Possiede audacia, purezza, coraggio.
Abitato dal genio, trasporta lo spettatore con la forza della grazia, dell’ardore, del fuoco.

(Jean-Jacques Gautier a proposito di Gérard Philipe, dopo la prima rappresentazione teatrale de Il Cid)

In un’antica registrazione, risuona una voce…

Una voce capace di evocare gli abissi lirici di Arthur Rimbaud come nessun’altra. Una voce che guida l’ascoltatore verso la visione di un battello alla deriva, privo di equipaggio ed in preda a tormentati Maelström. Un timbro pieno di affanno, sgomento, trepidazione; in grado di interiorizzare ed interpretare il caos di un’umanità allo sbando. Una voce senza tempo in cui convivono vita e morte, giovinezza e saggezza, luci e ombre, al servizio di versi celeberrimi. Il battello ebbro di Rimbaud sembra aver attraversato i secoli per incontrare l’interpretazione di Gérard Philipe.

La lettura di questo poema ammaliante (tratto da: Les plus beaux poèmes de la langue française), restituisce all’ascoltatore una recitazione assolutamente contemporanea. Un metodo figlio dell’imprescindibile Laurence Olivier, ma che – negli anni Quaranta-Cinquanta – trova in Philipe la vera chiave di volta.

Sogno e mito si fondono in una carriera fulminante, dominata da un talento luminoso, iniziata negli anni ’40 e costellata di ruoli celeberrimi: Fanfan la Tulipe, Les grandes manoeuvres, La beauté du diable e Le diable au corps, solo per citarne alcuni.

Attore ipnotico, politicamente impegnato e dotato di una sensibilità viva. Si deve a lui anche la creazione del sindacato francese degli artisti e degli interpreti (S.F.A.). Carriera ed impegno politico vissuti intensamente al fianco della compagna di vita: Anne. Una storia d’amore intensa, stroncata dalla morte improvvisa di lui a soli 36 anni.

Scrittrice poliedrica, qualche anno dopo la morte del marito pubblica: Le temps d’un soupir. Un breve gioiello letterario dato alle stampe per canalizzare la propria convivenza col buio e l’elaborazione del lutto. Pagine di orientamento nelle tenebre, di analisi di un dolore bieco affrontato senza sottrarvisi, ma dal quale vuole salvarsi, pur senza liberarsi del ricordo.

Nel 2019, per il sessantesimo anniversario della morte, lo scrittore e giornalista francese Jérôme Garcin ha teso la mano a quel testo, pubblicando Le dernier hiver du Cid (Gli ultimi giorni di Gérard Philipe).

Garcin, noto per la sua scrittura intima e penetrante, dona al lettore un diario giornaliero senza precedenti, pieno di vita, nonostante appartenga ad un ignaro condannato. Anne, infatti, decise di tacergli la gravità della malattia, per consentirgli di vivere appieno il tempo rimastogli.

Le pagine di Garcin ci restituiscono, così, un Philipe intento a prendere appunti per la preparazione di nuovi personaggi che non avrebbero mai incontrato un pubblico. Il giornalista francese ne onora la memoria e lo fa con un occhio di riguardo verso la propria compagna di vita: Anne-Marie Philipe, figlia di Anne e Gérard.

Una scrittura appassionata ed attenta che segue Philipe negli ultimi mesi trascorsi a Ramatuelle, mantenendo un legame forte con Le temps d’un soupir ma restituendoci gli ultimi istanti di vita dell’attore francese con un distacco maggiore, atto a dar voce a Gérard stesso, seguito da vicino da Anne e dal Dottor Gaudart d’Allaines (il quale, per un incredibile gioco del destino, si rivelò essere lo zio di Garcin).

Così come Le temps d’un soupir, Le dernier hiver du Cid è un libro che vive al di là delle proprie pagine, evidenziando l’essenza stessa del fascino senza tempo di Philipe. L’intervista a Garcin ci ha dato modo di approfondire, ulteriormente, la bellezza di questo racconto davvero unico.

Vorrei iniziare col chiederle qual è stato il motivo che l’ha spinta a scrivere un romanzo così toccante, sugli ultimi giorni di Gérard Philipe. È stato difficile essere imparziale?

Bella domanda! Ovviamente, si pensa alla mia situazione famigliare e personale, poiché la figlia di Gérard Philipe è la mia compagna di vita, da molto tempo. Per questo è stato difficile essere totalmente imparziale nell’approcciarmi a scrivere un elogio di Philipe, che non lascia molto spazio alla critica. È vero che la mia imparzialità, probabilmente, si ferma davanti al fatto che io sono il genero postumo di Gérard, ma – allo stesso tempo – la scelta di scrivere il libro in un determinato modo, seguendo il calendario terribile dei suoi ultimi giorni, mi ha forzato all’oggettività ed all’imparzialità, perché certi elementi medico-scientifici non possono essere messi in discussione, così come la brevità incredibile della sua vita. Quindi sì: forse parziale dal punto di vista affettivo, ma mai dal punto di vista storico-letterario.

Ricordo un’intervista ad Anne-Marie Philipe nella quale sosteneva che sua madre, Anne, fece – dapprima – un uomo di Gérard e, dopo la sua morte, una leggenda. È d’accordo e crede ci sia un legame tra il suo libro e Le temps d’un soupir?

C’è più di un legame. Non avrei mai scritto Le dernier hiver du Cid se non fossi stato, a suo tempo, ispirato da Le temps d’un soupir, un libro che ha cambiato la mia vita. Non sono più stato lo stesso dopo averlo letto.

Ho conosciuto Anne molto prima di incontrare Anne-Marie. Avevo 17, 18 anni ed avevo appena perso mio padre in un incidente e, qualche anno prima, mio fratello gemello. Durante l’adolescenza, vivevo molto male questo doppio lutto e Le temps d’un soupir mi ha stregato, poiché raccontava perfettamente il sentimento che stavo provando e che non sapevo esprimere. Così, ho scritto una lettera ad Anne, anche se non la conoscevo, e lei mi ha risposto meravigliosamente, dicendomi di passare a trovarla. Dopodiché, sono andato all’appartamento di Anne e Gérard, trovandomi al cospetto di una donna ammirevole che viveva, effettivamente, col peso di una leggenda, ma che diventata - piano piano - mia amica, raccontandomi l’uomo, rivivendo i suoi ultimi giorni, mostrandomi la camera dove è morto, i mobili, la biblioteca… poi, un giorno, fra le mura di questa casa, ho visto passare una splendida ragazza bionda, con gli stivali di Fanfan La Tulipe, ed è stato così che mi sono innamorato di Anne-Marie.

Tornando alla domanda, Le dernier hiver du Cid non esisterebbe se non ci fosse stato per il mio incontro con Anne e la scoperta di Gérard e di Ramatuelle, che è stato il luogo nel quale visse i suoi ultimi istanti. Anne mi raccontò – altresì – di un medico straordinario che l’aveva aiutata a prendere una decisione terribile e di tacere la malattia a Gérard e mi disse che si trattava del Professor Gaudart d’Allaines ed io le ho risposto che era mio zio, un uomo che ho conosciuto e amato molto. Questo per dire che avevo tutti gli elementi per scrivere, un giorno, Le dernier hiver du Cid e, in ultima battuta, vorrei precisare che non l’ho scritto soltanto seguendo i ricordi di Anne, poiché volevo che fosse il libro che non ha potuto scrivere, mostrando la donna che è stata. Possiamo considerarlo come il libro che precede il suo, visto che io narro degli ultimi giorni di Gérard, prima che Anne si decida a scrivere di lui e del suo lutto.

Una risposta un po’ articolata per evidenziarle quanto la mia vita, quella di Anne e Gérard e di Anne-Marie siano grandemente legate.

Gérard è considerato come il primo attore contemporaneo. Dove crede risieda il mistero del suo successo eterno?

Sono d’accordo e ce ne renderemo conto ancor meglio l’anno prossimo, perché è il centenario della sua nascita e, tramite gli eventi che si stanno organizzando, constateremo quanto sia ancora moderno. Se pensiamo alla foto di copertina del mio libro, per esempio, vediamo un viso assolutamente attuale.

Da un lato aveva una dote non traducibile a parole: la grazia. Il mistero e l’aura lo accomunavano a personaggi come James Dean. C’era qualcosa nel suo modo di recitare che era maturo ed infantile al tempo stesso. Nella vita era molto allegro, amava far ridere chi gli stava intorno; un’attitudine quasi da eterno adolescente.

Non posso parlare, ovviamente, di esperienza personale diretta quando cito le sue interpretazioni, ma tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averlo visto, dicono che si trattava di performance indimenticabili. Ricordo, ad esempio, Philippe Noiret il quale mi diceva che era d’uso, anche quando recitavano nella stessa pièce, fermarsi al loggione per ammirarlo recitare, affascianti dal suo modo di possedere la scena.

Per rispondere alla domanda, da un lato – come per Dean – quando si muore nel pieno della gloria c’è uno shock collettivo che alimenta il mito. Dall’altro, penso ci sia di più. Il suo successo eterno è dovuto al fatto che è stato grande al cinema quanto a teatro, giostrandosi tra i due mondi come pochi altri. Un’altra ragione è la vastità della filmografia e delle performance teatrali portate avanti in pochissimo tempo. Senza dimenticare l’impegno politico che lo vide creare il primo sindacato degli attori. Parliamo di un uomo che in settimana partecipava alle riprese di un film, nel weekend recitava a teatro (due o tre ruoli diversi!) e, in più, trovava il tempo di presiedere il sindacato e di reclamare il riconoscimento dei loro diritti (che avrebbe potuto ignorare, dall’alto della sua posizione). Un insieme di ruoli che non si era mai visto prima e dubito si rivedrà in futuro.

Infine, c’è una motivazione tutta francese. La sua gloria è la gloria del dopo guerra, momento che vede la Francia totalmente distrutta, si tratta di un Paese che non si ama più, che ha bisogno di purezza, fuoco e rinnovamento. Ed ecco che, di colpo, c’è un giovane attore, bello come un dio, impegnato, talentuoso, nel quale tutto il Paese vuole riconoscersi e ricominciare ad amarsi grazie ai suoi tratti ed alla sua morale. È un momento chiave della storia della Francia che ne spiega il successo mai spentosi.

So che ha scritto per onorarne la memoria. Pensa che la Francia stia facendo abbastanza, in questo senso?

Il mio libro è uscito per il sessantenario della morte di Gérard Philipe, nell’ottobre 2019. Ho concesso molte interviste ed ogni volta mi sono detto indignato di come questo Paese stesse facendo passare l’anniversario in sordina, ma credo di aver innescato qualcosa. Il problema della Francia è che dimentica facilmente ma penso che abbia compreso il proprio errore, per cui ci sarà una commemorazione nazionale, l’anno prossimo, per il centenario della nascita, da parte del ministero della cultura; quindi, la mia collera è stata premiata.

Lei è uno scrittore poliedrico. Si occupa di fiction, biografie, autobiografie… posso chiederle a cosa sta lavorando al momento?

Il prossimo sarà un libro molto personale. Ho scritto sia libri di persone che ammiro, sia volumi estremamente soggettivi (ad esempio, sulla perdita di mio padre e mio fratello) ed anche questo farà parte della grande famiglia dei miei libri incentrati sulla memoria.