Cara Elena,
ogni tanto ci vediamo, ma non riusciamo più ad avere una relazione continua, fatta di racconti, di viaggi, di confidenze, di attenzione e partecipazione alla vita dell'altra. Perché la nostra amicizia è stata così per lungo tempo, poi ci siamo perse senza che apparentemente nulla decretasse una fine. Ogni tanto ritorno con la mente alle belle serate trascorse nella tua casa e in primavera nel giardino. Da parte tua c'era una grande cura per il cibo e per il "tema" della serata. Eri e sicuramente lo sei tutt'ora intenta a costruire creatività diffuse: dalle tue opere in vetro agli oggetti della casa, dal cibo sempre raffinato al giardino delle meraviglie.

Non ho mai visto in un’altra casa, come nella tua, la copia esatta della sua proprietaria. Può essere una specie di carta d’identità molto allargata e approfondita della tua persona, un’impronta dell’anima. Credo che capiti più o meno a tutte e a tutti noi di volere una casa che ci rispecchi, poi casa facendo scendiamo a compromessi. Chi più chi meno. Tu no. Tu sei l’eccezione.

Nel tempo la tua casa si è ritratta e si è espansa a seconda dei tuoi umori e del tuo sentire in quel determinato periodo. Credo non ci sia un filo d’erba che tu non abbia voluto proprio nel luogo nel quale si trova. Ripensandoci bene, non solo la tua casa rispecchia fedelmente la tua persona, ma dall’abbigliamento agli oggetti che vai cercando nei mercatini dell’usato e trovi tesori, dai libri nei quali segni il tuo passaggio, al cibo, al tuo seguire gli eventi a noi contemporanei (tu sei dentro e io sono proprio fuori) tutto perde la primaria invenzione creativa e diventa una cosa d’Elena, cibo ed eventi compresi. Ricordo la tua abitudine di caricare la bicicletta sul treno e andare. Appena ti era possibile partivi e credo che la tua casa rappresenti l’ancora di salvezza per rimanere - ogni tanto - qui a Ravenna.

Una volta erano tre case, i loro locali sono cresciuti insieme a te. Hai pensato di unire i due nuclei principali e di scavare un po’. Interventi leggeri, trasparenti, delicati. Ultimamente vivevi dove hai fatto scavare un po’. Gli ambienti sono tutti collegati tra loro. Così, quando ci invitavi potevamo distribuirci in ordine sparso. Liberamente separati, ma anche liberamente ricomponibili. Soprattutto in estate. Te lo ripeto, sei una brava cuoca e avevamo amici e amiche che, anche loro, arrivavano con cibi squisiti. Quindi a casa tua si mangiava molto bene e si beveva.

Così una sera, appena cenato, mi sono alzata da tavola per andare in bagno. Sono andata in quello “di servizio” che è il più vicino. Ho aperto la porta ed è crollata ai miei piedi una montagna di lenzuola e asciugamani. Ho richiuso immediatamente la porta. Ho alzato lo sguardo e mi sono diretta verso il bagno del piano superiore, ma mi sono ricordata che faceva parte del B&B, e quindi veniva usato dai tuoi ospiti. Ma avevo solo l’imbarazzo della scelta.

Sono scesa nel nuovo spazio dove, in un’unica stanza, c’è la zona letto, la zona pranzo con altri amici seduti a tavola e dove, alle pareti, scorre un armadio a muro. Ho aperto un’anta e mi sono ritrovata in un armadio buio con la funzione di bagno. Soffro di claustrofobia. Sono uscita subito da quella che mi è sembrata una specie di trappola. Ho attraversato la cucina e mi sono ritrovata nel pianerottolo che si affacciava nella stanza con il camino e la vecchia scala di legno, dove c'erano altre persone. In questo piccolo spazio di passaggio, tra cucina e studio non ci sono porte; in compenso, lì attaccato al muro, in ombra, c’è un water. Non potrei sedermi su quel water neanche col coperchio chiuso. Sono ripartita all’attacco. Fuori, sotto il terrazzo che unisce le due case, c’è un bagno enorme – una sala da bagno tutta di vetro. Sono entrata: le tende sono trasparenti. Ho rischiato di fare il teatro delle figure cinesi. Era estate, nel giardino c’era altra gente.

L’ultima speranza. Laggiù, vicino alle antiche mura, nel corpo del piccolo ambiente un po’ giapponese, c’è un bel bagno tutto di legno. Sono entrata e ho visto che tra una doga e l’altra ci sono otto cm d’aria aperta. Da un momento all’altro potevano apparire occhi esterni. Ho dato uno sguardo avvilito al bel lavandino di Gae Aulenti ora di Elena. Sono uscita ho salutato le amiche, gli amici e velocemente sono andata a casa nel mio bagno che è all’interno, ha solide pareti, una porta che si chiude a chiave e una finestra in alto.

Ora ammetto d’avere sempre avuto problemi con bagni estranei e quindi cerco di evitarli, ma la tua era una casa amica, anzi, per quella autenticità circolante, era la casa più bella che frequentavo, quindi anche i tuoi sei bagni mi dovevano accogliere come le altre stanze. Invece, forse, i bagni di casa tua hanno rappresentato quel tanto o quel poco che di te mi è rimasto sconosciuto.