Di Marsala ricordo le strade calpestate dai miei passi stanchi. Trascinavo le mie gambe, simili a zavorre mentre il sole cocente puntualmente mi stordiva: fortissimo e spietato.

Mia madre telefonava per chiedere dove io fossi. Le rispondevo che non doveva preoccuparsi di nulla, che sarei arrivata presto e che era solo una questione di minuti. Mia madre evitava di farmi certe domande perché temeva le risposte e le temeva perché mi conosceva molto di più di quanto io avessi mai creduto; l'ho capito solo dopo la sua morte. Quando qualcuno che ami sparisce, lo vedi per com'era realmente, riesci con lucidità a ricordarne gesti e ammonimenti. Lei cercava di guidarmi mentre io preferivo fare da me. Viaggiare lontano.

Nel frattempo, ho girovagato per diverse città, facendo in modo che le mie emozioni si disperdessero, ho dato perle ai porci, ho idealizzato chiunque. Ho scritto lettere d'amore come fa un soldato dal fronte, innamorandomi tantissime volte, ricevendo pugni nello stomaco e la feroce cattiveria di alcuni. Ho amato senza alcuna misura e rifatto ostinatamente lo stesso percorso.

Allo stremo delle forze, mi sono rimessa in cammino. Non sentivo più nulla, nemmeno la fatica. Ci fu un momento in cui decisi che gli altri avrebbero potuto aspettare e che il dolore doveva essere messo a tacere.

Scrivo con il cuore in gola. Delle tende giallo ocra mi separano dal resto del mondo. Un pezzo di cioccolato fondente mi tiene compagnia. Il sapore è forte sul palato, mi annienta. Il volto di Bad Eyes lentamente sbiadisce, diventa opaco, sporco, irriconoscibile (oppure sono io a non riconoscerlo più) e la sua immagine si dilegua.

Ripenso al giorno in cui presi la decisione di partire per Parigi. Non m'importava più di ciò che avrei lasciato in sospeso, partire era senza ombra di dubbio la soluzione migliore. Dei miei cinque mesi a Parigi non scriverò molto, dovrei raccontare troppo per il troppo poco tempo in cui ho vissuto lì. Dovrei raccontarvi di come l'esistenza è così imprevedibile che finisci per rimuovere dalla mente fatti e persone e ti sembra di esserti schiantato, di essere nato una seconda volta, dall'altra parte del mondo, la parte dove il dolore resta in silenzio per qualche ora. Puoi vivere un'altra vita, se vuoi. Ti svegli, esci, bevi caffè lungo. Ti fai coccolare dal freddo.

Il canale di Saint Martin è quasi sempre deserto la mattina, sapete? Amavo passeggiare sui fianchi della Senna, ogni volta m'imbattevo in qualche evento che mi faceva mettere in discussione tutto: quello che vedevo e facevo, dove e come vivevo. Ero lì e mi immaginavo altrove. Per una vita intera non ho fatto altro che immaginarmi altrove.

Ho scritto pagine e pagine di frasi senza senso. Il mio corpo era come impazzito, stava diventando qualcosa di estraneo, uno spaventoso gigante e io non capivo dove avessi sbagliato e perché meritassi quella mostruosità. Credo di non essermi sentita mai così sola come a Parigi. Ci sono viaggi che non sai nemmeno di stare compiendo e ti ritrovi stravolto, vittima di una brutale metamorfosi. Mi sarebbe piaciuto prolungare il mio soggiorno ma mi aspettava qualcosa di urgente da fare. Mi aspettava qualcuno dall'altra parte del mondo, a Marsala.

Ho regalato un profumo a mia madre, le ho detto tutto ciò che non ero riuscita a dirle negli anni, ho provato a tenerla stretta per sempre. Mi ha detto addio mentre le accarezzavo la schiena.

Le saline hanno qualcosa di romantico se disegnate da una bambina su un foglio. Non sono in grado di quantificare la distanza tra il mio passato e il mio presente. In alcuni momenti ho creduto di aver perso la memoria, alcuni la chiamano “rimozione del trauma”. Tutto è avvenuto molto velocemente, posso solo dire di essermi ritrovata a fare i conti con la mia figura. Ero solo una figura, quindi? Una sagoma? Una proiezione? Una persona triste? Io volevo solo ritornare a casa.

Marsala è un colore che amo. La mia schiena ha retto il macigno con cui ero partita ma durante il tragitto mi sono piegata diverse volte, fino a cadere a terra. Quel corpo, a me estraneo e sconosciuto, ha cominciato a modellarsi. Si è fermato ad ogni stazione. I suoi organi sono ritornati ad essere vitali. Il motore si è alimentato e assieme ad esso tutto il resto. Ridefinisco i contorni, mi guardo allo specchio e capisco che io e il mio corpo non siamo più nemici.

La scorsa sera l'ho rivisto, dopo secoli. L'avrei riconosciuto tra mille, ho riconosciuto il suo profilo leggero. Cercava di riparare il motore di una macchina, provando a mettere al loro posto i pezzi. Aveva le mani tra la testa, sembrava disperato. Non si è voltato nemmeno un istante. Ho proseguito per la mia strada. Non un tumulto. Non un ricordo. I ricordi mi hanno assalita in un istante per poi svanire, tutti assieme.

Se stringo attorno alla mia vita un nastro di raso, vedo un enorme spazio vuoto, una voragine. Ci ballo quasi in quel cerchio che mi avvolge, potrei anche sprofondare ma riesco ad afferrare la vita.

Ho passeggiato per i vicoli, stretti bui e claustrofobici ma, dopo ore interminabili di cammino, sono riuscita a ritornare a casa.