La vedi scorrere sull’acqua la bellezza dell’imperfetto; sulle increspature innervate passano i colori dell’eco, le impressioni del sole sugli stagni. Milioni di ideogrammi sollevano le onde, l’acqua gorgheggia a tutti i passaggi, balla come al cambiare delle stagioni. Anche a sfiorire ha il sapore di grazia, anche a sfaldarsi è dolce, anche a perdersi, a sparire.

Ascolta. Lo scroscio non è un procedere per angoli, ma il liquido della natura amorosa, la germinazione profonda, la danza di sostanza che non si altera. Ecco l’immaginazione, il livello abissale dove la materia diventa vento, il nostro destino a filamento, l’impermanenza sottile più di un velo. Ecco il divenire, le ossa frollate del movimento che ritornano all’onda. Ecco lo straripante, che soccorre la lingua senza parole. Ecco il nostro dire gorgogliante.

Il suo principio primo è l’insapore, il mutamento che fa morire ad ogni istante e rinascere piano, lo spasimo leggero dei minuti che si affloscia sull’onda e poi ritorna. Infiniti i marosi, le mareggiate, infiniti i flutti, infinito il flusso chiaro, belle le ombre nell’arsura, i ricami soleggiati, cedevoli alla carezza fluviale. Freschi i pensieri nei sotterranei, fresca la grazia sdrucciolevole, fresche la sue armoniose condutture.

Allora, bisogna naufragare, bisogna perdersi. Per questo, si aprono le grotte. Per questo affiorano gli inni sacri dei passati, antiche barche, antichi dèi, antiche geologie millenarie, città inabissate dalle alluvioni per troppe memorie. Eccola, la grotta d’amore al tramonto nell’acqua della prima origine. Nelle notti delle venerazioni, ci si intende col mare, si mandano a riva i canti udibili. Sotto di loro le cascatelle; qui si invocano i responsi, nei gocciolamenti le stalattiti capricciose prendono sembianze di tutti i mondi. Qui è lo smisuramento. Che troppo intensa è la bellezza, troppi i ghirigori, troppo il nulla antico dipinto in goccia, il nulla più incantevole ritrovato dentro ai fondali.

È d’acqua la grande transizione, universo è d’acqua, sue le sorprese dei ritorni. Il fine ultimo è fluttuare l’eterno senza nome. Ecco le delicate sponde, la rifrazione che smuove il cuore, non gli oggetti, ma gli stati climatici, le percezioni, i riverberi. Nel nostro impero ultimo, la pacatezza del flusso senza più orizzonti, senza ritrovi. Forse – infine - solo il soccorrere.

Ricongiùngiti all’acqua, condividine il suono e ne verrai dissetato, tracanna i suoi beveraggi, fanne abbracci, ubriacature; sèguita l’infinita tribolazione dell’onda, il turbamento placido dell’oltremare. Entra ed esci, bussa alla porta, chiedi asilo dopo cent’anni. Attraversa i rapimenti - tutte le piraterie - cerca i diporti leggeri, l’assestamento e gli aggregati dove restare, la riva della culla. La goccia sa erodere la roccia, fa buchi nel sasso per insistenza, la goccia umile, implacabile per debolezza. Piccole bolle simili alle risa, occhi di pesce addormentato come un porto sicuro che non s’ingorga. Un centro informe, senza posizione.

È nel modo bellissimo di ogni acqua lambente che troverai seta odorifera, lustrale e aulente, acqua splendente da viso e meraviglia, e da battesimo e da incantesimo, acqua senza lamento, scintillamento di rose e maggio che inneggia il portento più portentoso e anche il suo nulla, spuma spumante e vaporosa, lavacro musicante e lunagione, dentro le libagioni sopra le coste, e il pane e il vino che diventa acqua e il sangue del costato e quello della piaga che diventa cosa generosa, profumazione tutta, come nell’acqua del nulla disciogliente che poi perdona e sciacqua e scrolla, acqua di brava gente intatta che si affolla, che si rinovella, che è nel volto bellissimo e nella nostra posa austera, nella forma formante dell’acquerellare, di ogni acqua guarente luminescente, comunque sia nella nascenza docile, nel nascimento, lume odorifero di torcia, lume odorante, lume del sole scivolante, il fare antico, l’ordinato svolgersi, che a porgergli un inchino si sente l’orma innumerevole, l’impronta del suo dissolversi.

Sia d’acqua la nostra preghiera, acqua d’acqua a tutte le mani, per indistinguibile inesauribile indecifrabile illuminabile intrico, che in nessun luogo vi è polvere d’acqua, in meraviglia d’acqua e d’oro in transito, totale miracolo dentro al più nostro scorrere, scorrere eterno di consumazione. Acquaviva di fonte, d’acquaviva vivente. Consolazione tutta, nostra salvezza senza abbandono. Eterno presente, eterno qui.