Sophie avanzava, affondava le scarpe in pozzanghere grandi come laghi. La pioggia batteva sul suo cappuccio giallo. Gli occhi bruni, liquidi quanto il fango ai lati della strada, erano selvaggi e spaventati come quelli di un’orsa ferita. Attraversò un vecchio ponte e per due volte fece avanti e indietro accanto a un gruppo di case azzurre, gettando occhiate agitate al navigatore sul cellulare. Con lo stomaco in burrasca si fermò davanti a un portoncino verniciato di nero e suonò il campanello. Aspettò un minuto e suonò di nuovo, poi ancora.

Finalmente la porta s’aprì: un signore l’invitò ad entrare, sorrideva leggermente ad occhi socchiusi. Capire quanti anni avesse era difficile. Sulla pelle ancora fresca apparivano e scomparivano rughe sornione. “Accomodati pure,” disse il signore indicandole un divano blu ricamato d’oro. Sophie si guardò attorno un po’ spaesata. La sala era piena di oggetti inutili piuttosto belli, polverosi ma allo stesso tempo, come dire… luccicanti. “Allora, come mai sei qui?” le chiese. Sophie si scosse, improvvisamente sembrò ricordare il motivo della marcia sotto la pioggia, il suo viso s’animò: “Devi lavare il mio cuore!” affermò. Il signore sorrise: “Ma tu sei un essere umano.”

“E allora?” chiese Sophie. L’altro si mise comodo su una poltrona verde: “La vita degli umani è talmente breve che il loro cuore muta di continuo. Possono impegnarsi a costruire relazioni stabili quando trovano qualcun altro disposto a faticare, ma non hanno il tempo materiale per capire chi sia l’amore della loro vita. Dunque non serve che io lavi il tuo cuore, poiché presto muterà in modo naturale e si rivolgerà altrove. Io lavo il cuore di demoni e dei, il cui amore rischia di durare in eterno.”

“Vivrò poco, ma questo non significa che il mio amore non durerà per tutta la mia vita, rovinandola.”
“Ti sbagli, il tuo cervello è fatto per andare avanti.”
“È del mio cuore che stiamo parlando!”
“Come vuoi, fatto sta che non posso privarti di questi sentimenti: ne proverai talmente pochi nella tua breve vita che ti sarà difficile persino capirli davvero.”
“Non voglio capirli, ma liberarmene! Il cuore mi batte così forte che non riesco a respirare.”
“Che è successo?” chiese pazientemente il signore, “Ti ha tradita? Ti ha rifiutata?”
“No, lui non sa che l’amo.”
“Fammi capire: tutta quest’enfasi per cancellare dei sentimenti che non hai nemmeno espresso?”
“Non riesco ad esprimerli! Ci ho provato! Non riesco ad esprimerli e sento che senza lavarli subito via il mio cuore esploderà!”
“Va bene, ti spiegherò come lavare il tuo cuore.”
“Grazie.”
“C’è solo un modo per farlo: lasciare che i tuoi sentimenti escano fuori. Devi aprirti, dichiararti. Un cuore stitico dev’essere purgato! Te lo sta dicendo un… beh un medico, ecco, non una persona qualunque.”
“Ma io non riesco ad aprirmi! Ho saputo che di solito lavi i cuori con la magia, fai in modo che l’amore venga dimenticato.”
“Vuoi davvero dimenticare il tuo amore in quel modo? Pensaci bene cara,” disse il signore guardandola negli occhi con fare paterno. Sophie non riuscì a rispondere di sì. Passata la foga del momento sentiva che forse non era la cosa giusta da fare. L’altro sorrise: “Fidati di me: per lavare il tuo cuore devi fare come dico. Ti darò un rimedio per cuori stitici che renderà la dichiarazione un gioco da ragazzi”. Poi s’alzò, aprì la credenza viola in cucina e si mise a frugare tra una schiera di flaconcini dalle forme più svariate. “Eccolo qui!” esclamò infine, e porse a Sophie una bottiglietta sgargiante. “Due gocce prima del grande momento e l’impresa sarà fatta,” aggiunse.

Era notte. Sophie rotolava nel suo letto come una foca. Ogni tanto lanciava occhiate preoccupate alla preziosa bottiglietta che brillava sul comodino… proprio non riusciva a dormire: domani era il grande giorno. Avrebbe aperto il suo cuore. La stazione è un buon posto per le parole d’amore: di passaggio andiamo, torniamo, ci ritroviamo e diciamo addio; infine i finestrini portano via tutto lungo i binari. Sophie camminava avanti e indietro con lo stomaco spiaccicato. Non molto lontano il mistico ragazzo aspettava il treno che l’avrebbe riportato per un po’ nel suo paese d’origine. Sophie, prima che lo spazio gentilmente li separasse, voleva dirgli ogni cosa. Trattenendo il respiro svitò il flaconcino e si preparò a lasciar cadere sulla lingua due gocce iridescenti. Purtroppo le tremavano le mani: le dita le scivolarono e in un momento di confusione ingoiò quasi tutta la bottiglietta. Che sarebbe accaduto? Sophie non aveva il tempo di farsi domande: ora o mai più. Sto asrrivandpo per dirti qwella cosa, scrisse all’amato lasciando perdere gli errori di battitura. Ma quanto ci metti? Dai che tra poco parte il treno, rispose lui. Sophie a passo svelto si diresse verso il binario giusto, nonostante ancora i suoi visceri si contorcessero promettendo emozioni sconcertanti. Lo vide da lontano: bello come sempre, pallido, con le occhiaie e il naso storto che avrebbe riconosciuto ovunque. Mentre lei si avvicinava lui la vedeva senza guardarla troppo.

“Ciao,” le disse quando furono vicini.
“Ciao,” rispose Sophie, “come va?”
Lui alzò le spalle: “Bene dai, a te?”
“Bene, ultimamente mi diverto. Poi sta arrivando la primavera. Tipo ora dopo che il tuo treno parte vado al parco con i miei amici. È bello.”
“Al parco? Guarda che piove.”
“Prima non pioveva, allora magari faremo altro.”
Lui annuì.
“Allora…” Sophie sapeva di dover dire quella cosa prima o poi. Il mistico ragazzo si guardava attorno. “Allora la cosa che ti dovevo dire…” continuò Sophie esibendosi in smorfie volutamente comiche e insicure, con gli occhi vaganti.
Dannazione non riusciva a dirlo! Ti amo… parole fuori luogo! Altisonanti! Ridicole! E mi piaci? Parole scialbe. “Non te lo dico… dai prova a indovinare.”
“Non lo so mi fai paura,” ridacchiò lui esibendosi a sua volta in smorfie accuratamente imbarazzate e ingenue. “Dai hai capito… ” borbottava Sophie muovendosi come un topolino in trappola.
“No, davvero,” insisteva il poveretto.
Finché arrivò il treno, allora Sophie salutò il mistico ragazzo con un “Sono parole che dette ad alta voce sembrano troppo stupide,” e scappò senza voltarsi indietro, lasciando che il treno corresse lontano portando con sé quel triste fallimento. A questo punto le venne un mal di pancia pazzesco, con fitte lancinanti. Ora sì che la pozione stava facendo effetto… Sophie doveva trovare un bagno.

Seppe poi che il ragazzo aveva capito tutto, ma non riuscendo a dire “Scusa non ricambio” fingeva il contrario. Sophie pensava e ripensava a come fosse stata stupida a credere di essere innamorata di uno che nemmeno aveva il coraggio di rifiutarla, dopo che lei con tanta fatica si era dichiarata! Beh, quasi dichiarata. Inizialmente sentì un po’ di vuoto, vergogna, delusione, poi un giorno s’accorse di non provare più nessuno struggimento. Sorrideva con indulgenza se qualcuno o qualcosa le riportava alla mente il fatto. L’estate stava arrivando. Come possiamo amare qualcuno che non ci ama? Proprio d’estate poi!

È questa la storia più banale del mondo. Le storie di eterni amori tormentati, quelle sono una strana faccenda.