L’orto della Maria
A Ravenna nel Borgo San Rocco c’è qualcosa di eccezionale, di incredibile, di rivoluzionario, c’è l’orto della Maria, sì, proprio un orto vero a ridosso delle mura storiche della città, un orto con i pomodori, la lattuga, gli spinaci, la rucola, i cetrioli, la fava, le zucchine, le cipolle, le melanzane, sì, c’è da non crederci, c’è anche un grandissimo olmo e un ippocastano che ombreggiano una zona di sosta e di riposo. Ci sono anche tanti fiori, rose, fiordalisi, gerani e papaveri, e al di là del muro storico un filare di bellissimi alberi con le foglie che si muovono al vento e danno un senso di pace e di antica quiete. Tutte le mattine con la bicicletta vado a vedere se c’è ancora l’orto, che un miracolo così non può durare, e quando ritorno a casa con il cestino della bici colmo di fiordalisi, qualche mazzetto di radicchio o magari due zucchine, regali preziosi più di un brillante, io sono contenta e tutto il Borgo mi sembra diverso, sembra che tutto fili liscio, che tutto vada come deve andare. Se la vita è un’illusione, quest'orto rappresenta l’essenza dell’illusione, perché ho paura che chi ci amministra ci tolga questo miracolo, così per farci un dispetto, per far posto a un parcheggio o a una schiera di case geometrili di cemento, abitata da gente frustrata e infelice. Questo orto è più di un orto, rappresenta quello che ci serve per connetterci con naturalezza con la vita intorno, per essere qui, consapevoli, ora, adesso, su questa terra con i piedi sull’erba, coscienti di essere parte della natura noi stessi, nei gesti primari di raccogliere un’erba da mangiare o guardare un fiore. E’ un po’ come quella volta che osservavo il mio gatto che annusava il vento con gli occhi socchiusi e ho avuto la percezione fortissima di esserci in quel momento, su questa terra. Questo è l’orto della Maria, in via Gabici, a Ravenna, nel Borgo San Rocco.

La donna-lumaca
Quando le lumache divorano le mie piantine più tenere e persino i fiori più belli senza pietà, in un primo momento ho dei pensieri bellicosi: vorrei ucciderle e darle da mangiare ai merli, vorrei rinchiuderle in un sacchetto di plastica e buttarle nel bidone della spazzatura, vorrei pestarle sotto i piedi, vorrei annegarle nella birra, almeno, penso, morirebbero contente e ubriache e io libera da quegli impiastri voraci; ma quando tirano fuori le loro cornine, che per me sono come la loro bacchetta magica, cambio subito idea. Sono così graziose, innocenti e simpatiche che proprio non riesco a far loro del male e anzi qualche volta sussurro pentita persino quella breve filastrocca che tutti abbiamo recitato da bambini: - Lumachina lumachina, tira fuor la tua cornina, ma non farlo per dispetto, devi farlo per diletto, lumachina lumachina… - Quindi le porto di nascosto in un giardino abbandonato vicino a casa mia, così le salvo. A pensarci bene anch’io mi sento un po’ come una lumaca, ho delle antenne speciali e osservo il mondo curiosa, porto sempre la mia casa con me, non l’abbandono mai. Io, la casa, il giardino siamo una cosa sola, sono una donna-lumaca, e poi sono lenta, lenta, lenta.

Josko e l’asina Moritzà
Sono stata nell’isola di Hvar in Croazia, anni fa, per una bellissima vacanza. Quando tornavo dal mare percorrevo un sentiero tortuoso pieno di sassi, dopo una curva in salita incontravo sempre un vecchio dalla faccia buona e simpatica, stava seduto su una seggiola all’ombra di un grande albero di fico. Mi hanno raccontato che si chiamava Josko, che tutte le mattine per gran parte della sua vita partiva all’alba in groppa alla sua asina per andare in collina, dove aveva della terra da lavorare. La sera, al ritorno, l’asina trasportava sempre un pesante carico di fieno e di legna e lui, al suo fianco, a piedi. Tutti e due stanchi morti. L’asina non era mai stata legata perché era buona e docile, non si allontanava mai da lui, anzi gli faceva compagnia per tutto il giorno. Quando, vecchissima, non ha più voluto lasciare la stalla, Josko ha capito che era alla fine della sua vita; si è sparsa la voce in paese e subito si è presentato alla sua casa un macellaio chiedendo di comprarla per ucciderla e farne della mortadella. Josko non ha detto né sì né no, ha risposto con una frase da grande uomo, di uno che non si vergogna di avere compassione e volere bene a un’asina: - La mia Moritzà non si tocca - . Infatti l’asina è morta di vecchiaia nella sua stalla, e lui l’ha seppellita sotto il fico, proprio lì dove sta tutte le sere, seduto sulla seggiola a guardare la gente che passa.

Quando le galline facevano le uova bianche
Per un breve periodo una ragazza rumena mi ha aiutato nelle pulizie di casa, di tanto in tanto mi raccontava della sua infanzia nella campagna e nei boschi della sua terra. Io ero veramente incantata per quei racconti di un’esistenza povera ma suggestiva come una favola, carri trainati da buoi e asini che servivano per il trasporto della legna raccolta nei boschi, lei col suo nonno e una carriola di legno a raccogliere frutti selvatici e more lungo le rive dei fossi, la sua mamma che per Pasqua faceva stupende decorazioni, usando felci e fiori raccolti nei campi, fatte aderire alle uova delle galline per mezzo di calze di nailon, colorate con infusi vegetali, fatte sode e, preziose come una reliquia, mangiate la mattina di Pasqua. Allora anch’io ho pensato di preparare queste uova che già immaginavo disposte per benino su un piatto ovale ricoperto di foglie di felce sulla mia tovaglia migliore. Già le vedevo le belle uova con tutte quelle trame vegetali stampate e quei bei colori naturali: il giallo dello zafferano, il rosso della bietola, il verde degli spinaci, ma… con un tono preoccupato che sembrava già un brutto presentimento Anna mi disse: “Ricordati che devi cercare le uova bianche! Ricordati che si può fare soltanto con le uova bianche!”. Bene, io ho cercato queste uova bianche come se fossero il tesoro dell’Eldorado, prima al mercato, poi in campagna e in tutto il territorio nel raggio di 50 km. Non parliamo poi dei supermercati… niente, le uova bianche non esistono più, neanche biologiche, soppiantate da uova marroncine o beige prodotte da galline ovaiole semi industriali, iper produttive. Non ho avuto le mie uova decorate per Pasqua ed è stato un giorno brutto… Vorrei un tempo migliore per me e per tutti, in cui le belle galline di una volta facessero poche uova, quelle che gli pare, ma bianche per carità…

Legame malato
Non ho radici profonde nel suo giardino
sono un fiore reciso in un bicchier d’acqua,
non durerò a lungo.

L’anima del bosco
Sono nel luogo più fitto del bosco e smetto di parlare ad alta voce, smetto di parlare, divento timida come un cervo e mi sento quasi in soggezione, c’è qualcosa di più grande di me… Sono fortunata perché ho percepito l’entità segreta del bosco, mi concedo all’ineffabile abbraccio degli alberi e porto via con me l’incanto.