Mi chiamo Mariella Busi ma se avessi potuto scegliere mi sarei chiamata Mariella Morena. Ricordo un pomeriggio di tanto tempo fa a Cesena. Mia madre e io eravamo nel terrazzo di casa e guardavamo mia figlia Marcella giocare. C'era nell'aria un'idea di grazia e bellezza che non ho più dimenticato e che ho rivissuto solo con le mie figlie nei momenti di riposo.

Avvertivo la potenza di appartenere, noi tre, a una sola sostanza, al legame più intimo che la natura possa creare. Il mio sguardo avvolgeva in un'unica visione le nostre vite e desideravo che il tempo si fermasse. Immobile. È difficilissimo, per me, mantenere per lungo tempo una visione positiva, infatti dopo poco, una nube ha offuscato i miei pensieri e mi sono detta " Se siamo, come siamo, un'unica sostanza, perché il mio cognome è Busi, quello di mia mamma è Morena e quello di mia figlia è De Logu?" Neanche parenti. Per la società, tre sconosciute. E ancora. "Se poi mi fossi chiamata Mariella Morena, avrei preso il cognome di mio nonno...". Per fortuna eravamo alle soglie del Sessantotto e credo proprio che in quel pomeriggio abbiano preso forma e sostanza quei balbettii confusi che da tempo dentro di me dicevano "c'è qualcosa che non funziona, devo riempire questo vuoto d'identità".

Il buon governo

Cara mamma non è giusto che tu abbia rinunciato alla tua passione per la musica, per la scrittura e per la pittura perché dovevi prenderti cura di tre figlie e un figlio. Non solo, era tuo anche il governo della casa. Era così potente la tua creatività che, con il sacrificio di te, l'hai rovesciata tutta nella famiglia e hai costruito una specie di impero. Tu hai governato un territorio che prevedeva persone, cose e spazi. E lo hai fatto alla perfezione. Come deve comportarsi una regina o una imperatrice? La storia insegna. Il tuo, anche se è stato un buon governo, ha avuto regole severe e precise senza nessun cedimento. I tuoi grandi alleati sono stati i pensieri e le azioni religiose che seguivano i ritmi e i percorsi delle funzioni nella vicina chiesa di Boccaquattro.

Ti svegliavi all'alba e dopo poco svegliavi anche noi, sempre, anche alla domenica e nel tempo delle vacanze. Non ne ho mai capito la ragione e ancora adesso mi riposo per i risvegli forzati di allora. Un'altra cosa mi è rimasta per lungo tempo oscura. A Fano nella stanza da letto dove dormivo c'era, sopra un mobile, uno specchio non grande, con un cassetto dove la zia Maria teneva i rossetti. Io bambina salivo sulla seggiola, mi davo il rossetto e facevo le smorfie guardandomi allo specchio. Tu e la nonna mi dicevate che se mi rimiravo a lungo sarebbe apparso il diavolo.

Allora ricordo che in un caldissimo, e quasi infernale, pomeriggio estivo, mi misi davanti allo specchio ad attenderlo. Non tardò molto. Vedevo solo il volto, le corna non le ricordo. Lo riconobbi dagli occhi chiari e indifferenti. Non c'era azione. Ci guardavamo e mi piacque. Gli dissi: "Dio, diavolo, siete per caso parenti?" Lui si mise a ridere, mi disse che ero una bambina simpatica e sarebbe tornato. In realtà non l'ho più visto, un diavolo non può essere sincero. Ho continuato a cercarlo ancora e ancora negli occhi chiari degli uomini a me vicini. In quel tempo, sempre nella stessa stanza, quando era da quelle parti, veniva a trovarmi anche la luna. Non ti ho raccontato queste mie avventure perché non mi avresti creduta. Da quel tempo ho adottato la strategia del silenzio. Muta a casa e a scuola. Ti ho taciuto anche la mia prima gravidanza: ero ancora ragazza.

Il gioco

Tu avevi il compito difficile di educarci e io ero la tua ribelle: ero disubbidiente, vagabonda e all'occorrenza anche bugiarda e avevo una grande passione per il gioco. Dalla soffitta, al terrazzo, al cortile, alla strada, con le amiche o da sola io dovevo giocare. Ero attratta anche dal gioco delle carte. Per fortuna nelle serate invernali oppure a Fano dai nonni, giocare a carte insieme era una tradizione famigliare. Io precipitavo, come Alice nel paese delle meraviglie, dentro le carte con quegli strani esseri a mezzo busto capovolti, senza gambe e con due teste: rivoltati contro se stessi, sottoposti a se stessi e sconosciuti a se stessi. Non credevo e non credo in forze diverse, la forza per me era ed è nel gioco. Il gioco era ed è il mio compito sulla terra.

Invece per te c'era il tempo della scuola, dello studio, della preghiera, della musica, e delle trasmissioni alla radio, del cibo, e il gioco era previsto solo lo stretto necessario. Con moderazione. Ricordo che il grammofono andava in continuazione e che un giorno apparve dalla finestra un pianoforte. Era per me. Infatti andavo a lezione di piano da un prete che abitava all'interno del campanile della chiesa parrocchiale e per arrivare fin lassù bisognava salire un sacco di scale a chiocciola. Pensavo di salire in paradiso ma chi ci assicura che il paradiso risieda in cielo e l'inferno nelle viscere della terra? Infatti un giorno la mia amica di studi e io trovammo al posto della partitura, un foglio, dove era scritto che le affettuose attenzioni del maestro facevano parte della lezione. La volta che salii all'inferno e lo trovai sdraiato nel letto misi in atto strategie tali per cui da allora in poi il piano lo hai suonato solo tu. E scelsi ancora il silenzio.

Il piatto preferito della Zarina di tutte le Russie

Amavi le opere e i tuoi cantanti preferiti erano Beniamino Gigli, Enrico Caruso, Lina Pagliughi. La cucina però era l'espressione massima della tua creatività. In questo campo rimani la più grande. Nell'arco della vita mi è capitato di condividere il piacere del buon cibo cucinato da cuochi di altissimo livello ma al tuo confronto erano pallide ombre di quell'universo culinario che aveva la sua origine nella cucina umbro-marchigiana e che tu ricreavi nella sua essenziale fatale qualità.

Più che preparazioni erano riti che si svolgevano soprattutto durante le feste natalizie, nelle vacanze pasquali dai nonni a Fano ( e qui l'arte si moltiplicava per la presenza della nonna Enrichetta, della zia Gigetta e della zia Maria) e quando avevamo ospiti a cena. Durante la settimana era sempre presente la qualità, ma scarseggiava la quantità. Eri saggia anche con il cibo e nel tuo regno niente andava sprecato. Naturalmente a me che ero la tua ribelle la cosa non andava bene e correvo nel cortile dove c'era il magazzino di generi alimentari del babbo e mangiavo "quelle schifezze" prelibate che già allora iniziavano a circolare.

Io ero la più piccola delle tue figlie e in cucina più che collaborare stavo fra i piedi così venivo spedita fuori, ma rientravo immediatamente perché dovevo prendere gli appunti della mente. Durante la mia infanzia scombinata sono stata l'antenata di quella che sono ora e posso scrivere ciò che scrivo e dipingere ciò che dipingo perché ancora ascolto quella moltitudine di bambine che condividevano un corpo solo, il mio. Ti rivedo compiere gesti antichi fatti di sapienza e di umiltà per realizzare i tuoi capolavori. Io continuo la tradizione riproponendo per le amiche e gli amici, nella cena di capodanno, la tua insalata russa che presento come il piatto preferito della Zarina di tutte le Russie.

Forse non ti ho mai accompagnata a fare la spesa ma la mia mente e poi il mio sguardo ti vedono ancora compiere tutte le azioni necessarie per realizzare questo capolavoro. Parti all'alba per comperare nella bancarella migliore del mercato coperto le rape rosse, le carote, i fagiolini, le patate; nel negozio degli alimentari il tonno, le acciughe i sottaceti, i capperi, le uova fresche. Ti vedo poi entrare in pescheria per scegliere un San Pietro regale e canocchie ancora vive. Ha origine così il tuo percorso creativo.

In cucina regna l'ordine. Inizi a tagliare a quadratini, miracolosamente della stessa grandezza tutta la verdura. Poi fai lessare sia le verdure che il pesce, naturalmente in tegami separati. Infine come per miracolo sul tavolo della cucina appaiono ciotole di terracotta con le verdure dai bei colori, filetti di San Pietro senza neanche una spina e filetti di canocchie integri. Quanta grazia e quanta bellezza su quel tavolo! Il deserto - l'ordine - e un'oasi - le ciotole colorate.

Cara mamma, come al solito tutto è stato e tutto è nella misura e la tua, qui, raggiunge la perfezione. Vai poi a prendere, nella credenza, la fiamminga ovale del servizio buonissimo, quello con la riga d'oro ai bordi e la metti al centro del tavolo: inizi la composizione con uno strato di rape rosso fuoco, una spruzzata di capperi, di acciughe, di tonno, sottaceti, (per creare un fondo agro dolce) conditi poi con olio evo, aceto, pepe e sale. Il secondo strato prende forma con la candida polpa del San Pietro condita sempre con olio evo, sale e pepe e continui con strati di verdure e pesce. Finito? No. Le uova. Me le ero dimenticate. Una parte, sode, sono tagliate in rondelle perfette e stanno lì in attesa, altre le stai trasformando in maionese, soda, con l'aggiunta di limone. Infine la maionese ricoprirà in abbondanza l'ultimo strato. Uova e canocchie creeranno poi la struttura visiva del pesce. Un capolavoro, che nel tempo, pur perdendo qualche ingrediente, si ripresenta alla mia tavola, il primo giorno del nuovo anno. E tutte le volte mi stramaledico e giuro che è l'ultima volta che mi cimento con il piatto preferito della Zarina. Ma parenti e amici sorridono perché sanno che lo rifarò.

La sua descrizione, ora, desidera essere un elogio delle mani quando queste sono espressione di desideri attuati afferrando e trasformando qualsiasi materia. Vi è, nel fare con le mani, qualcosa di buono e farlo bene è una grande bellezza. Questo atto espressivo ha la sua origine nel pensiero come risultato di esperienze e di pratiche che costituiscono retrospettivamente la nostra memoria. La saggezza delle mani, in questo caso le tue, cara mamma, rappresenta l'esperienza concreta del sacro nella nostra vita.

Un altro mondo

Questo tempo di luce, di quiete, di spazi ordinati e sicuri dove regnava un luogo ben governato e protetto è volato via come il vento. A volte accade, così, all'improvviso, un urto che tutto scombina. La morte prende il sopravvento e lascia noi più che vivi, superstiti.

Cara mamma, hai perduto troppo presto il tuo territorio e per lungo tempo sei vissuta straniera in un mondo dove non ti riconoscevi più. Avevi una passione indomabile per il fare creativo. Ti abbiamo regalato un tavolo da falegname e realizzavi deliziosi utensili. Avevi 80 anni quando hai seguito un mio corso di pittura con la tecnica ad acquerello. Ma erano episodi, erano le tue giornate che avrebbero avuto ancora la necessità di essere ricche di lavoro. Ti ricordo chiusa nella preghiera e spesso arrabbiata. La tua collera partiva dalla stanza, usciva dalla finestra, attraversava la strada, riempiva di sé la città e si dilatava nel resto del creato. Da te ho preso quasi tutto: l'aspetto, il carattere iroso e la vena artistica che invece ho coltivato con ostinata determinazione.

Grazie a Flavio per avere condiviso il materiale di un cassetto miracoloso che conteneva fotografie e documenti familiari davvero preziosi e a Maurizio Morena che è il custode e la memoria vivente della nostra grande famiglia, dalle origini a oggi.