La tirannia del tempo. La sua dittatura, il correre a tutti i costi per non arrivare in nessun luogo. Danaro, oggetti, lavoro, treni, aerei, bus, tram. Oggi si ha fretta, sempre più fretta. Non un attimo in più per fermarsi a guardare un tramonto, per prendere per mano un anziano o fargli una carezza sulla testa canuta e stanca.

Non c'è il tempo per raccogliere una margherita o una viola, per pungersi con una spina di una rosa mentre la si sistema lentamente in un elegante vaso di cristallo, per camminare a piedi nudi sull’erba fatta di rugiada o per osservare una nuvola bianca che pare di panna montata. Bisogna affrettarsi, non si può perdere un minuto. L’ipermercato inghiotte, il telefonino ricorda i mille appuntamenti cui precipitarsi, l’agenda non perdona, WhatsApp non molla. Tutti sullo schermo, incollati a un presente che (s)fugge, a notizie che non sono più tali, tanto si legge in fretta e non si assorbe nulla di quelle parole rapide e sempre uguali. Le notizie sono ogni giorno le stesse, cicliche. Anche i disastri, le guerre e le emergenze sono diventati routine.

Assuefazione. Un settimana va di moda Kim, l’altra Donald o Vladimir, la successiva sembra che ci siano solo violenze o scontri di piazza. Le dita scorrono veloci su tastiere potenti che commentano il nulla, i Social media riflettono vite di chi si sente spesso solo e naviga ormai nel vuoto. Il nulla avvolge. Video, foto, musica e rumore. È più facile fare solidarietà a distanza, un’azione o un’adozione lontane, che metterla in pratica tutti i giorni, in prima persona, spendendosi in energia e sentimenti. A parte il coinvolgimento emotivo, queste ultime chiedono tempo. E noi non ne abbiamo davvero.... E che capperi!

Madre Teresa ricordava come oggi si hanno tanti beni materiali ma se si guarda veramente nelle nostre case spesso è difficile trovarvi il sorriso. Quel sorriso che è il principio dell’amore. La sola risposta alla solitudine. Ma anche questo richiede tempo... Il lavoro, i soldi, le bollette, la banca, le tasse, la macchina, l’assicurazione... Si deve tempo solo a questo. Ma se si corre sempre, quale è la meta?

Non fatemi dare risposte che sappiano di riflessioni filosofiche impegnate o fataliste. Penso solo che si debba recuperare il proprio rapporto con il tempo. Quello che passa, che non ritorna, che va dosato, assaporato, coccolato, donato. Donato agli altri ma soprattutto a se stessi. Prendiamoci allora il lusso di ammirare un prato senza pensare a nulla, di riprendere energia guardando una montagna lontana, di meravigliarsi di fronte a una stella, di prendere per mano il nostro amore di sempre, di abbracciarsi, di baciarsi, di camminare senza meta, a zonzo, per le nostre belle città, con il naso all'insù, senza pensare a nulla.

Riprendiamoci il tempo, quello che serve a stare con noi stessi, con la nostra famiglia, bambini o anziani, con gli amici, gli animali. Un caffè spensierato o un gelato gustati piano piano davanti a un monumento glorioso valgono più di mille sms o di cento insistenti post. Un tuffo in libreria, un passaggio dal fioraio, una chiacchiera con il pasticcere, uno sguardo a un negozio di oggetti che parlano di passato, un panino, un fiore, un giornale, una pedalata in bicicletta, una scampanellata.

Ma a mancare non è solo il tempo. Un suo grande alleato stenta: il silenzio. Questo sconosciuto. La tranquillità delle orecchie (e non solo), tempi lontani. Oggi si soffre anche di disturbi sonori, non vi è un momento di pace. Spesso mi sono ritrovata a pensare all’importanza del silenzio, anche di quello lento, a quanto mi manca, alla sua insostituibile funzione terapeutica, a quanto il rumore sia ormai il primo insopportabile e fastidioso compagno quotidiano di molti di noi. Perché non dedicarsi allora alla lettura de Il silenzio, di Erling Kagge e di Elogio del silenzio. Come sfuggire al rumore del mondo, di John Biguenet?

Kagge ricorda come, in media, perdiamo la concentrazione ogni otto secondi e come la distrazione sia ormai uno stile di vita, l'intrattenimento perpetuo una brutta abitudine che ciascuno ormai ha preso. E quando incontriamo il silenzio, lo viviamo come un'anomalia, come un qualcosa di strano ed estraneo che non ci aspettiamo: spesso, invece di apprezzarlo, ci sentiamo a disagio e persi. Kagge, al contrario, del silenzio ne ha fatto una scelta di vita. Nei mesi passati da solo nell'Artide, al Polo Sud o in cima all'Everest, ha imparato a fare propri spazi e ritmi della natura oltre che a immergersi in un silenzio interiore ed esteriore: un incommensurabile tesoro e una fonte di rigenerazione che tutti possediamo a cui è però difficile attingere, immersi come siamo nel frastuono, nel chiacchiericcio (e nel rumore continuo) della vita quotidiana. Ma che cos'è veramente il silenzio? Dove lo si può trovare? E perché oggi è tanto importante?

A queste tre domande Kagge fornisce trentatré possibili e interessanti risposte, riflessioni scaturite da esperienze, incontri e letture, tutte animate da un'unica certezza: che il silenzio sia la chiave per comprendere la vita. Cercare il silenzio. Non per voltare le spalle al mondo, ma per osservarlo e capirlo. Perché il silenzio non è un vuoto inquietante aldilà della nostra portata ma l'ascolto dei suoni interiori che abbiamo sopito e dimenticato. Magari non riconosciuto. Anche John Biguenet si domanda cosa sia il silenzio. Se una semplice assenza di suono, un’estrazione del pensiero o se, come scrisse Saramago, in realtà non esista, perché anche la nostra voce e i nostri pensieri riflessi in noi, in fondo, hanno un suono, quasi un’eco.

Quello che è certo è che in esso si possono riordinare pensieri scossi dai ritmi frenetici di ogni giorno, trovare pace da delusioni, incertezze, soprusi, ingiustizie. Riposare. Mentre oggi la scienza, ricorda l’autore - attraverso gli esperimenti con la camera anecoica (ambiente di laboratorio strutturato per ridurre il più possibile la riflessione di segnali sulle pareti. Il termine, dal greco, significa infatti "privo di eco") - pone in dubbio la sua reale esistenza, autori come William Shakespeare, Laurence Sterne, Mark Twain, Edgar Allan Poe e Rainer Maria Rilke, e pittori come Mark Rothko e Marcel Duchamp, si sono interrogati sul significato del silenzio e sulla sua rappresentazione in letteratura e arte.

Biguenet in questo bellissimo libro indaga le mutevoli sembianze del silenzio: premio o punizione, arma letale o strumento di resistenza, vuoto da riempire o sensazione di pienezza, bene di lusso o disturbo da evitare. Il silenzio è oggi spesso, e sempre di più, prerogativa dei ricchi, continua l’autore. Di chi può avere il privilegio oltre che i mezzi per vivere lontano dal rumore che non produce, da sferraglianti rotaie, da fabbriche chiassose o da roboanti autostrade. Alcune automobili di lusso vengono prodotte a rumore quasi zero, le lounge silenziose degli aeroporti sono prerogativa di pochi. Anche gli scompartimenti silenziosi dei treni costano di più, laddove è proibito il telefonino o parlare a voce alta. Lo stesso dicasi per atolli isolati o alberghi intimi abilmente e unicamente posizionati in luoghi lontani dalla folla e immersi nella natura.

Sembrerebbe proprio che chi è più povero è più rumoroso, o meglio che abbia meno diritto al silenzio. In un mondo febbrile, snervante, sfiancante, rumoroso e caotico, sempre più spesso il silenzio sa esprimere meglio delle parole le passioni umane. Inseguirne l’incantesimo e la magia è oggi il modo migliore per curarci di noi stessi. Un privilegio come quello della lentezza?

Torniamo a essere persona, recuperiamo il diritto a non fare nulla, a oziare un po', a ‘flâner’, direbbero i francesi. (Ri)prendiamoci il diritto alla lentezza e al silenzio. Un diritto di tutti. Perché questo è un elogio della lentezza e del silenzio. Quelli veri.