sua arte. Il rammarico è stato quello di non avere avuto la possibilità di farglielo sentire. Alla sua scomparsa, abbiamo tardato volutamente la pubblicazione per una forma di rispetto, ma ho già ricevuto una mail di congratulazioni da parte di suo figlio Andrea, circostanza che mi ha molto rallegrato.

Ovviamente non possiamo considerare il Maestro alla stregua di un jazzista, ma un punto di contatto fra i tuoi mondi invece pare assodato.

Il collegamento c'è eccome, una delle più elevate espressioni del jazz è legata alla grande tradizione degli standards provenienti dai palcoscenici di Broadway, che sono imperniati su codici emozionali simili, per cui si può tranquillamente affermare che anche l'austero mondo del jazz può contribuire a rendere ancora più scintillanti le melodie del Maestro.

A proposito di incontri illuminanti, hai avuto la fortuna di condividere un bel pezzo di strada con Lucio Dalla.

Altro artista immenso: costituisce l'altra faccia dello stesso genio. Un talento unico, immarcabile, uno che sentiva la musica dentro, che l'eseguiva con irrisoria facilità anche senza leggere lo spartito; mente pressoché infinita, capace di trarre spunto e stimolo da ogni cosa. Una volta mi ha fatto persino duettare con un cane. Abbiamo riso un sacco: l'unico che appariva un po' stranito dal nostro atteggiamento sembrava proprio l'animale.

Ma come è iniziata la tua storia musicale?

In una banda come è successo, presumo a tanti, ma non è che l'idea mi entusiasmasse. Secondo il Maestro avrei dovuto suonare il sax contralto e neanche questo mi esaltò: a mente fredda invece lo devo ringraziare. Ho vissuto tutto con la giusta distanza, anzi con leggerezza. Non ero un bambino prodigio e neanche troppo maturo per l'età. Poi mi documentai, lessi riviste, ogni cosa capace di procurare in me un fremito, per cui fu abbastanza naturale stringere rapporti o amicizie con chiunque masticasse jazz più di me. A diciott'anni avevo imparato qualcosa e a venti facevo parte di vari gruppi: ricordo con gratitudine uno dei primissimi concerti importanti a cui presi parte per intercessione di Giovanni Tommaso: al pianoforte c'era un altro grande Maestro come Franco D'Andrea.

E per quanto riguarda l'evoluzione e la calibrazione del “tuo” suono personale?

Sto sviluppando sempre di più una sorta di radar sensoriale, perchè sento sempre più chiaramente il mio istinto al di là di ogni possibile influenza ed ispirazione passate che comunque ancora fluiscono nel mio modo di suonare.

Non so se lo sai ma in questo periodo c'è stata qualche polemica, sinceramente fuori luogo, per la trasmissione televisiva che visto Stefano Bollani e Valentina Cenni in tv, sono sicuro che sei dalla parte dei due artisti.

Ma naturalmente, anche perchè Stefano Bollani è un musicista geniale e fa benissimo a mostrare la sua personalità in televisione, facendo da traino alla musica di qualità. Che male c'è a parlare di Jobim, eseguire un saltarello romano e poi a suonare Summertime nello stesso programma? Io non ho seguito la trasmissione ma mia moglie Nicky li ha trovati deliziosi ed io, sinceramente mi fido più di lei che dei soloni del jazz.

Come hai vissuto questo periodo di chiusure e restrizioni, qual è il tuo auspicio?

Me ne sono stato il più possibile nella natura: sono anche aiutato da situazioni personali che me lo consentono. Ovviamente è stato tutto molto pesante e difficile, lontano dai palchi e da molti amici. Il mio desiderio è un auspicio di pace e luce per l'umanità in questo tempo difficile. Forse mi piacerebbe ritrovare l'entusiasmo che avevo da ragazzo per girare come una trottola da una parte all'altra per suonare. Oppure un giorno accompagnare mia figlia che si sta avviando anche lei senza forzature, verso la musica. Magari non gliene importa nulla, ma per me rappresenterebbe un'emozione straordinaria.