Andare a Wimbledon per un appassionato di tennis, è come fare un pellegrinaggio alla Mecca per un musulmano.

Obbligatorio almeno una volta nella vita.

Il fascino dell'erba, la sensazione di un tempo magico e sospeso, la possibilità di vedere i giocatori praticamente a bordo campo, rappresentano una sensazione inebriante.

Ma entrare nel tempio del tennis non è affatto semplice: anche se si hanno discreti soldi da spendere, (ci sono vari siti specializzati che propongono a non meno di 1000 euro un posto in piccionaia sul centrale durante la prima settimana), il tutto è regolato da una serie di fattori tipicamente inglesi e quindi in perfetta coerenza con una tradizione ultra-secolare, dal momento che il primo torneo venne disputato nel 1870.

Le opzioni disponibili in prima battuta sono solo tre, ovvero:

1) partecipare a un sorteggio pubblico, la cui domanda deve essere redatta con sei mesi di anticipo per poter acquistare un biglietto la cui data ed effettivo campo verranno scelti in maniera randomica;
2) tentare di essere più abili di quanti, ai limiti dell'hackeraggio, riescono a volatilizzare i pochi biglietti messi on line nel giro di pochi secondi;
3) Affidarsi a un'agenzia di viaggi per acquistare un pacchetto completo che comprenda anche volo e soggiorno, con una valutazione nettamente sopravvalutata rispetto ai normali prezzi di mercato.

Oppure prestare il proprio consenso a un tipo di esperienza antropologica, che in Inghilterra nessuno penserebbe mai di aggirare.

Ovvero fare la fila o meglio la surreale, metafisica per quanto agognata queue. I numeri sono elevatissimi, perché su base statistica quotidiana saranno almeno 20.000 le persone disposte a fare anche sei ore di fila per strappare un biglietto a prezzi terreni (da 25 a 108 sterline, rispettivamente per ground e centrale, sempre nella prima settimana), con un capolavoro di organizzazione, che disciplinerà il tutto in modalità rigorosa, intuitiva e accettata di buon grado da tutti i partecipanti.

Premettendo l'altro grado civico della società inglese, dove tutto è più o meno tarato sulla salvaguardia del bene comune, sottoporsi al rituale della coda è assolutamente molto british, quasi una passione, e a Wimbledon questa modalità viene elevata a forma d’arte. Questo mare di facce viene disposto in base a una fila di vari livelli, su un campo simile a quello di rugby perfettamente curato, posto nelle adiacenze del circolo, all'ormai famoso gate number 10. A ognuno degli aspiranti viene dato un biglietto con data e numero: si tratta dell'eloquente queue card. Questo pass, rigorosamente non cedibile (sono ammesse assenze fuori dalla fila per un tempo non superiore ai 30 minuti), dovrà essere consegnato ai tornelli di ingresso per poter acquistare il biglietto d’accesso ai campi.

In questo modo si evitano al 100 per 100 quelle malizie che noi italiani conosciamo bene, ma per poter sperare di entrare al magnifico All England Lawn Tennis & Croquet Club, occorre presidiare il luogo veramente presto, perché i biglietti che consentiranno l'ingresso al centrale sono solo 500. Oppure ci sono gli altri campi (n. 1 e 2 che sono piazzati all'interno di un'arena con biglietto a parte, sempre non superiore ai 500 tagliandi per ognuno), oppure l'ampia possibilità concessa dai ground (dal n. 3 al 18): questa è la migliore chance per godersi il circolo, ammirando i tennisti da una distanza ravvicinatissima, che potrà arridere a circa 10.000 appassionati.

Un’altra possibilità è campeggiare la notte prima. Di anno in anno sono sempre di più le tende accampate fuori dagli ingressi, e l’atmosfera è vivace e piacevole. Alle 22 cala il silenzio, in maniera più o meno tacita, e alle 6 si viene svegliati per dare inizio alla coda.

Una volta varcati i tornelli, in un bel percorso costeggiato da un prato ineccepibile e ritirato il proprio biglietto, la magia di Wimbledon si impossesserà presto della vostra mente con dei flash continui che ricorreranno di continuo nella vostra mente. Ah dimenticavo, quest'anno ho potuto ammirare Fabio Fognini, Matteo Berrettini, la bellissima Andrea Petkovic, Rafa Nadal, Jo Wilfred Tsonga, Andy Murray e Nick Kyrgios.

Ma soprattutto Wimbledon.

E le ore di attesa con un minimo di sacrificio, anche in termine fisico, sono state ampissimamente ripagate.