Non sarà certo la prima volta, né sarà l’ultima, che un tecnico allontanato dalla società per cui opera registri la concreta solidarietà dei suoi atleti, intenzionati a proseguire il loro cammino di crescita sotto la sua guida.

Tra gli esempi che si possono ricordare, la vicenda forse più famosa e clamorosa - se non altro per la “statura” dei protagonisti – è stata quella che trenta e più anni fa vide al centro lo sprinter campione olimpico e primatista mondiale Pietro Mennea, il tecnico e suo mentore Carlo Vittori e la federazione italiana di atletica leggera. Quando questo accade, quando cioè c’è solidarietà tra tecnico e atleta e tra atleta e tecnico, in presenza di provvedimenti societari, la conseguenza, nella stragrande maggioranza dei casi, è il trasferimento degli atleti che vogliano seguire il “coach” dalla società iniziale a una nuova. Trasferimento che le norme federali prevedono, a condizione che la società di partenza conceda il previsto e indispensabile “nulla osta” allo svincolo. In assenza del quale gli atleti sono impossibilitati a partecipare per otto anni a qualsivoglia attività agonistica in ambito federale.

Legittime sono state, e lo sono tuttora, le motivazioni alla base del meccanismo del “nulla osta allo svincolo”: si tratta, in buona sostanza, di una sorta di difesa del patrimonio delle piccole società, costituito proprio dagli atleti nati, per così dire, e cresciuti nell’ambito della società che li ha scoperti, curati e fatti crescere. E che, in alcuni casi e in alcuni sport, costituiscono la “base” per bilanci societari spesso striminziti. Non si possono tuttavia nemmeno ignorare le più che legittime aspirazioni degli atleti a seguire il percorso formativo, sportivo e agonistico con il tecnico di loro fiducia, il tecnico che li ha fatti crescere, li ha valorizzati. Do you remember Pigmalione?

In una società sportiva dilettantistica di Roma, l’Accademia di salvamento, che opera nel settore del nuoto da diversi lustri e con discreti risultati anche sotto il profilo agonistico, alcuni atleti (atlete minorenni, nello specifico) sono entrati in stato di fibrillazione – se non di vero e proprio disagio – perché il loro tecnico, Emanuele Vagaggini, è stato allontanato dalla dirigenza societaria, senza che si sia saputo qualcosa circa le motivazioni di questo allontanamento. Tra queste atlete figurano anche le sorelle Greta e Lucrezia Fabretti, campionessa italiana assoluta, quest’ultima, nel manichino con pinne, categoria Ragazze, in un tempo, 58”25, record italiano di categoria e riscontro cronometrico che corrisponde alla miglior prestazione europea juniores, realizzato – secondo quanto attestato dal sito Corsia4 – da una seconda vasca cronometrata non ufficialmente sui 33”-34” forse pari a quello di un record del mondo.

La solidarietà delle atlete col proprio tecnico non è stata naturalmente condivisa dalla dirigenza societaria, che ha messo in atto provvedimenti-monstre: ha negato alle atlete il nulla osta per trasferirsi in altro ambito societario e ha addirittura minacciato – non si sa in forza di quale “potere” - il divieto assoluto di nuotare. Senza il nulla osta, come si sa, per gli atleti c’è il blocco totale a livello agonistico. E questi – ricordiamo nel caso in esame la loro giovane età – nel comprensibile sconforto del momento hanno meditato, e stanno tuttora meditando, di abbandonare l’amata attività sportiva perché non riescono a metabolizzare quella che avvertono come un’enorme ingiustizia.

Tutto questo succede a Roma, nei giorni in cui – ironia della sorte o legge del contrappasso? - sono frequenti in tv gli spot promozionali della Rai per ricordare il maxi evento prossimo venturo delle Olimpiadi di Rio: “Lo sport è di tutti”, ammicca l’annuncio. Proprio di tutti?