Il dolore è il nostro sentiero storto, non previsto dal calendario...
(Marina Cvetaeva)

Nella vita mi sono abituata anche al dolore fisico. Tiro fuori dal forno il pane che scotta e non sento il suo calore. Ho sopportato e sopporto dolori alle ossa dalla testa ai piedi con pazienza e in silenzio come se, arrivata a un limite, avessi deciso: ora basta. Ho rivestito il mio corpo con una sostanza impermeabile. Ma vi sono dolori affilati come diamanti che superano la mia corazza e arrivano diritti alla carne e al sangue. E lì stanno. L'estate, tra una pioggia e l'altra, è trascorsa senza essersi realizzata ma il verde del bosco ha acquistato toni intensi e luminosi. In lontananza sento il suono profondo del mare in burrasca e le chiome dei pini marini sfidano l'azzurro del cielo. Mi aggrappo a tanta bellezza per non precipitare in quell'abisso che è la sensazione di non vivere più in nessun luogo.

Patire il dolore e la disperazione di un mondo - qui vicino - ma anche se fosse - là lontano - che non trova pace, mi crea un dolore forte come le piene dei fiumi e le forze mi abbandonano. Non mi ritrovo più. Non vivo. Tranne l'essere anestetizzata da questo frammento di paradiso terrestre che è qui di fronte a me ed è il terreno del silenzio, di ciò che è riservato e che appartiene all'anima. Mi sto allontanando troppo e rientro a casa perché desidero rivisitare le regioni di un dolore "famigliare" che ha colpito mio nipote Federico. Trascrivo il diario di sei giorni tempestosi, ma sono anni che Federico vive in compagnia del suo dolore al ginocchio e questo è il terzo intervento che ha subito. Il dolore, anche quello al ginocchio, muta le nostre vite proprio come quel sentiero storto, non previsto dal calendario.

L'attesa

Mariella
Oggi è il 18 giugno 2014 e il mio cuore è sospeso. A Bologna, un chirurgo sta operando Federico al ginocchio. Mi hanno detto che entrava in sala operatoria alle 15, sono le 17 e 30 e ancora Valentina non mi ha chiamata. Quando vado in crisi divento una persona inconcludente. Cerco di perdere tempo e intanto penso. Penso che a Federico stanno facendo un intervento al ginocchio e sono già trascorse due ore e mezzo e ancora non esce dalla sala operatoria. Suona il cellulare ma è una signora che ha sbagliato numero. A volte la crudeltà è nell'aria e si deposita dove capita. Oggi è una giornata particolare. Congiunzioni astrali hanno fatto sì che il 18 giugno fosse per le tre famiglie De Logu, Busi, Tozzi, una giornata ricca di eventi perturbanti e io mi sento inutile. Mi manda un messaggio Valentina e mi chiede di fare una ricarica al cellulare di Natalia. E Federico? Federico è appena entrato in sala operatoria. Alle 18. Pensavo fosse entrato alle 15. Mentre scrivo, Marcella, Andrea, Valentina e Federico sono al Rizzoli, Lella e Franco sono a Milano per un esame clinico, Natalia è al primo giorno dell'esame di maturità e Allegra è con Letizia, sua zia e non sappiamo quanto tempo resisterà senza la sua mamma.

Vado a fare la ricarica, parlo con Natalia che è soddisfatta della prova scritta. Manlio mi fa la grazia di accompagnarmi da Allegra. Devo convincerlo di portarmi in spiaggia perché lui vuole andare solo a casa: se in casa non ci sono, ritorniamo a Ravenna. Devo partire da qui, Letizia è al mare con Allegra e di lì non si muove, Manlio invece vuole andare a casa dove non c'è nessuno. Riesco nell'impresa e finalmente nella zona giochi del bagno molo tre zero posso vedere Allegra in una piccola casetta di plastica che entra e esce dalla porta, apre e chiude le finestre, e compie tante volte gli stessi gesti. Prende così confidenza con gli oggetti che la circondano. È felice perché oggi non ci sono altre bambine che le impediscono di aprire e chiudere porte e finestre. Non solo, inizia a comprendere i percorsi degli altri giochi. E quando, alla fine, dobbiamo andare, lei rimane nella sua casetta, da sola. Lo so. Quando si diverte, le altre cose non esistono. È totalmente concentrata sulla sua fonte di piacere. Non esiste altro.

Me ne vado con Manlio che ora dice che abbiamo fatto bene a venire. Andiamo a mangiare una pizza monumentale, enorme che ancora non riesco a digerire. Nel frattempo arrivano telefonate e foto di Federico sorridente. Sono distrutta, mi sento come se mi avessero preso a pugni e a calci. Il mio corpo si ribella e mi fa male dalla testa ai piedi. Domani di nuovo al molo tre zero e intanto la mente produce i suoi dubbi, i suoi inganni, le sue paure e il cuore è sospeso.

Federico
Oggi è il 18 giugno 2014. Ieri sera sono andato al cinema con i miei amici, cercando di non pensare e di stancarmi il più possibile. Infatti, come previsto, ho dormito tutta notte. Questa mattina sono partito di casa verso le sette con la mamma e il babbo al seguito; Allegra rimane a casa con la zia Letizia e Natalia è al suo primo giorno di esame di maturità. È strano pensare che proprio oggi il destino abbia voluto mettere me e mia sorella a dura prova; forse per me sarà più dura, ma non ne sono poi così sicuro. Arriviamo al Rizzoli alle nove. La segretaria del reparto controlla i miei documenti e ci accompagna alla mia stanza. Oltre ai miei genitori, c'è anche mia zia Marcella, che è medico e in questi anni mi ha sempre seguito e sostenuto. Per un po' nessuno ci "disturba": dentro e fuori calma piatta. Ma nel giro di dieci minuti prende forma un andirivieni di medici, infermiere e anestesisti che entrano ed escono dalla mia stanza; mi sottopongono a iniezioni, prelievi, cerette, elettrocardiogrammi.

Comincio a innervosirmi, ed è soltanto l'inizio. Da questo momento attendo l'intervento. Passano ore interminabili; penso che si siano dimenticati di me. Entra finalmente un'infermiera, che mi dà un calmante e un assistente porta il mio letto (e me) nella sala d'attesa. Ad accompagnarmi c'è solo mia mamma. Sono contentissimo che sia potuta entrare con me, penso che senza di lei non ce l'avrei mai fatta, che è il mio punto di riferimento e lo sarà sempre, ma nel giro di poco tempo i pensieri si fanno più lenti. È il calmante che sta facendo effetto. Mentre nel mio cervello c'è una grande confusione, un assistente si avvicina e comincia a parlare della sua vita, dell'amato Sud e di tutti i prodotti tipici della sua terra. Penso che potrei ucciderlo. Mia madre, come al solito, lo ascolta e sorride al momento giusto. Io no, io vorrei tanto entrare in sala operatoria e operarmi e risvegliarmi e andare avanti, ma c'è ancora questo assistente che parla e sento che l'agitazione aumenta. Finalmente entro in sala operatoria. Mi attaccano la flebo e il dolore mi paralizza; la verità è che non mi sento pronto. I momenti successivi sono tutti confusi, so che mi hanno fatto l'epidurale ed ero cosciente e sveglio durante tutto l'intervento, ma la mia testa era altrove. Mi piacerebbe tanto sapere a cosa pensavo.

19 giugno

Mariella
Penso a Federico che oggi non sta bene. Lo penso quando nuoto, quando mi vesto - male - quando mi insegue una nuvola nera, quando perdo le chiavi, quando incontro Allegra che sente già la mancanza della sua mamma, quando sotto la pioggia mi appare Natalia e quando, nella valle, guardo il tramonto. Penso a Federico quando rientro nel mio rifugio. In queste vele di Scampia portate dal vento a Marina Romea lo stato di ansia per un poco si placa. E cerco parole senza voce perché vorrei arrivassero in silenzio in suo soccorso.

Federico
Questa mattina mi sono svegliato con un dolore tremendo al ginocchio. Lo aspettavo, perché durante la notte, pur essendo ancora sotto l'effetto dell'anestesia, sentivo delle fitte. Dopo dieci minuti di sopportazione ho chiamato un'infermiera che mi ha fatto una flebo di antidolorifico. Inizialmente sono migliorato, ma dopo poche ore ho cominciato ad avere la nausea e a sonnecchiare senza accorgermene. Mi sentivo come intossicato. Arrivata la sera, ho chiesto alle infermiere di cambiare strategia. E il dolore ha preso di nuovo il sopravvento.

20 giugno

Mariella
Caro Federico, è proprio a te che voglio scrivere in questo momento nel quale come spesso accade, la mia figura di nonna è del tutto appannata. Non riesco più ad essere incisiva e utile. Non ti ho aiutato nei momenti in cui il dolore sconvolge il corpo e la mente non riesce più a sorreggerci. Al mio posto, vicino a te ci sono la tua mamma e la tua zia; le mie figlie. Da molto tempo sono loro che agiscono e tentano di raddrizzare quel "sentiero storto" con commovente determinazione. Mi sento come l'imperatore cinese che dall'alto, e ben protetto seguiva la battaglia. Il dolore più grande, oggi, è non potere aiutarti. D'altra parte non ho aiutato neanche Allegra che da un momento all'altro si è trovata senza i suoi punti di riferimento: la mamma Valentina e la nonna Lella. In compenso ho delle idee fisse: tu, quando rientri a casa non devi fare le scale e Allegra non deve dormire oltre le 16. Ma non posso insistere, però insisto ugualmente soprattutto per le scale.

Tu hai sofferto moltissimo e questo dolore ha segnato la tua vita e ha in parte formato il tuo carattere. Il dolore e l'impossibilità di muoversi liberamente creano in persone sensibili una serie di percorsi che conducono inevitabilmente a una riflessione profonda di sé e del proprio agire. Questo porta a un volontario isolamento perché porre domande al nostro mondo interiore richiede tempo, silenzio, solitudine. Vedi, anch'io ho subito un dolore insopportabile e più che viva, come dico spesso, mi sento una superstite. Non è il tuo caso. Spero solo che tu possa finalmente camminare senza provare dolore.

Federico
Oggi il dolore, se possibile, è ancora più forte. La mamma è uscita un attimo dalla stanza e sta parlando al telefono con la nonna Mariella. Rientra molto arrabbiata; la nonna si raccomandava di non farmi fare le scale. Non so come le sia venuto questo pensiero, visto che volente o nolente, le scale comunque non riuscirei a farle. I miei pensieri vengono interrotti da un'altra ondata di dolore. Vorrei trovarmi in un altro posto, con altre persone, altre riflessioni, altri contesti. Unica fonte di salvezza: la lettura. Grazie ai libri, cerco di immedesimarmi in altre storie, altre vite che mi sembrano davvero più interessanti e coraggiose della mia.

21 giugno

Mariella
Oggi è sabato ed è il quarto giorno che aspetto e sono sempre più inconcludente. Aspetto che ti passi il dolore, la nausea e la smettano di farti le iniezioni. Mi vien da dire che la terra è la madre di tutti i dolori. A te un ginocchio e io mi concentro su questo tuo dolore che si dilata nelle vite di chi ti vuole bene. C'è la paura che qualcosa dentro il tuo ginocchio, ancora una volta, non vada per il verso giusto. Attendo di vederti camminare, correre e perché no, giocare a calcio, anche se è uno sport che non mi piace per niente.

Federico
È il mio ultimo giorno in ospedale. Il più difficile. Nel giro di un'ora, oltre alle dolorose fitte al ginocchio, mi tolgono la flebo (odio gli aghi) e il drenaggio dal ginocchio. Ovviamente chiudo gli occhi e cerco di pensare ad altro. Mentre sono in pieno panico, il dottore mi prende in giro e mi chiama "fifone". Cerco di sfoderare una delle mie occhiatacce, ma forse non ne ho neanche più la forza. Il sangue continua a uscire e il dottore continua a spingere sul mio povero ginocchio. Penso alle persone malate, con problemi molto più grossi dei miei, e inizio a comprendere le loro vite davvero coraggiose.

Dopo due ore, mi dimettono. Viene a prenderci il mio babbo e cominciamo "il viaggio" verso Marina di Ravenna. Uno strazio. A ogni piccolo sbalzo, sento una fitta fortissima. Arrivo a casa e trovo tutta la famiglia ad aspettarmi. Mi cantano un "Bentornato!" in coro e mangiamo una torta (che io scarto educatamente). Voglio stare solo. Sono contento di vederli, ma nello stesso tempo so che nessuno di loro può capirmi. L'ho provato anche io; finché non senti il dolore, non potrai mai capire una persona malata.

23 giugno

Mariella
Oggi ho capito che dovrò attendere ancora per lungo tempo la tua guarigione. Un mese di iniezioni. Un po' di febbre, l'intestino che da cinque giorni non dà segni di vita. Il tuo bel volto stanco, provato. Il dolore e la paura. Ti dicono che c'è chi, le iniezioni, se le fa da solo, ma sono tutti adulti e non hanno esperienza quotidiana con le punture. Non sono queste le parole che possono dare sollievo a un ragazzino di 15 anni. Io non ho parole. Semplicemente. Il dolore ha tempi lunghi. In compenso tu e le tue sorelle avete una mamma "tutto fare". Per lei non ci sono momenti liberi. Pratica l'arte materna, con una tenacia che non conosce pause. Lei per voi arriva ovunque. A volte pare si moltiplichi. Contemporaneamente è con te, studia storia dell'arte con Natalia e con Allegra in braccio prepara la cena. L'arte, come qualsiasi altra azione, prevede il fare e Valentina applica nel lavoro materno una sapienza antica. Intendo quella primaria che mette al mondo il mondo e se ne prende cura.

Federico
Oggi mi hanno dato una bruttissima notizia: un mese di punture nella pancia. Gli adulti mi rassicurano, mi dicono che sono una passeggiata, ma io ho il terrore delle iniezioni. Per i prossimi giorni, a farmi le punture sarà un'infermiera in pensione con il vizio di parlare troppo e di sentire poco. Non vedo una via d'uscita. Non faccio in tempo a rattristarmi, che mia mamma è già lì che mi chiede come sto. La guardo male e le dico di andarsene. Lei non si muove. Odio quando mi comporto così, ma non ne posso fare a meno: sono davvero arrabbiato. Ma so anche che lei non c'entra nulla. Sta sacrificando la sua vita per me e le mie sorelle. Veramente non so come faccia a seguirci: in questo mese così difficile per tutti noi, è scontato dire che è solo lei, con il suo "pensiero positivo" a tenere in piedi la nostra famiglia.

24 giugno

Mariella
Oggi va molto meglio. Gli scritti di Natalia sono andati bene, Allegra è come al solito una creatura che incanta per bellezza, energia, collaborazione. Il fatto che le prime parole siano state "no, no, no" la dice lunga sulla sua determinazione. Ma siamo ancora nel tempo dell'attesa. Altre analisi, un po' di febbre. La febbre cresce, allora ecco l'antibiotico e un non previsto controllo a Bologna. Intanto Allegra è all'erta; ha paura che Valentina se ne vada ancora.

Federico
Comincio a sentirmi più forte: sono andato di corpo e le fitte al ginocchio sono diminuite, ma in compenso la febbre è salita. Mia zia Marcella insiste per fissare un controllo a Bologna e, in mattinata, siamo già al pronto soccorso. Dopo dieci minuti scende un medico, mi visita e rassicura me e mia madre; poi torniamo a casa. La giornata continua così, tra libri e pensieri che mi affollano la mente. Senza accorgermene comincio a piangere; niente singhiozzi o altro, solo lacrime che scendono silenziose. Più tardi capisco che non è dolore, ma un grande sollievo. La via d'uscita c'è e la sento sempre più vicina.

Testo di Mariella Busi De Logu e Federico Tozzi