L’anno scorso la battagliera e vivace casa editrice Liberilibri di Macerata ha pubblicato un avvincente romanzo storico di Paola Rivolta, intitolato Scarfiotti dalla Fiat a Rossfeld. In copertina spicca un intenso ritratto fotografico di Ludovico Scarfiotti, leggendario trionfatore dell’indimenticabile Gran Premio di Monza del 1966, l’ultimo vinto da un italiano su Ferrari.

In due ampie parti è diviso il romanzo: la prima dedicata alla storia di Lodovico Scarfiotti, nonno del pilota e primo presidente della Fiat, la seconda al brillante e sfortunato pilota morto nel 1968 in un incidente a Rossfeld, in Germania, durante le prove del Premio delle Alpi.

S’infiammano e s’intrecciano nel lungo romanzo storico di Paola Rivolta, le passioni, gli affari, gli sport che accompagnano il passaggio di secolo segnato da due guerre, dal fascismo, da ripetute crisi economiche e, infine, dal boom degli anni Sessanta. Due incontrastate dive dominano le scene dell’ante e del dopo guerra, la Topolino prima, la Cinquecento dopo.

La parte più straordinariamente affascinante per chi è appassionato di macchine da corsa, è sicuramente la seconda, dedicata alle gare automobilistiche dalla metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta. Vi si racconta con piglio velocissimo, a tratti da cronaca sportiva, degli ambienti di circuiti famosissimi, dei protagonisti di quelle corse, e naturalmente loro, le macchine. Sugli scenari famosissimi di Zandvoort, e di Spa, del Nürburgring e di Le Mans, di Montecarlo e di Monza, sfilano gli straordinari eroi della guida.

Sono nomi ai quali è rimasto legato il ricordo di duelli indimenticabili, di fughe solitarie, di ritiri imprevedibili e impensabili, di vittorie e sconfitte clamorose; nomi di uomini che ci hanno appassionato con la loro bravura, con la loro personalità, con il loro coraggio talvolta con la loro temerarietà: Jimi Clark, Jackie Stewart, Jack Brabham, Graham Hill, John Surtees e i ferraristi Lodovico Scarfiotti, Lorenzo Bandini e Mike Parks. E rivediamo di nuovo correre auto indimenticabili come le Cooper Maserati, le BRM, le Lotus, e perfino alcuni modelli Fiat e Alfa Romeo.

Leggendo rincontriamo auto e modelli che hanno fatto epoca e sono rimasti nella storia dell’automobilismo come la vecchia Vanwall, con la quale corse il leggendario Stirling Moss, e, ancora, la dimenticata Osca, costruita dai fratelli Maserati e affidata a Luigi Musso per il Gran Premio di Napoli del 1955.

Ma c’è anche, tangibile in questo libro, la storia di un’incrollabile passione degli italiani per uno sport che negli anni Cinquanta e Sessanta non era circoscritto alle grandi kermesse dominate da sponsor onnipotenti, da contratti televisivi tassativi e dal clamore ossessivo delle pubblicità: era una passione alimentata dalla pazienza, spesso fatta più di estenuanti attese, che dell’ossessione di vedere, come accade oggi, alla televisione ogni centimetro di una corsa grazie all’alternarsi di camere fisse e mobili.

Paola Rivolta ricorda, tra gli altri, il Gran Premio di Pescara svoltosi su un circuito cittadino dal 1924 al 1961, con l’interruzione bellica dal ‘39 al ‘47. Prima della guerra vi corrono personaggi del rilievo di Enzo Ferrari, Giuseppe Campari, Achille Varzi e perfino Tazio Nuvolari e, dopo la guerra, Manuel Fangio, Stirling Moss, Peter Collins, Luigi Musso, Lorenzo Bandini e anche la bravissima e allora famosissima, Ada Pace, spesso citata nelle cronache con lo pseudonimo di Sayonara.

Quello di Pescara era un circuito lungo ben venticinque chilometri che si sviluppava tra il centro cittadino, dove era il rettilineo di arrivo con le tribune, e la periferia extraurbana, con un percorso, ostico e pericoloso, irto di difficoltà, di curve e controcurve particolarmente strette. Le velocità più elevate si ottenevano su un rettilineo che congiungeva le località Cappelle sul Tavo e Montesilvano e che portava le auto direttamente in vista del mare. Il tratto di strada è ancora denominato “il chilometro lanciato”; ed è qui, su questa striscia di asfalto, che nel 1950 Fangio raggiunse la velocità stratosferica per quegli anni dei 310 orari.

Era un evento, che mobilitava l’intera provincia! E al quale ancora bambino ebbi la fortuna di partecipare. Chi, come i miei zii, non poteva permettersi di pagare un biglietto di tribuna, si traferiva, spesso in gruppo e in bicicletta, sulle colline di Spoltore. Qui ci si appostava strategicamente in prossimità di due doppie serpentine di curve, dove le macchine erano costrette a rallentare e, dalla distanza ravvicinata posta a due o tre metri sul livello della strada, si poteva guardare quasi in faccia il pilota.

E per guardare quasi negli occhi Peter Collins o Ada Pace, per assistere al passaggio, fulmineo nonostante la strettezza delle curve, si trascorreva una mattinata intera ad aspettare, mangiando panini preparati in casa, chiacchierando e facendo commenti e pronostici, senza nemmeno la soddisfazione di sapere in tempo reale il nome del vincitore, perché si era assai lontano dalla linea del traguardo. Lo sfrecciare delle macchine, il rombo dei motori e lo stridio dei freni e degli pneumatici era però un piacere travolgente, addirittura mozzafiato, che ben valeva le attese sotto il sole.

Erano tempi in cui la preponderanza del perfezionismo tecnologico non era assoluta protagonista delle gare automobilistiche e la capacità e il coraggio dell’uomo erano assolutamente prevalenti.

Il prezzo da pagare, tuttavia, per questo coraggio, era altissimo: troppo spesso la vita. Paola Rivolta riporta un articolo dell’Osservatore Romano, dal titolo Saturno Industriale del 1958 in occasione della morte del pilota Luigi Musso: “Saturno ammodernato – era scritto tra l’altro – fattosi cioè capitano d’industria continua a divorare i propri figli” L’articolo era un appello a farla finita con le corse.

E l’autrice di questo libro rende omaggio a molti di questi figli divorati: a Scarfiotti, innanzitutto, a Eugenio Castellotti, ad Alfonso De Portago, a Luigi Musso e a quello stesso Peter Collins che, da ragazzino, vidi quasi negli occhi, guardandolo dall’alto di una curva a Spoltore, sul circuito di Pescara, e che di lì a poco sarebbe morto sul Nürburgring. Ma della fine tragica del mio eroe di un eccitante giorno d’estate su un circuito spettacolare e difficile, ho saputo molto dopo, da adulto, e mi è tornato alla mente proprio leggendo questo appassionante romanzo.