È andato in scena al Teatro La Fenice di Venezia - dopo circa 250 giorni senza opera - con un riconosciuto caposaldo del teatro lirico francese, Faust di Charles Gounod (1818-1893), in un inedito allestimento registico, scene e costumi di Joan Anton Rechi (Andorra, 1968), la direzione musicale di Frédéric Chaslin alla testa di Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, e con un cast composto per i ruoli principali dal tenore Ivan Ayon Rivas, dal soprano Carmela Remigio e dal basso Alex Esposito.

Faust a distanza di ventotto anni dall’ultima messinscena veneziana, è di certo un glorioso ritorno e un’operazione scenico-musicale del tutto originale. Ma quello del Faust dovrebbe essere anche l’ultimo allestimento feniceo con la platea occupata da cast e coro e non dal pubblico.

Un assetto che, per molti versi, rievoca l’architettura teatrale del “Globe Theatre” di Londra in quanto la scena occupa lo spazio del palcoscenico e della platea mentre il pubblico è disposto tutt’intorno nei palchetti, in galleria e in loggione.

Ed assai particolare è stata la messinscena dell’opera di Gounod – mancava dal Teatro La Fenice dal 1993 – ed è risultata piuttosto “distanziata” dal Faust che sarà proposto nel 2022, con lo stesso Rechi a firmarne la regia ma con un’idea registica, una drammaturgia e un impianto scenico completamente ripensati.

Charles Gounod cominciò a lavorare all’opera basata sul Faust di Johann Wolfgang von Goethe quando ricevette la commissione di Léon Carvalho, direttore del Théâtre Lyrique di Parigi. Il compositore francese vi lavorò di concerto con il librettista Jules Barbier, valorizzando gli spunti operistici già presenti nel capolavoro di Goethe, apportando tagli strutturali nelle scene originarie e intervenendo nella caratterizzazione di “Faust” che nella trasposizione lirica agisce quasi esclusivamente mosso dal desiderio d’amore per Marguerite. Ben presto però fu coinvolto anche il drammaturgo Michel Carré che volle introdurre il ruolo en travesti di Siébel, assente nel modello goethiano, perché potesse rappresentare un contraltare etico ed emotivo di Faust. Il risultato finale dell’adattamento librettistico fu lo spostamento del peso drammatico dal personaggio di Faust a quello femminile di Marguerite, vera eroina del nuovo intreccio.

Gounod sacrificò consistenti parti dell’opera, la cui durata originaria avrebbe dovuto superare le sei ore.

L’opera debuttò il 19 marzo 1859 con dialoghi parlati: l’accoglienza del pubblico, poco avvezzo alle arditezze armoniche e timbriche di Gounod, fu tiepida; dopo diverse riprese nei teatri francesi ed europei – e varie revisioni della partitura – fu finalmente applaudito all’Opéra di Parigi il 3 marzo 1869, dove fu presentato in una nuova versione che comprendeva l’aggiunta del balletto e dei couplets della serenata di Mefistofele nel quarto atto. La ricezione del Faust registrò un aumento vertiginoso dei consensi diventando una presenza costante nei cartelloni teatrali di Parigi e di tutto il mondo.

E a Venezia in questa versione della Fenice ritroviamo un’orchestra disposta in forma longitudinale – con il direttore d’orchestra Frederic Chaslin collocato di lato come in una metaregia della scena musicale - un boccascena vuoto e pochi elementi scenici, aldilà dei banchi da chiesa su cui operano gli attori, e che diventano oggetti movimentati in una cavea vuota. Ed è proprio nella costruzione scenica ecclesiale la festa di matrimonio che saluta la partenza dei soldati.

E si consuma sui banchi il duello tra Faust e Valentin, in una chiesa, che diventa lo spazio della scena, il luogo di vicende e intrecci teatrali.

Un dramma lirico in cinque atti la cui prima parte prende vita dall’omonima opera di Goethe. E la lettura registica di Joan Anton Rechi si sviluppa sull’intero teatro quale spazio scenico ma anche su di un testo drammatico - Faust è colui che tenta il suicidio con il veleno e invoca Mefistofele affinché gli crei una nuova giovinezza – sul quale strutturare una forte interazione pubblico/attori. E, del resto, tutta la storia è ambientata in una specie di cattedrale gotica gigantesca, che corrisponde allo stesso teatro. Lo ricorda lo stesso Rechi in quanto afferma: “L’opera di Gounod ha debuttato nel 1856, l’anno in cui inizia la guerra contro l’invasione austriaca in Italia. E uno dei film più famosi di Luchino Visconti, Senso, ambienta le scene iniziali proprio all’interno della Fenice. Ci è sembrato fantastico che il debutto di Faust e quel film avessero una relazione, e proprio quel periodo ci è parso un momento storico ideale per l’ambientazione del nostro spettacolo”.

Ma questa è un’opera che gode di un fascino tutto particolare determinato dal balletto e dal coro che ricoprono un ruolo molto importante. E allo stesso modo anche le dimensioni musicali sono molto imponenti. A cui fa eco un cast di grande livello: da Ivan Ayon Rivas che interpreta un brillante Faust, ad Alex Esposito in un efficace e intenso Méphistophélès a Carmela Remigio in una convincente Marguerite. E ancora sono da menzionare Armando Noguera nel ruolo di Valentin e William Corrò per Wagner. Paola Gardina nel ruolo di Siébel e Julie Mellor in quello di Marthe. E protagonisti in scena sono i due ballerini Giulia Mostacchi e Gianluca D’Aniello che, con il Maestro del Coro, Claudio Marino Moretti amplificano il quadro dello spettacolo.

E in una Fenice che si colora di verde e di blu, la platea diventa allora l’identità di uno specchio che moltiplica i diversi giochi di luce in cui muovono i diversi attori e i protagonisti della scena lirico-teatrale.

Così il Faust, a distanza del tempo, torna a calcare le scene del grande teatro veneziano, quale ripresa e ripartenza, ma anche motivo di orgoglio di una lunga storia.