Ci risiamo. Come già avvenuto in un passato neppure tanto lontano, la società italiana si è ritrovata a discutere di un problema sociale, la violenza, innescato da un momento sportivo, il calcio. Nihil sub sole novi, naturalmente. Dopo la questione delle intercettazioni telefoniche, il famoso calciopoli di moggiana memoria che fece sollevare il coperchio di un malessere endemico del nostro calcio fatto di intrallazzi, combines, ricatti, il tutto finalizzato all'accrescimento di vantaggi economici, personali e/o societari, diretti e/o indotti (così fan tutti?, forse, ma senza che tutti ne siano stati coinvolti); dopo le perquisizioni e le Volanti allo stadio; dopo la lunga e per taluni non sopita né completamente chiarita vicenda del calcio scommesse, sulla quale è calato un silenzio che a qualcuno sa di bruciaticcio; dopo questo e altro che al momento non ci sovviene, è fragorosamente riesploso il problema della violenza da stadio.

Problema non nuovo, come si ricorderà, bastando sfogliare qualsivoglia giornale o sito di informazione per risalire alla cronistoria di fatti, persone, luoghi, date che hanno contrassegnato il cammino, in Italia ma non solo, di questo specifico aspetto di uno sport che da momento educativo-diversivo è diventato, suo malgrado, evento social-mediatico. E come tale guardato e gestito, nel bene e nel male, con gran profluvio di commenti, dirette tv, dibattiti, tavole rotonde, interviste, inchieste, tutto immancabilmente condito dalla promessa-speranza che “questo non deve più accadere”. Promessa, inutile rilevarlo, mai mantenuta. Almeno fino ad oggi. A differenza di similari violenze, che nel tempo hanno segnato ahinoi persone e famiglie, e attraverso queste la stessa nostra società, stavolta nei pressi dello stadio Olimpico non ci sono state vittime, anche se qualcuno una vittima l’ha individuata nello sport tout court, e nel calcio in particolare.

Non molto tempo addietro, il presidente del Consiglio pro tempore Mario Monti, attirandosi critiche spazientite e risentite, aveva auspicato la “chiusura” del campionato di calcio. Meglio chiuso per inventario che per lutto, avevamo scritto anni prima, quando la tragedia dell’Heysel non sembrava aver insegnato nulla non solo al tifo, ma neppure ai dirigenti del calcio italiano globalmente inteso. Monti, è bene ricordarlo, aveva avanzato sostanzialmente una identica proposta di chiusura, che naturalmente aveva avuto il pregio di coalizzare tutte le componenti del variegato mondo pallonaro. E queste, profilandosi il rischio di vedersi sfilare dalle mani il “giocattolo”, avevano risposto malamente a quella che considerammo una sorta di provocazione, senza valutare se forma e sostanza non meritassero, già allora, figurarsi oggi, un supplemento di analisi, di riflessione. Che invano ci si aspetta, per lo meno dagli anni Ottanta. E che aspettiamo ancora oggi.

Millenovecentottanta. Sembrerebbe un secolo fa, ma sono passati una trentina d’anni appena. Le Gazzelle dei Carabinieri allo stadio provocarono allora sorpresa, sconcerto, stupore. Il calcio, il grande sport nazionale, una delle “industrie” più seguite e coccolate del Paese, fu colpito in pieno da uno scandalo che sembrava dovesse indicare il cartello di non ritorno, l’off-limits, il termine ultimo e invalicabile oltre il quale ci si sarebbe aspettato un rientro nell’alveo della normalità, della legalità. Soprattutto da quanti erano (e sono, tuttora) gli interpreti, i protagonisti attivi, di quello spettacolo, i calciatori non meno che i dirigenti.

I pochi lustri che ci separano dagli eventi di quell’apparentemente lontano 1980, sono bastati appena a modificare la struttura formale delle cronache: “Tutto il calcio” resta in radio ma va anche in tivù minuto per minuto, e dagli instant books di allora si è arrivati ai blog di oggi, come è stato argutamente notato. Ma per il resto, non sembra sia cambiato nulla, in quel mondo. Il tempo trascorso non è stato sufficiente a modificare la struttura sostanziale di quella stessa “industria”, che come s’è accennato Monti avrebbe voluto addirittura depennare almeno per un paio d’anni dal novero delle attività.

Non che il calcio non se lo sarebbe meritato, altro che. Dopo quello del 1980, c’è stato infatti lo scandalo, pressoché identico per forma e sostanza, del 1986, ancora con scommesse clandestine, protagonista e interprete, manco a dire, lo stesso mondo del calcio. Poi c’è stata la “grande abbuffata” dei mondiali di Italia ’90, dove lo scandalo fu rappresentato, ed in parte forse lo è tuttora, dalla costruzione degli stadi. Nel 2006 si arriva a “calciopoli”, senza che si dimentichino tuttavia il doping reale e quello cosiddetto amministrativo, le schede telefoniche e i ricorsi al Tar, i condizionamenti diretti e quelli indotti, il merchandising e la vendita dei biglietti, l’“inchino” agli arbitri e i bilanci societari, cui ora sembra guardare con attenzione il presidente dell’Uefa, Michel Platini.

E oggi? Il giocattolo rischia di rompersi, definitivamente: ma non per mano di teppisti più o meno armati. E’ bene che qualcuno intervenga dall’interno (Lega, Federcalcio, Coni?) per evitare che dall’esterno ci si senta autorizzati ad interventi drastici, allora sì inevitabili e dolorosi. Anche perché con i giocattoli rotti non ci si diverte. In tanto bailamme, né sapendo effettivamente come andrà a finire, il campionato di serie A ha salutato la vittoria, terza consecutiva, della Juventus di Conte. Lo scudetto è arrivato con un paio di giornate d’anticipo rispetto a quello che poteva essere, calendario e classifica alla mano, il match-clou, quel Roma-Juventus che ancorché depotenziato del sapore scudetto ha costituito un’anteprima di quello che verosimilmente sarà il leitmotiv della stagione prossima, Napoli, milanesi e possibili altri outsider permettendo. Ed è arrivato nel giorno in cui a farla da padroni non sono stati i dribbling, le reti segnate, i gesti tecnico-atletici, ma la violenza (fuori dallo stadio, certo, lontano dal recinto di gioco, ma che allo stadio, al calcio, al mondo che gli ruota intorno è purtroppo riferibile).

Ed è arrivato nel giorno in cui il ferimento di Ciro Esposito ha riportato alla memoria la vicenda dell’ispettore di Polizia Raffaele Raciti, morto a Catania a seguito degli incidenti occorsi in quel tragico Catania-Palermo del febbraio 2007, nello stesso giorno, pochi lo hanno ricordato, in cui perse la vita anche il dirigente di una squadra di Terza Categoria, Ermanno Licursi, per un pedaggio di sangue che fece già allora gridare allo scandalo di un calcio che si contorna di violenza senza saperne il perché, senza soprattutto sapersene difendere. Il calcio, tutto il calcio, allora si era fermato. Per una riflessione, s'era detto. In attesa di interventi concreti e risolutivi, s'era auspicato. Poi, con gradualità, qualche limitazione e alcuni (pochi) aggiustamenti, si è tornati regolarmente in campo, senza che, apparentemente, siano stati presi provvedimenti che alcuni avrebbero voluto ben più radicali e incisivi, nella forma e nella sostanza, di quelli presi, allora, dal governo Amato (vedi scheda).

Furono provvedimenti restrittivi accolti con favore anche da due celebrati campioni come Gianni Rivera e Sandro Mazzola, che ne parlarono in un dibattito all'interno del penitenziario romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Nell’occasione (la citazione ci pare meriti di essere ricordata) il direttore del carcere, Carmelo Cantone, aveva ricordato la sua infanzia catanese, quando «mio padre non aveva remore ad accompagnarmi al Cibali per assistere alla partita di pallone, l'"arbitro cornuto!" era di prammatica, lo sfottò coi tifosi avversari un invito all'inventiva, la vittoria dei nostri beniamini un tripudio, la sconfitta lasciava solo un po' di magone, anche se a condannarci era stato, magari, un rigore dubbio». Erano gli anni Sessanta. Poi a cominciare dagli anni Settanta si sono affacciati gli ultras, sempre più invadenti, in una sorta di slavina che ha travolto tutti, ultras compresi. E per esserne salvati si chiedono ora interventi concreti. Perché non attuare in Italia il metodo Thatcher?

Alcune delle principali norme contenute nel decreto Amato:
• Partite a porte chiuse. Fino all'esecuzione degli interventi strutturali e organizzativi previsti dal decreto Pisanu, le partite di calcio possono essere svolte esclusivamente a porte chiuse.
• No alla vendita di biglietti in blocco a squadre ospiti. Le società non possono più vendere, direttamente o indirettamente, alla squadra ospitata biglietti in blocco.
• "Daspo" preventivo fino a sette anni. Il divieto di accesso negli stadi viene innalzato fino a sette anni. Può essere disposto anche nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulta avere una condotta violenta o tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica e non più solo dopo l'accertamento di un reato. Chi viola il "Daspo" rischia da 6 mesi a tre anni di reclusione e una multa fino a 10 mila euro.
• Arresto in flagranza differita entro 48 ore. La polizia potrà arrestare in flagranza di reato differita fino a 48 ore, contro le attuali 36, chi in occasione di manifestazioni sportive risulta, grazie a foto o video, autore di un reato commesso con violenza alle persone o alle cose.
• Giudizio direttissimo. Verrà giudicato per direttissima non più solamente chi ha lanciato materiali pericolosi o ha fatto invasione di campo, ma anche i tifosi che vengono trovati in possesso di razzi, bengala e altri artifici pirotecnici.
• Spezzare legame tra società e tifosi. Prevista la possibilità di sequestro di quei beni "la cui disponibilità può agevolare, in qualsiasi modo, le attività di chi prende parte attiva a fatti di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive".
• Aggravanti per i delitti di violenza o resistenza a pubblico ufficiale. Vengono portate da un minimo di 5 a un massimo di 15 anni, anziché da 3 a 15, le pene per chi commette violenza e resistenza a pubblico ufficiale con armi ma anche con il lancio di corpi contundenti e altri oggetti, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone.

Per saperne di più:

Non è il caso di correre dietro ai fantasmini della dietrologia: ma certo che, come ‘saluto’ dello sport al nuovo governo e come prologo alla grande finale di Champions League in programma domani sera all’Olimpico, gli incidenti che hanno fatto da contorno alla finale di Coppa Italia tra Atalanta e Fiorentina non sono stati proprio rassicuranti... (La Discussione del 21 maggio 1996)

Hanno fatto male, molto male, al calcio quelle scene di ordinaria follia tifoidea che ai primi di febbraio da Catania hanno irradiato un'immagine della società italiana che più violenta non si poteva. Ma hanno fatto ben peggio quelle scritte sui muri di molte città che di fatto inneggiavano a quelle violenze, dando della società italiana un connotato di estremismo e di virulenza che serpeggia e che è difficile da sradicare... (Le due città, febbraio 2007).