Paesaggi cinematografici, musica ambient, elettronica e texture sonore per l'ottavo album del sound artist, compositore e field recordist romagnolo. Ispirato a Le metropoli e la vita dello spirito di Georg Simmel un concept sulla solitudine, la fretta, l'indifferenza e il riscatto personale.

Christian Mastroianni, ovvero Chris Yan. Si legge: sound artist, compositore e field recordist. Raccontaci queste tre anime.

Non ho mai amato molto dover descrivere e soprattutto delimitare in categorie ben precise il mio lavoro. Un po’ per il semplice fatto di non esserne capace, e un po’ perché credo che sia difficile inquadrare quello che faccio e come lo faccio in una determinata categoria-funzione (almeno per me).

Viviamo in un’epoca dove c'è un estremo bisogno di rientrare in determinati meccanismi per farsi riconoscere nel proprio settore e delimitare i propri spazi di lavoro. In parte per agevolare la comunicazione e la presentazione di se stessi e del proprio campo (o serie di campi, in questo caso) e un po’ per sentirsi in un qualche modo appartenenti a categorie ben precise.

Ho sempre amato “mescolare le carte in tavola” e negli anni, ho creato e contribuito ad una miriade di cose diverse fra loro e trovo che queste tre anime siano sempre quelle che in un qualche modo appaiono/rappresentano quello che ho fatto e faccio tutt'ora.

Il mio lavoro ruota tutto attorno alla figura del suono in tutte le sue forme; che sia esso in funzione di una colonna sonora, per un’installazione artistica, una performance dal vivo o, più semplicemente, alla registrazione e archiviazione di paesaggi sonori.

Sono tutti campi molto ampi, che credo si prestino molto bene a questo mio approccio e descrivono nel miglior modo possibile il mio agire artistico e i miei interessi.

Quando e come nasce la tua curiosità verso la musica e dopo sulla ricerca del suono?

La mia passione è nata ufficialmente a undici anni con l'acquisto da parte dei miei genitori del mio primo basso elettrico. Inizialmente mi approcciai al basso quasi per sbaglio. Il mio desiderio era la batteria, ma nel gruppetto di amici con il quale sognavo di creare una band, l'unico ruolo non ancora "occupato" era il basso, così virai la mia scelta. Fortunatamente, mi vien da dire.

Iniziai a studiarlo seriamente e con dedizione solo dai quattordici anni. Ebbi la fortuna di andare a lezione dal Mº Andrea Benzoni (chitarrista e artista poliedrico di fama internazionale) che mi fece davvero appassionare allo strumento e alla musica in tutte le sue forme.

Nonostante io non sia stato certo un allievo facile, in me c'è sempre stata una parte un po’ pigra e disgraziata, è stato il primo che ha riconosciuto in me una grande sensibilità musicale e mi ha insegnato a come riconoscerla e a come ampliarla/sfruttarla. Il Mº Andrea Benzoni, è il primo a cui devo davvero molto, se non tutto.

Tra i quindici e i sedici anni incontrai Roberto 'Bob' Zoli (altro chitarrista-produttore di fama internazionale). Qui il punto di non ritorno. Da "Bob" imparai più l'approccio sperimentale alla musica e allo strumento (nello stesso momento, già direzione dei miei ascolti). Mi aiutò molto nel capire invece come gestire il suono nella sua forma più completa: sia attraverso la registrazione e il missaggio, sia a livello creativo e compositivo.

Senza questi due incontri, sarebbe stato tutto probabilmente diverso e non ci sarebbe stato l'input giusto della curiosità alle cose. Perché è stata proprio la curiosità e il desiderio di divenir altro - di pormi un obiettivo sempre più alto - che ha sviluppato in me la volontà di approfondire e immergermi in una ricerca del suono quasi assoluta. Citando Deleuze, potrei dire: "Tutta una questione di concatenamenti".

Cosa hai ascoltato e amato in passato e cosa ascolti adesso?

Anche in questo caso, è la curiosità che mi ha portato sempre ad un concatenamento/incastro sugli ascolti. Un ascolto di un artista o di un genere, porta automaticamente sempre alla scoperta e l'ascolto di un altro artista o genere. Credo sia così un po’ per tutti, e credo (ma non ne son certo) che sia più o meno così anche per le intelligenze fredde degli algoritmi delle piattaforme di streaming che usiamo tutti i giorni. Ho amato e ascoltato davvero un po’ di tutto.

Non per comune modo di dire sbrigativo, ma nel senso che ho davvero assimilato-ascoltato-imparato da una moltitudine di artisti molto diversi fra loro.

Ho avuto la fortuna, grazie a mio fratello maggiore e ai dischi sopravvissuti di mio padre, di avere sempre una buona scorta di ottima musica per casa. Fondamentale ai miei inizi da ascoltatore curioso.

Come artista, senza dubbio i primi furono i Pink Floyd: sia nell'epoca Barrett ma soprattutto quelli che troviamo in Ummagumma e Live at Pompeii (di quest'ultima ne consumai la VHS e quando possibile, l'attuale DVD in mio possesso).

Da quel momento divorai tutto quello che potevo reperire all'epoca di prog e affini. Rovistando di nascosto tra i cd di mio fratello ho scoperto artisti che mi hanno aperto altri mondi come Portishead, Massive Attack, Bjork, ma soprattutto l'album che fu per me la svolta totale: Apollo: Atmospheres & Soundtracks di Brian Eno. Ricordo perfettamente la prima volta che lo ascoltai: all'epoca avevo la malsana abitudine di assimilare i nuovi ascolti di notte, in cuffia e ad un buon volume. Era la volta che un ascolto mi rese così partecipe e mi inglobasse completamente da 'cascarci dentro'. Quella notte e le successive non riuscivo a dormire, quasi con la paura che, se fosse successo, mi sarei perso qualcosa di meraviglioso.

Ora sono molto più schizzinoso e selettivo nella scelta degli ascolti. Scegliendo magari con cura un determinato genere o produzione discografica. Meno spugna, ma sempre curioso.

Sono grato che, seppur non nello stesso modo, che io riesca ancora a scovare o ri-trovare artisti e produzioni che destano in me grande stupore e meraviglia. Ad esempio, nell'ambito e la vastità della musica elettronica, soprattutto ai giorni d'oggi, è l'universo femminile a primeggiare con le cose (quasi le uniche) più interessanti e meritevoli. Compositrici e sound artist come Christina Vantzou, Kara-Lis Coverdale, Lucrecia Dalt, Felicia Atkinson, Julia Kent, Hildur Guönadóttir, Hatis Noit, Ana Roxanne, etc... fanno parte degli ultimi miei ascolti e interessi e sono ineguagliabili a mio avviso.

Quali sono i tuoi compositori di riferimento?

Tra i miei compositori di riferimento metterei in primo piano Brian Eno, solo perché è quello che mi accompagna da più tempo. A seguire Satie, per quando scelgo di approcciarmi al minimalismo pianistico. John Cage, davvero illuminante nel mio percorso, più che a livello compositivo per l'approccio all'arte e al suono. Tutta la corrente dell'epoca Parigina della Musique concrète e del 'Groupe de Recherches Musicales' (GRM), in particolar modo nelle figure di Bernard Parmegiani, Luc Ferrari, Pierre Shaeffer per tutto il mio sviluppo e ricerca sonora degli ultimi 10 anni; e infine ho spesso strizzato l'occhio a Éliane Radigue, Steve Reich e Terry Riley.

Arriviamo al tuo ottavo disco: Blasé. Come si posiziona all’interno della tua discografia.

L'ottava mia pubblicazione, o meglio, la mia ottava auto-produzione. Ogni mia pubblicazione, sancisce esattamente il punto preciso in cui sono nel mio percorso artistico e della sua evoluzione. Perché è fortunatamente lampante un mio processo evolutivo. Così, come è sempre lo specchio anche di quel che sono, rappresento e vivo, come individuo in quel preciso momento. In questo caso è una situazione analoga, ma allo stesso tempo leggermente diversa.

Seppur si tratti di un raccontare di un determinato periodo della mia vita e contenga sempre una dichiarazione evolutiva nel mio percorso artistico, allo stesso tempo ingloba un po’ tutto quel che è stato il mio lavoro fino ad ora. Questo disco ammicca molto all'ambient music (già presente nei miei primissimi lavori), sia alla musica concreta, di ricerca e randomica-autogenerativa che ho sviluppato negli anni più recenti.

Per la prima volta è un disco nel quale non 'esigo' un ruolo ben preciso e rigido da parte del fruitore, cioè ad essere attento e vigile su ogni minimo dettaglio sonoro. Ma proprio per la sua vena ambient, può essere fruito con il disinteresse di chi indaffarato in altro.

Per chi volesse, è possibile allo stesso modo percepire sfumature sonore che solo un ascolto attento è in grado di regalare. In ogni caso, il mio spassionato consiglio è quello di ascoltarlo ad un volume tendente al basso. Che avvenga attraverso un impianto audio o con le cuffiette da smartphone, tra chiacchiere con amici o mentre si cucini.

Blasé è un concept che abbraccia un saggio di Georg Simmel: Le metropoli e la vita dello spirito dove il filosofo e sociologo fotografa l'uomo moderno immerso nel proprio nuovo habitat fatto di cemento e tram, di ansia e di solitudine, di fretta e di indifferenza. Come è nato questo concept?

Sul finire dell'estate 2020, con ferma decisione di riprendere un po’ in mano quello che avevo abbandonato negli ultimi due anni, decisi di fare un po’ di ordine tra l'enorme mole di dati dei miei archivi digitali: quella che io amo chiamare "archivio-memoria sonora”.

Tra questi file ho ripescato ore ed ore di registrazioni su improvvisazioni e spunti fatti con il mio piccolo studio mobile che mi trascinavo con gran fatica in treno dalla periferia romagnola a Napoli, e viceversa.

Gran parte di queste registrazioni sono state effettuate a Napoli tra il 2018 e fine 2019. Senza dubbio è stato il periodo più fermo, statico e disinteressato che io abbia mai vissuto, sia artisticamente che umanamente.

Notai, nel marasma di suoni, anche molte texture e spunti interessanti e pensai che sarebbe stato davvero uno spreco che fossero rimaste inutilizzate come accumulo di dati.

Riascoltando e selezionando questo materiale mi sono immediatamente ri-catapultato nel mood (o Stimmung in questo caso) di quel momento. Come per alcuni brani poi finiti nel disco, alcune erano praticamente 30-40 minuti o più di trame/tappeti sonori, dove non accadeva fondamentalmente nulla per tutta la durata.

Però mi attanagliavano. Nello stesso periodo stavo leggendo Saggi sul paesaggio di Simmel - del quale poi ho estrapolato il titolo per il secondo singolo I paesaggi di Böcklin dal saggio omonimo - e automaticamente mi è tornato in mente quello che lessi molti anni prima, sull'atteggiamento dell'individuo blasé sempre dello stesso autore.

E combaciava quasi perfettamente con quello che io inconsciamente ho provato in quel determinato periodo in cui ho registrato quelle improvvisazioni. Più che l'aspetto della metropoli, ho rivisto in me lo stesso disinteresse, solitudine e apatia del blasé.

Diversamente ad altri miei lavori passati, non è stato il concept a dar vita alle tracce, ma il contrario. Si è trattato quindi solo di riprendere in mano il saggio e trovarne i punti cardine tra esso e le tracce selezionate.

Un'altra suggestione sia dalla descrizione dell'uomo blasé, che da queste improvvisazioni è stata fin da subito quella che ritroviamo nei filmati time-lapse, o comunque nei fermi immagine cinematografici (magari non è proprio il termine corretto).

Quel senso di staticità e immobilità, ma dove in realtà il tempo intorno scorre con furia e ce lo facciamo scorrere addosso. Di fatto, durante il processo di editing e sviluppo dell'album, ho sempre pensato a queste tracce come a dei “paesaggi cinematografici”. Dove sembra non accadere nulla, ma invece sono dei micro-movimenti a smuovere lentamente queste texture.

Ho diviso poi il disco in due macro-movimenti: il primo è dettata dalla Verstand (intelletto), quindi dal pensiero più freddo e calcolato-ragionato. Il secondo invece dalla Vernunft (ragione) che cede il passo anche all'emotività e al sentimentalismo.

Il disco chiude con l'unico brano che non fa parte di quelle riprese. L'ho scritto pochi giorni prima di entrare in studio. Un po’ come se fosse appunto il mio sguardo compassionevole di oggi verso quel mio periodo. Forse il brano più carico di sentimentalismo musicale che io abbia mai scritto. Con alcune sonorità che si riallacciano inevitabilmente a quelle già presenti nel disco, ma con un approccio - impatto completamente diverso. Come amo definirlo io: “Un auto-dedica allo specchio, uno slancio disperato alla riconquista della magnificenza che noi stessi siamo”. Proprio per questo è stato scelto come terzo ed ultimo singolo prima dell'uscita dell'album completo.

Per la realizzazione di questo album quali sono stati i tuoi compagni di viaggio?

Il compagno di viaggio più fedele (e ingombrante dopo me stesso) è stato il mio piccolo studio mobile. Lo si vede nella foto nel retro-copertina del disco. Composto da: il mio sintetizzatore modulare (che, come suggerisce il nome, muta continuamente forma) e con il quale processo tutto, i suoni campionati e non, un piccolo microfono a condensatore che uso per elaborare il suono in presa diretta di tutta una serie di oggettini e cianfrusaglie. Dei microfoni a contatto per catturare i dettagli sonori più impensabili. Due microfoni idrofoni per i suoni "acquatici". Un looper. Un registratore a bobine Uher. Un multi-traccia digitale sul quale registrate il tutto e infine un pianta d'appartamento, alla quale spesso faccio decidere a posto mio come e quando suonare il mio sistema modulare.

Per quanto riguarda gli esseri umani, invece, scelgo sempre di fare tutto da solo, al massimo qualcuno, non sempre, che mixi e masterizzi il prodotto finito. Onde evitare di ricadere nella stessa prassi e metodo, questa volta mi son superato anche in questo e ho coinvolto un bacino più ampio di persone che gravitano attorno al disco.

In primis è stata coinvolta Martina Esposito (Oregon Pizza) che ha curato e cura tutt'ora l'aspetto grafico del disco, merch, social, etc... L'artista Matteo Babbi che mi ha concesso l'utilizzo di ben sue due opere per la copertina principale del disco e per la copertina del terzo singolo. Il FarmHouse Studio di Rimini, nella figura di Andrea Felli, per il mix finale e il Master. L'amico e neo-laureato in filosofia Francesco Garompolo, con i suoi preziosi contributi nelle descrizioni per i miei canali social del pensiero simmeliano. Il regista Francesco Selvi per avermi aiutato nel trovare la location adatta (e a me accessibile) per il video clip del secondo singolo. Mio fratello Riccardo per la logistica e il primo feedback esterno sul lavoro svolto e infine voialtri, Synpress ufficio stampa, per la promozione del disco.

La copertina è un’opera dell'artista Matteo Babbi. Come l’hai scelta?

Con Matteo c'è un rapporto di amicizia già dai tempi delle superiori all'Istituto d'Arte di Forlì. Negli anni abbiamo ci siamo incrociati spesso nei nostri rispettivi interessi, fino al 2012 dove abbiamo collaborato per la prima volta insieme per la sua mostra Parabole all'Auditorium di Molinella. Lì ho curato la colonna sonora che accompagnava tutto il periodo di esposizione dei suoi lavori e con mia performance finale dal vivo+video proiezioni per il finissage. Da subito abbiamo reso ascoltabile e in free download la colonna sonora e oggi disponibile anche sul mio canale Spotify.

Questa bellissima esperienza ci ha entusiasmati molto ed è cresciuto sempre di più il rispetto e la stima reciproca; ci siamo promessi di tornare a collaborare, poi si sa, la vita porta sempre a strade diverse, nonostante ci separino al massimo 20 km l'uno dall'altro.

Fino a quando, nell'inizio estate del 2018 scorrendo Instagram rimasi folgorato, Matteo pubblicò Sperduto 1 e il resto della serie. Mi complimentai con lui e basta. Solo alla fine del 2020 in pieno processo di selezione audio, mi tornò alla mente quel lavoro e lo trovai perfetto come copertina. Fortunatamente accettò di cedermi l'immagine dell'opera, ancor prima di ascoltare i provini. Ma approvò anche in seguito fino a un paio di giorni fa che mi ha consentito l'utilizzo anche di Sperduto 2 come copertina del terzo singolo. Torna tutto, sempre. Connessioni - concatenamenti etc...

Lo stato dell’arte: musica elettroacustica, elettronica, psichedelica, rumorismo… come si posiziona l’Italia in questa nicchia variegata? Ci sono scuole? Luoghi?

Questa è una domanda assai complessa e sinceramente posso solo che provare a risponderti al meglio. Credo che l'Italia si sia sempre piazzata più che bene nell'ambito della musica di ricerca. Basti pensare allo studio di Fonologia della Rai di Milano sul fine degli anni '50, che seppur in modo differente, ha cavalcato le suggestioni nel primo dopo guerra, quei fantastici centri di sperimentazione che nascevano quasi contemporaneamente in alcune nazioni Europee e non. Penso al GRM di Shaeffer a Parigi che ho citato prima, il centro di Colonia o il centro di ricerca presso la Columbia University di New York. Con nomi come Berio - Maderna - Nono - Eco - e tantissimi altri, non siamo stati certo da meno.

Il problema è che poi, come tutte le cose belle in Italia, fanno anche abbastanza presto a morire. Trovo che oggi sarebbe meraviglioso avere nuovamente un centro del genere e che troverebbe molto più interesse da parte dei giovani, ma sempre fin troppo pochi finanziamenti dallo stato. Vedo un sacco di realtà molto interessanti magari sotto forma di associazioni, centri culturali, festival. Piccole realtà che fanno grandi cose con una gran fatica e zero o quasi sovvenzioni/aiuti istituzionali. Anche lì noto un po’ di regola all'italiana dell'"amico di", anche se in maniera totalmente differente. Non essendo uno che ha mai ammiccato a nessuno e con dei limiti e difetti: sono fuori da tutte queste realtà.

Chi mi ha dato fiducia e accolto, poi mi ha richiamato, aiutato e coinvolto nuovamente. C'è anche una questione di coraggio da parte di questi, ma principalmente credo sia tutto più un patto di fiducia e di rispetto reciproco. E quindi molto più un rapporto umano e di scambio e sinergie. E poi son vivo, e in quanto vivo e con idee ben precise: un grande rompiscatole!

La pandemia ci ha sottratto dal contatto umano - ed è cosa che accomuna tutti, ma questo evento mondiale a te cosa ha portato: consapevolezze, perdite, nuove idee?

Oltre avermi fatto saltare una residenza artistica al quale tenevo molto, questa pandemia, personalmente non ha cambiato troppo le cose. Ho sempre teso ad isolarmi e crearmi il mio mondo, e in questi ultimi anni (il tema di questo disco ne è la prova) ho amplificato in maniera disastrosa questa cosa. Sto cercando, in ogni caso, di migliorare questa situazione per non ricadere nel baratro di annientamento di me stesso e dei miei interessi. Ma ho sempre amato e avuto bisogno della solitudine, la trovo fondamentale per la lucidità necessaria sul mio lavoro.

L'aver trascorso dei lunghi periodi in passato in isolamento per problemi di salute mi permette di affrontare questa pandemia con un maggior facilità rispetto alla persona comune. Sono però consapevole che può essere un'arma a doppio taglio il passare dal prendersi finalmente tempo per sé stessi, all'andar giù di testa e rimbecillirsi: è un attimo.

Spero che questo stato assurdo in cui ci troviamo finisca presto e che sia di monito e aiuto per tutti, me compreso, per una sensibilità maggiore e maggior contatto tra le persone e il mondo che ci circonda. Sembra una cosa fin troppo da fricchettoni per i miei gusti, ma è dannatamente reale.

Dal giorno stesso che finì il primo lockdown (il 4 maggio) ho ripreso, dopo che son stato fermo forzatamente dal 2016, la mia attività come field recordist. Niente come quel giorno e quella registrazione, a tre km da casa, mia ha mai dato così tanto il senso di soddisfazione, appartenenza e grazia del mondo in cui vivo. Finché ho potuto, prima di avere nuovi problemi motori a novembre, non ho fatto altro che camminare con uno zaino carico di microfoni e registratori in mezzo alla natura circostante piazzarmi a registrare suoni ambientali.

Come progetti futuri mi piacerebbe sensibilizzare o almeno contribuire a questo tipo di ascolto e approccio. Prima per me stesso e poi per poterlo condividere con il mondo esterno. Sempre attraverso la disciplina del 'field recordings', ampliando così il mio personale "archivio-memoria sonora" e magari partecipando e creando nuovamente delle residenze artistiche.

Tra i progetti in programma nel 2021, poi ovviamente saltati per i motivi già elencati, c'era anche quello di affrontare alcuni cammini e sentieri specifici (o trekking di lunghi periodi) registrandone i paesaggi sonori incontrati. Sperando che la situazione del virus e le mie gambe non mi facciano attendere troppo a lungo. Altrimenti sarò costretto a sfornare un altro disco per raccontare il mio disagio.