Titane, della regista francese, Julia Ducournau, conquista il premio più prestigioso del Festival di Cannes 2021. Il primo film horror nella storia a vincere la Palma d’Oro sulla Croisette della Costa Azzurra.

È la seconda volta, dopo 28 anni, nella storia della kermesse cinematografica internazionale d’Oltralpe che viene assegnata la Palma d’Oro a una donna. L’ultima volta, nel 1993, era stata la sceneggiatrice neozelandese, Jane Campion con Lezioni di piano.

La pellicola horror-noir, si alterna velocemente fra rock, trasformazioni fisiche, sesso spinto al limite del fantascientifico, perversione e violenza. Cinematograficamente ricco di sfumature, allegorie esagerate, fantasioso, controverso e audace, cupo e contorto, trasgressivo e per certi versi spiazzante, Titane ha sconvolto tutti, critici e giuria.

Per la Ducournau, classe ‘83, dopo il polemico Raw del 2016, è il suo secondo lungometraggio. Un trionfo sconvolgente, provocatorio per una cinematografia “body horror”, che conduce lo spettatore in un racconto visionario, di allucinazione di cui è protagonista una ragazza, vittima di un grave incidente, che riesce a sopravvivere per la placca di titanio, a cui il titolo fa riferimento, impiantata nel suo cranio e che la trasforma nel corpo e nella psiche.

Dall’autoerotismo raccapricciante della protagonista (Alexia-Agathe Rousselle), che con la leva del cambio di un'auto resta incinta (la Cadillac diventa l’amante di Alexia), alle orrorifiche metamorfosi, deformità, aberrazioni e violenze dei corpi. Alexia, bionda e implacabile ballerina in un salone di automobili, è una macchina programmata che uccide gli uomini come una Terminator. Colleziona delitti che la inducono a scappare, assumendo l’identità, di un giovane uomo, Adrien, figlio un vigile del fuoco, (Vincent Lindon, altro protagonista) che ha perso il figlio, dieci anni prima e vive prigioniero nel suo dolore.

Non è ben chiaro fino a che punto il padre di Adrien riesca a crederle, ma in qualche modo spera che il ragazzo possa essere suo figlio.

Una storia appassionante tra due esseri umani con vite ingarbugliate che, contro ogni aspettativa, condividono il legame padre-figlio, un viaggio nell’identità personale, il cuore vibrante della narrazione. È un salto nell’immaginazione, il film di Julia Ducorneau, distribuito da Wonder Pictures (prossimamente nelle sale cinematografiche italiane) dove c’è un mix di tutto: cervelli con placche al titanio, automobili, riproduzioni sessuali (partenogenesi), serial-killer, vicende macabre e truculente.

“Grazie per aver lasciato entrare i “mostri”, ha dichiarato la regista commossa rivolgendosi alla giuria, presieduta da Spike Lee, che ben descrive la pellicola: “Ho visto moltissimi film, ma questo è il primo in cui una Cadillac mette incinta una donna, mi ha fatto uscire di me, ci sono genio e pazzia, due cose che spesso corrispondono”.

In una logica orripilante, artificiosa e delirante, Titane travolge e manda sotto shock tutti, con una mostruosità, una forza che rompe la cosiddetta normalità per “un mondo più fluido e inclusivo", superando convenzioni e buon gusto, codici e stereotipi. Una meteorite rovente che anticipa il cinema di domani, portandosi dietro la vincita più importante. Una cerimonia di chiusura, quella del 74º festival di Cannes, così diversa, nella sua eccezionalità, tra emozioni e gaffe del capitano della giuria, Spike Lee che svela anticipatamente la Palma d’Oro invece di annunciare gli altri premi.

A compensare la delusione per il mancato successo a Nanni Moretti, l’unico italiano in concorso, è stato il raro e speciale riconoscimento della Palma d'Onore alla carriera a Marco Bellocchio, che ha presentato a Cannes il lungometraggio Marx può aspettare, il dramma del suicidio del fratello gemello.

Il Premio della giuria, è ex aequo, è andato ai film Haberech di Nadav Lapid e Memoria di Apitchapong Weerasethakul; per la miglior regia a Leos Carax per Annette; per la miglior attrice a Renate Reinsve per Verdens Verste Menneske di Joachim Trier; per la migliore interpretazione maschile, all'attore texano Caleb, Landry Jones per Nitram di Justin Kurzel. La migliore sceneggiatura è andata all'autore giapponese Hamaguchi Ryusuke per il film Drive my car. La Camera d'oro, il riconoscimento alla miglior opera prima della selezione, a Murina della regista croata Antoneta Alamat Kusijanovic. Al film Drive my car, del giapponese, Ryusuke Hamaguchi, è andato quello della critica internazionale e della giuria ecumenica come il miglior film nella competizione ufficiale del 74° Festival di Cannes, "estremamente sottile, un'opera fantastica sull'eterno potere dell'arte, firmata da uno dei più promettenti registi attuali".