Rompendo la consolidata tradizione secondo la quale il mondiale di calcio è vinto da una rappresentativa nazionale del quadrante geopolitico in cui si svolge la fase finale, la Germania di Mario Gotze, Manuel Neuer, Philipp Lahm e di Joachim Löw ha conquistato per la quarta volta il titolo di campione del mondo, andandoselo a prendere lontano, molto lontano dai patrii confini, in Brasile appunto.

Per capire meglio la grandiosità del successo tedesco occorre subito far riferimento proprio alla “tradizione”: a parte il caso del 2002, quando la fase finale fu assegnata all’organizzazione di Corea e Giappone, nazioni calcisticamente povere di talenti ancorché ricche, non solo potenzialmente, di “mercato”, in genere un’europea aveva sempre vinto in Europa, un’americana in America. Con la sola splendida eccezione del Brasile di Pelè, trionfatore in Svezia nel 1958, ed ora appunto della Germania di Löw (1-0 in finale all’Argentina del malmesso Messi). Ai brasiliani, che troveranno ora nuova vitalità pensando alle Olimpiadi di Rio 2016, questo mondiale è andato proprio di traverso, con la sola magra consolazione che a vincere il titolo sia stata la Germania e non la rivale di sempre, l’Argentina: difficile ipotizzare cosa sarebbe successo in Brasile, sul piano emotivo e sociale, se a vincere il mondiale fosse stata la Celeste…

Che d’altra parte gli aruspici non fossero proprio dalla parte dei verdeoro, bisognava capirlo dalle premonizioni: dalle stentate esibizioni iniziali alla supponenza di un gioco che si affidava, troppo, all’estro indubbio ma tutto sommato limitato dello “scapigliato” Neymar, che invano si potrebbe paragonare a Pelè, ben altro essendo, oggi, il gioco del calcio rispetto a quando, molti decenni or sono, il super asso sudamericano calcava i campi da gioco (sul piano individuale un possibile paragone, ancorché molto teorico, lo si potrebbe forse tentare con James Rodriguez). Fiasco Brasile, fiasco Italia. Dove come sempre avviene nel nostro Paese il disastro – ché di disastro tecnico e agonistico si è trattato – è stato facilmente assorbito sia con il rito delle dimissioni, sia con il rifugiarsi ciascuno nei piccoli orti casalinghi in cui coltivare le proprie locali soddisfazioni o annacquare il personale disappunto confidando nell’immancabile futuro radioso. Che naturalmente poggerà su nomi nuovi e diversi. Prandelli?! Chi era costui?

Comunque, come non fosse successo niente (o comunque poco, a parte l’estromissione al primo turno dai mondiali brasiliani), alla fine di agosto il calcio italiano riprende il suo tran tran: campionato, coppa Italia, coppe europee, Supercoppa italiana, allenatori che vanno, presidenti che vengono, posticipi e tv, e nuova avventura nazionale. Il calendario della serie A prevede intanto nella stagione che sta per avviarsi quattro turni infrasettimanali (24 settembre, 29 ottobre, 6 gennaio e 29 aprile); sei interruzioni per le soste della Nazionale e per le festività natalizie (7 settembre, 12 ottobre, 16 novembre, 28 dicembre, 4 gennaio e 29 marzo); l’ultima giornata è fissata al 31 maggio. Per la qualificazione ai campionati europei in programma in Francia tra due anni, l’Italia è stata inserita nel girone H, insieme con Azerbaigian, Bulgaria, Croazia, Malta, Norvegia. In Francia andranno le nove squadre vincitrici dei gironi, le nove squadre seconde classificate e la migliore terza, mentre le altre otto squadre terze classificate disputeranno gli spareggi per determinare le rimanenti quattro squadre ammesse alla fase finale del torneo. Come dire: impossibile non esserci.

Ma che Italia sarà? Le prime indicazioni, è presumibile, ci saranno proprio agli inizi di settembre: il 4 è in programma una partita amichevole con l’Olanda e cinque giorni dopo la prima partita di qualificazione europea, in Norvegia.