Mi sono compiaciuto talvolta di rappresentarmi, con uno sforzo della fantasia, quale sarebbe il destino d'un uomo dotato, o piuttosto oppresso, da un'intelligenza superiore d'assai a quella della sua razza. Naturalmente la coscienza di questa superiorità non gli farebbe difetto e, essendo costituito come gli altri uomini, non potrebbe impedirsi di manifestare questa coscienza. Si farebbe così dei nemici a ogni piè sospinto. E siccome le sue opinioni e le sue teorie differirebbero profondamente da quelle di tutti, evidentemente sarebbe considerato pazzo. Quanto sarebbe doloroso e orribile un tal supplizio! Passare per infinitamente debole proprio perché si è infinitamente forte: non è questa una tortura talmente raffinata che l'Inferno stesso non ne conosce l'eguale? [...] Che certi esseri si siano potuti levare tanto al di sopra del livello della loro epoca, è un fatto che nessuno mette in dubbio; ma se noi volessimo, consultando la Storia, scoprire la traccia della loro esistenza, bisognerebbe mettere da parte tutte le biografie dei personaggi proclamati "onesti e grandi", e cercare minuziosamente i pochi ricordi lasciati dagl'infelici morti in prigione, nei manicomi, o sul patibolo.

(Edgar Allan Poe, LXXXIII, Marginalia)

La tentazione di trattarvi tutti alla stregua di carne da verme e sputarvi in faccia il mio veleno, nel momento in cui finalmente vi abbandono al vostro destino di pecore senza speranza di remissione, sarebbe forte. Non avete avuto la cultura politica o sociale sufficiente a regalarmi la gioia di un ὄστρακον, vi siete accontentati di lasciarmi emarginato, stigmatizzato e incompreso ad appassire nella mia caverna. Ho speso buone parole per molti, sempre attento a lasciar filtrare quei balugini di luce che qualsiasi occhio umano può regalare, ora basta.

Ma commetterei un torto imperdonabile nei confronti di pochissimi ed è per quegli appartenenti alla razza umana che opero e vivo e spero, quindi rivolgerò a essi un pensiero benevolo e grato di speranza, prima. A quel paio di professori di liceo e maestri di vita che hanno coltivato, incoraggiato e istruito il mio talento, dico grazie mille volte per aver riconosciuto in me le stesse luce e ispirazione che hanno mosso le loro stesse esistenze. Un anelito alla giustizia e alla bellezza, alla solidarietà e alla libertà, alla pace, all’amore e alla condivisione. Merce umana rara, ma non esclusiva.

Ringrazio il geniale mercante di bare per essersi specchiato in me e avermi incoraggiato a lasciarvi tutti a marcire nel nulla, dal momento che la mia opera deve essere necessariamente condivisa. Ringrazio quelle donnine sole di una certa età, che pudicamente hanno cospirato per mantenere vivo lo spirito fioco d’umanità che ancora scintilla nel buio della grettezza d’un paesone mercato ch’è un gerontocomio gerontocratico, Vestali e Muse e Baccanti a un tempo, guerrigliere dell’amore a oltranza, benché attempate e acciaccate dagli spigoli di troppi comodini sulle dita piccole del piede, a causa di stanze fredde e buie. Così come altre tre o quattro donne, alcune molto giovani, sulla linea sottile della legalità, altre più grandi, che hanno aperto il loro cuore e la morbidezza del loro corpo alla missione della consolazione d’un cavaliere solitario votato al martirio.

Se la decenza non lo proibisse le nominerei una per una con menzione d’onore, raccomandandole per insegnare alle femmine inutili di questo sperduto lembo di terra che si può essere donne anche senza regalare l’utero a un calciatore della domenica, beone del venerdì, lavoratore saltuario.

Ringrazio quei pochi amici che non hanno dimenticato che se anche il potere ha tentato di strozzarmi, soffocarmi, reprimermi, annientarmi… se anche presto o tardi potrei cadere vittima d’omicidio bianco sono sempre l’istrione, il saltimbanco, il giullare, il mago e il poeta estatico che galoppò fra le praterie della glorificazione dell’universo con opere mirabili fino a trovarsi a lottare una battaglia impari contro troppi soldati del potere.

Ringrazio quelle pie donnette che hanno accostato il mio letto d’ospedale quando ero in grado appena di riconoscerne i lineamenti e senza lamenti mi hanno portato carta e matite colorate, che potessi testimoniare al mondo dei vivi cosa succede a quell’uomo che si metta in testa di dire no e rifiutare ogni offerta profusa o compromesso. Ringrazio ogni imbecille che ha pensato di potermi usare per i suoi scopi e poi disfarsi di me senza che me ne accorgessi, perché “tentar non nuoce” e “domandare è lecito, rispondere cortesia”.

Osanna! A quanti vivono di luoghi comuni e opinione corrente, a quanti non usano il proprio cervello in uscita ma solo in entrata. Quelli che il lunedì mattina commentano i ludi della domenica che sono gli stessi dal 1898. Quelli che nonostante nel mondo accada alla stessa ora che portaerei cariche di bombe si approssimino alla polveriera della Terra, bombe esplodano sulla faccia di bambini e si svolgano scontri sportivi chiave, non si fanno sfiorare da dubbi sull’ordine delle proprie priorità. Odio vero per quei pochi vermi necrofagi che hanno avuto l’ardire nel tempo di mettere in guardia le donne che mi si avvicinavano con curiosità e ammirazione per strapparmele prima che l’amore vero compisse il suo incantesimo. Ci foste riusciti sareste invalidi.

Gioia e rivoluzione a quegli eterni giovani di quaranta, cinquanta, sessant’anni, che pur non avendo lasciato la terra natia hanno perseverato nel produrre musica, arte, vita e nell’alimentare la fiaccola erotica, mentre il potere ovunque cospirava nell’automatizzare i meccanismi umani di produzione di beni di consumo destinati a soddisfare bisogni artificiali e indotti, tritando produttore e consumatore in meccanismi compressi di fabbricazione in una schizofrenia pandemica e mortifera. Quando la luce del Sole è forte non è il soffio che spegne una candela a creare la tenebra.

Vorrei poter dire che me ne vado senza rimpianti e senza volgere lo sguardo alle mie spalle ma non posso. Ho un fratello e nonostante ne valga dieci ne vorrei altri diciotto come lui, saremmo un esercito invincibile e il mondo sarebbe un luogo utopico, pacifico o anche solo vivibile. Questo fratello ha un figlio ch’è la speranza brillante, la fiamma e l’argento vivo che mi piacerebbe contribuire ad aiutare. Quel bambino che avrei chiamato “Bomba” o “Tritolo” o “C4”, un giorno sarà un adolescente con le idee poco chiare su quale sia la sua vocazione e necessiterà di più d’una persona innamorata di lui al fianco, per chiarirsi le idee e sfrondare. Siamo una genia di tuttologi tuttofare che compongono e disfano miracoli e a sfrondare tutto il superfluo, a potare i rami secchi, possono servire vent’anni. Vent’anni è un ergastolo.

Il bambino in questione ha una madre capace e buona, moglie di mio fratello, anch’ella lascio con un certo rammarico. Amici veri no, qualcuno con cui ci amammo alla follia prima che il buonsenso se li prendesse sì, ma è gente la cui anima è perduta per sempre, restano corpi trangugiati dalle dinamiche meccaniche, spontanee o meno, della Natura distorta dal lavoro di un uomo perverso.

Se attraversassi il mio paesone per salutarlo, con una telecamera montata sul cappello… Se decidessi di aggiungere in versi o prosa una spontanea telecronaca in diretta, Romero tornerebbe a produrre il documentario definitivo sull’Apocalisse. Mi vergogno ad apostrofarvi in questo modo, ma cari i miei concittadini, voi siete morti senza ricordarlo. Una forma strana di mesmerismo vi spinge i piedi fuori dal letto asettico ogni mattina, sovente il sinistro, ma non siete vivi. Puntatevi indice e medio sul polso e capirete di che si tratta. Ripetete l’esercizio quando annuite in silenzio al datore di lavoro, alla moglie che non si concede da sei mesi, quando venite mandati a fare in culo dai vostri figli e ridete, quando pagate le tasse, quando gravemente malati aspettate un anno per un accertamento… in silenzio.

Ogni volta che non riconoscete un vostro diritto, pieni come pensate d’essere o realmente siete di doveri, in osservanza d’una legge basata su qualcosa che si chiama contratto sociale, sulla cui natura non avete idea e i cui presupposti sono venuti meno ovunque da troppo tempo… Tastatevi il polso e scoprirete che siete morti. Morti negli psicofarmaci che aggiungete alle vostre diete, improvvisate e povere di nutrienti, per dormire. Morti nella frustrazione di sogni e desideri fatui, troppo stupidi anche ai vostri stessi occhi per poter pensare di spendere energie nel tentativo di realizzarli. Morti negli interessi del mutuo o in quelli delle rate della macchina, del telefono, da uno stipendio e quattro pensioni minime, morti nella pensione che non prenderete mai, morti nell’emarginazione e stigmatizzazione di qualcuno che vi dice come stanno le cose fondendovi e spaccandovi i timpani e dovreste ma non potete ascoltare e ringraziare.

L’unica consolazione per me è che qualche spazio ridotto popolato d’essere umani è rimasto qua e là nel mondo e nessuno m’impedirà di raggiungerlo. Per voi consolazione non ce n’é. Lavorate per sposarvi e mettere al mondo dei figli che amerete, lavorerete per aiutarli ad avere il necessario e di più ed essi soffriranno e fuggiranno da voi non appena compreso che l’alternativa è il contagio della peste della non-morte che emana dai pori dei propri inconsapevoli e ottusi genitori.

Mi sono sentito dire dalla donna che diceva di amarmi che se anche il mio destino fosse di morire prematuramente sarebbe sempre meglio della galera. Mi è venuta in mente la scena di Harry Potter e la Pietra Filosofale in cui Hermione dice “Potremmo morire… o peggio essere espulsi!”. Se spendessi ancora parole non vuoterei la borsa… ma sarebbe violenza gratuita alleggerirmi dalle zavorre per scaricarle nel cesto delle vostre, ben più gravose.

Non credo accadrà il miracolo di veder riconosciuto il mio lavoro o il valore della mia opera in vita, quindi non accadrà che qualche sindaco futuro, orgoglioso del concittadino m’inviti a qualche stupida occasione concepita per gonfiare elettorato e bilancio…

Qualora accadesse, perché tutto può succedere, quel secchione perfido e infido che ora frequenta le elementari e non passa i compiti in classe di storia, quello figlio di politici e che sarà laureato in scienze politiche e leccherà culi e farà gavetta ed elargirà sorrisi e strette di mano e girerà mazzette, le incasserà fino a prendere i voti sufficienti fra quelli comprati e quelli dei parenti, non si azzardi nemmeno a lasciarsi sfiorare dal pensiero di ricordarmi come un cittadino di quell’angolo di paradiso trasformato in fogna a cielo aperto e cimitero da cui mi autoesilio, perché tornerei solo alla testa di mille bersaglieri, se diventassi un generale.

Ma sono un obiettore, un pacifista e un nonviolento, quindi non tornerò né per piacere né per sbaglio, non sulle mie gambe. Qualora non capiti che il lettore attento lamenti carenza di sale, profumo di vuoto, assenza, in questo mio congedo, lo chiudo con una citazione: S’i fosse foco arderei ‘l mondo