I luoghi sono persone. Non so se sia un pensiero condiviso, sono però certa che per me è così. Un esempio? Passando per via Verdi a Firenze, all'altezza del Teatro omonimo, dal mese scorso mi sento invadere dagli affetti. E' solo un attimo piacevolissimo, che sfuma dopo il semaforo. E' perché al Teatro Verdi, una sera di gennaio, ho visto Antonio Albanese col suo spettacolo Personaggi. In numero di sei, Alex Drastico,l'Ottimista, Perego, Epifanio, Sommelier, oltre all'insuperabile politico calabrese Cetto La Qualunque. Tutti monologhi. Conciso il titolo della pièce teatrale, scarna la scenografia, fatta quasi unicamente di luci e, solo in qualche caso, di una poltrona semovente, oltre a un abito diverso per ciascun personaggio.

Come si spiega un pubblico letteralmente in delirio in un teatro pieno zeppo? Con un bel mix di professionalità, umanità e, perché no, con la funzione catartica che il nostro è in grado di esercitare. Basta guardare il suo curriculum per vedere che Albanese ha alle spalle una carriera fitta di esperienze di teatro, di cinema ( principalmente come attore, ma ha fatto anche regia), di musica, di televisione (due le sue apparizioni più note, in Non c'è problema e in Che tempo che fa). I testi e le “maschere” di Personaggi, composti con Michele Serra, Pietro Guerrera e Giampiero Solari (che è anche il regista dello spettacolo), sono passati sulle scene parecchie volte.

Un'intervista televisiva recente all'uomo Albanese ci ha mostrato tutta la sua capacità di cogliere il positivo delle situazioni, la sua sincera ammirazione per la creatività italiana, la sua speranza di cambiamenti positivi. E questo gli spettatori lo sentono. Il personaggio dei film da lui interpretati che si avvicina di più a quello che è lui realmente è forse il muratore Antonio (il nome è lo stesso!) di Vesna va veloce, girato da Mazzacurati nel lontano 1996. Ecco, in certe scene, come quando è seduto su di un muro, di spalle, attraverso la solidità fisica esprimeva l'affidabilità dell'uomo che non ti abbandona, anzi, di più, che c'è sempre e comunque.

In Personaggi è dotato di una sorprendente agilità e resistenza - non sta mai fermo e parla, parla per tutta la rappresentazione. Ha tirato dentro il testo uomini del Sud e del Nord, alti e bassi, grassi e magri, ricchi e poveri, ottimisti e qualunquisti. Maschere irriverenti e grottesche, specchio di una realtà guardata con occhio attento a carpirne i difetti, le abitudini e i tic. Quasi ogni 4 anni, Albanese li riporta sulle scene, ci deve essere affezionato anche lui a questa creazione. Nell'ultima edizione ha regalato una summa di Cetto La Qualunque, forse il più famoso, perché Albanese ci aveva costruito sopra un intero film di grande successo nel 2011. Dal vivo si apprezza la sua recitazione col corpo, mimica, con in più doti ginniche, straordinarie per un fisico non propriamente atletico.

Così ci passano davanti uomini gesticolanti e frenetici, come il visionario Ottimista convinto di vivere in un mondo perfetto; l'immigrato che non si avvede dei pericoli di un suo facile inserimento al Nord; l'imprenditore padano Perego che lavora 16 ore al giorno. La potenza dei soliloqui, spesso assurdi e deliranti, ti inchioda alla poltrona, ti mette a disagio. Poi arriva il trasognato Epifanio, e la tensione si allenta, a sentirlo esprimere, da pacifista nella fossa dei leoni, bonari consigli agli ufficiali di leva su come modificare il loro comportamento militaresco. Apostrofandoli con nomi quali “Stellina”, lui fa sorridere, assolutamente fuori posto com'è nel contesto di una caserma. Nel finale ecco il Sommelier tutto preso dal rito, che gira a lungo il bicchiere e a lungo annusa, e arriva alla sentenza “è bianco”, “è rosso”, proseguendo inalterabile verso l'ultima fondamentale e indiscutibile proprietà, “è finito”! E giù tutti a ridere.

Il pubblico di Albanese è esso stesso uno spettacolo, per l'entusiasmo travolgente con cui accompagna il suo incedere sulla scena. “Se fate cosi non mi riesce” dice lui senza riuscire a trattenere una risata, ma il pubblico è un fiume in piena, continua a dispensargli applausi calorosi, una voce argentina lancia un “ti amo”, altri bonariamente commentano, coprendo la sua voce, e lui scoppia a ridere una seconda volta. Ai presenti non importa granché sentire esattamente le parole. Perché certe parole, tipo “infattamente”, non serve una seconda volta per renderle indelebili. L'importante è fargli le feste, come si farebbe con un amico che passa da Firenze e lo si va a incontrare al treno, perché è solo di passaggio, una serata sola. Uno così è in missione, con tutta la miriade di posti per lo più piccoli in cui portare lo spettacolo, affinché, dopo, tutti si sentano - usando le sue parole - un po' meno soli, un po' più allegri, un po' più forti. Una sorta di catarsi. Sarà perché questi tipi inventati sono un condensato di vizi e deliri così potente da far apparire poco pericolosi gli incontri ravvicinati della vita di ognuno e far sentire tutti più coraggiosi.