Il 13 gennaio 1970 a Cesena nasceva Marco Pantani. Basta pronunciarne il nome perché gli appassionati e i tantissimi sportivi italiani sentano un brivido correre sulla pelle. Lo scalatore romagnolo, sin dal debutto, è sempre riuscito a conquistare i cuori degli amanti della bicicletta regalando copiose emozioni, scariche di adrenalina e di esaltante entusiasmo durante le sue epiche imprese. Perché Marco ha vinto tanto, ma grazie a lui ha vinto ancor di più l'Italia che il campionissimo di Cesena portava con sé sul sellino della sua Bianchi. E tutti noi ci siamo seduti idealmente su quel sellino pedalando e soffrendo, trattenendo il respiro insieme al nostro amatissimo campione.

Dopo la sua morte, quel maledetto 14 febbraio in quel residence di Rimini, qualcuno vorrebbe dare un immagine di fragilità di Marco, ma ciò non corrisponde al vero. Marco non era affatto fragile; Marco era un ragazzo forse un po' timido, schivo e riluttante alle grandi ribalte, ma aveva una volontà di ferro. Marco disponeva di una grinta e di una determinazione assolutamente fuori dal comune. Gli bastava salire in bicicletta per trasformarsi in un leone indomabile pronto a divorare le salite dalle pendenze più aspre, in ogni condizione, per raggiungere le più alte vette sfidando il tempo e la storia. Perché Marco era così: generoso e amabile come la sua terra, passionale e appassionato amante delle cose vere, dei rapporti umani. Perché Marco era un ragazzo, un campione vero, un uomo che non si è mai tirato indietro.

Marco Pantani è sempre stato il primo a esporsi per difendere i suoi colleghi e lo sport che amava profondamente, per chiedere quella dignità e quel rispetto che il ciclismo stava perdendo. Non si è mai nascosto il “Pirata”... E poi era un vincente, un predestinato, e si sa... Uno così alla lunga finisce per dare fastidio, finisce per essere odiato anche nell'ambiente da colleghi e avversari. No, non era certo un debole Pantani, e lo ha sempre dimostrato rimettendosi in sella, tornando a pedalare dopo incidenti terrificanti che avrebbero scoraggiato chiunque. Marco ha sempre avuto la forza di ricominciare e di tornare a battere tutti gli altri non appena la strada impennava, e dove servivano testa, gambe e soprattutto il cuore. E Marco il cuore ce lo aveva grande, ed era questo che lo faceva volare alto, facendolo amare anche dai francesi durante le vittorie nei tour. Uno come il “Pirata” non lo potevi fermare... Lui sentiva la montagna, respirava con la montagna, e come diceva lui “la montagna lo portava in cielo”.

Ha sempre sorpreso tutti Marco, conquistando il cuore degli sportivi in punta di piedi, inizialmente in silenzio, per poi esplodere dando spettacolo con imprese esplosive. Fin dalle prime vittorie da professionista nella Carrera, quando era compagno di squadra di “El Diablo” Chiappucci, Pantani è riuscito a guadagnarsi il rispetto e la stima del pubblico attraverso il lavoro e la fatica, senza mai apparire arrogante o altezzoso. Era sempre sorridente, fino a quando quel sorriso gli è stato spento con una violenza inaudita e silenziosa mentre era all'apice. Perché ancora una volta Marco stava dimostrando di essere il più forte, di essere irraggiungibile, e andava fermato. Ed è stato fermato nel modo più subdolo e vigliacco, ed è li che probabilmente Marco Pantani ha cominciato a spegnersi e a morire.

Il 4 giugno 1999 Marco Pantani trionfa a Campiglio ipotecando il giro; solo le tappe dell'Aprica e della passerella di Milano lo separano dalla vittoria finale. Invece all'alba del 5, il “Pirata” viene colpito a morte, viene tradito e umiliato proprio da quel mondo a cui aveva dato tanto. All'alba del 5 giugno, Marco Pantani veniva fermato con il pretesto dell'ematocrito oltre il limite; i verbali parlavano di 52, mentre la sera prima, secondo le testimonianze confermate anche ai giorni nostri nelle aule dei tribunali da testimoni attendibili, i valori erano ampiamente nella norma e si attestavano a 47/48. Ed è stato questo a uccidere “Il Pirata”, l'essere additato e accusato di barare da certa stampa; le offese, l'infamia. L'essere diventato il capro espiatorio, il bersaglio di chi era sempre stato battuto sul campo da Marco, sempre più solo ed emarginato da quel mondo che lui invece aveva sempre difeso. Quando a un campione come si tolgono i sogni, gli si toglie il più grande amore della sua vita, lo si uccide lentamente.

E così Marco entra nel tunnel più buio, fino a quel triste e drammatico 14 febbraio dove viene trovato senza vita nella stanza del residence riminese, ma sulla sua morte ci sono ancora troppi lati oscuri mai chiariti. Tanti elementi stanno emergendo in questi ultimi mesi; le indagini continuano e potrebbero portare a clamorosi sviluppi, ed è giusto che sia così. Perché Marco merita di avere giustizia. A noi invece rimangono quei ricordi, quelle emozioni indimenticabili che ci ha regalato alzandosi sui pedali e volando tra le più alte vette, che erano il suo habitat naturale, e continueremo a ricordarlo così... Perché noi “Il Pirata” lo portiamo sempre nel cuore.

Auguri Marco, Buon compleanno.