La più grande comunità al mondo di pensionati, decisi a togliersi ogni sfizio possibile negli ultimi anni della loro vita, cresciuta in Florida, è al centro del documentario in prima visione per l’Italia The Bubble della regista Valerie Blankenbyl, evento di chiusura della 62a edizione del Festival dei Popoli al cinema la Compagnia di Firenze. Interessante sguardo su una società che cambia, con il miglioramento delle condizioni di vita e della ricerca in campo medico, prolungando l’età media degli anziani.

Un festival scaturito da una selezione di quasi 2000 documentari, giunti da tutto il mondo al direttore Stellino e ai suoi collaboratori.

Come è noto il Festival presenta i documentari in gruppi, due dei quali corrispondono ai concorsi, Internazionale ed Italiano, mentre altri gruppi rappresentano diverse modalità di svolgimento di argomenti come la musica, l’habitat, l’utopia rossa o sono rappresentativi del lavoro registico. Quest’anno l’omaggio è andato alla coppia Elisabeth Perceval e Nicolas Klotz.

Due giovani registi a confronto per lo stesso argomento trattato, la propria famiglia. Nira Burstein in Charm Circle; Enrico Maisto in The age of innocence.

Due famiglie diverse anni luce, caotica e imprevedibile quella che vive nel Queens, ordinata e disciplinata quella di Milano.

Mentre Nira, uscita dalla famiglia per crearsi una professione, è stata una fra tanti figli, cresciuti in una situazione caotica, torna fra le mura con occhi nuovi e interroga con sincera curiosità il padre come fosse un personaggio e non un familiare, Enrico, figlio unico di due giudici, il padre assente e la madre molto entrante, mostra la fatica di crescere, di farsi una vita sua. Ci lascia con l’interrogativo se sia possibile, nella sua situazione, riuscirci fino in fondo. E lo fa con una narrazione delicata, ma insieme molto intensa. Ha vinto il premio per il miglior lungometraggio italiano.

Quello che non mi corrisponde è il titolo, L’età dell’innocenza. Infatti, tratta della vita di un figlio unico, della prigionia cui è sottoposto in cambio di grande attenzione per ogni suo respiro, di come questo stato venga accentuato quando la madre va in pensione insieme con il padre. L’ho vissuto come un trattato sulla famiglia, in contrapposizione alla visione idilliaca che in Italia si vuole dare a questa istituzione. “Ci sono cose che nessuno ti dirà”, ma Enrico ha avuto questo coraggio. Un premio meritatissimo, come quello che è andato alla regista palestinese che ha descritto le donne protagoniste nel 2011 della Primavera Araba in Egitto, con episodi di violenza verso le donne in lotta, di cui mai ci era giunta notizia prima.

È invece impossibile da comprendere il primo premio del Concorso Internazionale attribuito al lungometraggio Dal pianeta degli umani. Non ha le caratteristiche di un documentario, benché forse, in partenza, volesse parlare dei migranti che transitano dall’Italia per passare la frontiera a Ventimiglia. Ma, per tutta la durata del film non se ne vede nemmeno uno. Si vede insistentemente la strada di montagna che i migranti percorrono per evitare la guardia di frontiera a Ventimiglia, strada impervia e disseminata di vestiario. Sicuramente al Cioni è stato proibito di filmare il blocco che la milizia francese fa a chi vorrebbe passare la frontiera da migrante. Avendo scoperto che un famoso medico, Serge Voronoff, aveva la villa proprio nella strada di cui sopra, ne fa una rievocazione storica con materiale di archivio misto a scene di un vecchissimo King Kong. Intervalla questi spezzoni di riprese con una distesa di mare, a lungo inquadrata e spesse volte ripetuta per richiamarci le traversate dei migranti su imbarcazioni improbabili.

Il filo del racconto si perde, la macchina da presa vaga traballando fra buie inquadrature, filma rane e girini trovati nel giardino della villa di Voronoff. Una voce fuori campo pronuncia più volte le stesse frasi in contesti diversi, quasi un’ossessione. Le pellicole di archivio ci mostrano scimmie usate dal medico per esperimenti atti a vitalizzare, con il trapianto di parte dei loro genitali, ricchi uomini nella Belle époque. Assurda teoria che portò il Voronoff, dopo un successo iniziale, ad essere in poco tempo dimenticato.

La musica è onorata con una sezione dedicata, “Let The Music Play, nella quale si celebra un gruppo storico, the Crimson King e un Dj, Laurent Garnier.

In the Court of the Crimson King di Toby Amies (in versione work in progress) non è la semplice celebrazione di un gruppo che ha fatto la storia del rock – si legge sul catalogo in una nota di Emanuele Sacchi – ma l’intima confessione da parte di Robert Fripp e degli altri componenti della band sul senso di una vita dedicata all’arte. Un film straordinario, presentato in prima assoluta.

Il film dedicato a Laurent Garnier, Dj fra i più apprezzati al mondo e pioniere della musica techno, è diretto da Gabin Rivoire e traccia il percorso artistico di Laurent e la sua affermazione sulla scena musicale dagli anni '80 ad oggi. Attraverso esclusive immagini d’archivio e filmati del recente tour mondiale, l’artista vi ripercorre la sua vita, da figlio di un proprietario di luna park a Cavaliere della Legion d'Onore, tutto grazie alla sua incontenibile passione per la musica fin da quando era un ragazzino.

Il racconto della sua vita descrive la vera storia dell'ultima grande rivoluzione musicale del XX secolo. Lo vediamo esibirsi davanti a 15.000 persone al Sonar Festival di Barcellona, al Bassiani in Georgia, considerato tra i locali più noti di musica techno, passando per i club affollati di Tokyo, dalla leggendaria pista da ballo dell'Hacienda di Manchester alle stradine secondarie dei vicoli di Detroit. Il docu-film è impreziosito da interviste e testimonianze dei suoi colleghi Dj e di tutti coloro con cui ha lavorato. E ci svela pure il segreto di come abbia resistito alla tossicità di serate frequenti, turbinose, con sempre maggior successo: la validità della sua vita privata con la compagna.