Lasciato Vito Michele a parlare con Maria Isolina, Giovanni aveva incontrato Pino e Ughetto. Li aveva visti camminare verso la grande torre che stava proprio sulla riva del mare, là dove sgorgava il fiume che dava il nome a Rio Marina. Penò un po’ per raggiungerli, perché non sapeva camminare sugli scogli. Si sedette vicino a loro e disse: “Mi chiamo Giovanni, e mio padre si chiama Vito Michele”. “Come parli buffo!” disse Ughetto, ma senza cattiveria. “Da noi si dice babbo, non padre”. Giovanni, che era sensibile e scontroso, ci rimase male e chinò la testa senza dire più nulla. Fu Pino che riattaccò discorso. “Avete visto che ho le scarpe nuove?” I due compagni, che camminavano con i loro zoccoli di legno, a dire il vero avevano già addocchiato le scarpe nuove di zecca di Pino, così belle, nere e lucenti. “Ma chi te le ha comprate? Costeranno un sacco di soldi!” esclamò Ughetto. “Eh… devi sapere che mio zio Umberto ha una grossa vigna, su in Vigneria… Embè, sapete che quando si lavora nelle vigne si trova del minerale, proprio in superficie…” “Il Ferro di vigna!” - esclamò Ughetto. “Bravo! E tu Giovanni sai cos’è?”.

Giovanni scosse la testa, stando così, a testa china. Lui non sapeva proprio nulla di queste cose. “È un minerale prezioso, molto più di quello che scavano in miniera. Pirite pura, purissima, capite? La pagano cinque, dieci volte di più… Insomma zi’ Umberto ne ha fatto cinque carrettate, e ha fatto un sacco di soldi”. “E ti ha fatto un regalo!” Sì, pover’uomo, lui ha fatto un regalo a tutti i suoi nipoti. Ne ha cinque, ma non ha figli…” “Ma non sono scomode quelle scarpe così rigide? - fece Giovanni, che di scarpe un po’ se ne intendeva, in quanto suo padre era proprio un calzolaio. E anche lui voleva diventarlo, forse… Pino preferì non rispondere, anche se zoppicava un po’. Invece, ora che erano arrivate alla fine delle piaggie, alzò un braccio verso l’alto indicando la Torre. “Questa torre” - disse indicandola con un dito – “è molto antica. È stata fatta dai Medici per avvistare i pirati saraceni. Sai cosa sono i pirati?” “A me piacciono tanto le storie di pirati - le conosci anche tu?” “Sai allora chi era il Barbarossa? Il più grande pirata del mondo, era! Vuoi che ti racconti qualche storia di lui?” Giovanni rispose debolmente: “Mi ha raccontato qualcosa il maestro Giannoni…” “Ma che vuoi che ne sappia il maestro!” - ribattè Pino – “Per prima cosa ti dico questo: che mentre da noi il Barbarossa è considerato come un pirata da strapazzo, al suo paese era invece considerato un eroe, come da noi Garibaldi e anche di più. Era un amico personale del Sultano di Costantinopoli, e quando Barbarossa conquistò tutta l’Africa del Nord, il Sultano, lo nominò re di Algeri. Barbarossa… sì, insomma, era un uomo grande e bello, molto severo, ma anche generoso con i suoi uomini”. “Raccontagli delle navi del Papa!” - interruppe Ughetto.

Pino annuì e raccontò: “Una volta il Barbarossa seppe che due grossi velieri del Papa, gonfi d’oro e di gioielli come due porcelli, sarebbero passati per lo stretto di Piombino diretti alle Spiagge Romane. Allora lui, con due navi a vela che erano le più veloci del mondo, si nascose dietro l’Isola di Palmaiola - Palmaiola è quell’isolotto lì, lo vedi? - e quando vide i vascelli del Papa venne fuori come un fulmine da dietro l’isolotto, con le sue due navi dalle vele nere! All’abbordaggio! Quelli del vascelli del Papa si misero anche a vogare - a quei tempi i vogatori del Papa erano schiavi, e c’erano i soldati che li frustavano per farli andar più veloci. Ma non ci fu niente da fare: le navi del Barbarossa erano troppo veloci. E lui prese i due vascelli-porcelli e ammazzò tutti i soldati, liberò i vogatori schiavi e portò al suo Sultano più di cento chili d’oro...”. “Però il Barbarossa era anche un nostro nemico, un nemico dell’Elba” - interloquì Ughetto agitando i pugni. “È vero: per ordine del re della Turchia, una volta il Barbarossa attaccò l'isola d'Elba con una grande flotta.

Attaccarono Portolongone, Portoferraio, e anche Rio Marina. A noi, qui a Rio Marina, ci attaccarono di notte per prenderci di sorpresa, ma noi ci difendemmo bene, e la battaglia durò fino al mattina. Quelli di Gassera ci vennero in aiuto, armati di forche e bastoni e insieme ributtammo a mare i pirati. Allora Barbarossa si arrabbiò con i suoi uomini, e disse loro, vergogna! Voi che avete battuto eserciti spagnoli e armate francesi vi lasciate battere da quattro pescatori male armati! E decise di lavare l’onta subita e di dare una lezione esemplare a noi isolani”. “Ma il maestro Giannoni mi ha detto…” cercò di interrompere Giovanni.
“Zitto tu, con quel tuo maestro! Fammi finire. Allora ti dico che il Barbarossa ritornò con un esercito di ottomila uomini, prese Rio Marina, e da qui fece attaccare Gassera con l’ordine di distruggere ogni casa e ammazzare tutti. Così fu fatto: furono ammazzati tutti gli abitanti, e le case furono demolite, una per una...”. “Ma il maestro Giannoni diceva… che c’era una donna…” - cercò di interrompere Giovanni. “Un giorno ti portiamo alle rovine di Gassera” - disse Ughetto. “Si vedono ancora i muri bruciacchiati, dopo tanti secoli... Distrussero anche Rio Elba, completamente!” - aggiunse poi – “ma Rio Elba è stato rifatto, e Gassera no… E pensa una cosa. A quei tempi, Rio Marina non c’era…” “Come non c’era!” - protestò Giovanni. “Non c’era come paese, capisci?”, ora era Pino che parlava. “C’erano solo delle casupole di pescatori, qui sul mare. Ma questa era la marina di Rio Elba. Capisci, da questo il nome Rio Marina, cioè, la marina di Rio, di Rio Elba! Capisci ora?”.

“Sì, sì, capisco… Me lo ha raccontato anche il maestro Giannoni” - Giovanni si sentiva contento di questa amicizia con Ughetto e Pino, anche se non lo dava a mostrare. “Ma perché loro... quelli di Rio Elba, stavano in su, e non stavano sul mare?” “Eh, ma sei un testone!”, rispose Ughetto, “Ma se ti abbiamo parlato un’ora dei pirati! L’unico modo per difendersi da loro, era quello di stare in alto… Ecco perché molti paesi antichi dell’Elba sono sui cucuzzoli… come anche Capoliveri… ci sei mai stato?” “No, no, non ancora… Io… non conosco…”.

Erano arrivati alla fine della passeggiata, là dove il fiume si rovesciava in mare. “Tutta quest’acqua viene da Rio Elba, sai?”, disse Ughetto. “Rio Elba è pieno d’acqua, ci sono pozzi da tutte le parti, è come un cucuzzolo che si poggia su un enorme montagna d’acqua, capisci? I vecchi dicono che ora viene meno acqua di un tempo, ma è sempre un bel fiume, no? Venite che andiamo a vedere se ci sono le anguille! Sai Giovanni che qui alla foce pescano le anguille, sono tanto buone! Le hai mai viste?”. Corsero fino a dove il rio sfociava nel mare, e c’erano in effetti due pescatori, e uno aveva tirato su due grosse anguille, che ancora si agitavano dentro il paniere di paglia. “Ma sono serpenti!” gridò Giovanni spaventato. Gli altri due si misero a ridere, e Pino per dispetto gli avvicinò il paniere sotto il naso. “Si fanno fritte, Vuoi sapere come? Ti faccio un bel racconto di come le fa mia nonna!...” - saltò su Ughetto.

Stettero ad ascoltare in silenzio, ma Giovanni non era interessato. Ci fu infine un po’ di silenzio. E Giovanni ruppe il silenzio con una domanda che si covava dentro da tempo: “Ma perché siete qui invece d’esse’ a scuola?” “Io a scuola non ci vado - disse Ughetto – “Noi a casa non abbiamo soldi per mangia’, e io vado a pesca’ ogni mattina con il vecchio Demetrio. Così porto pesce a casa e anche qualche soldo…” “Io invece a scuola ci vado” - disse Pino – “ma non mi piace. Oggi ho marinato la scuola, perché avevo voglia di vede’ il mare e non di sede’ sui banchi tutta la mattina. Eppoi io so già legge’ bene, non è vero Ughetto? E a scuola, una volta che hai imparato a legge’, che ci vai a fa?” - poi aggiunse - “io vado alla Scuola Valdese, sai?” “Che roba è?” - chiese Giovanni. “È una scuola dei preti, della Chiesa Valdese. Sono preti protestanti”. “Che vuol dire?” - chiese di nuovo Giovanni, che di chiese e di preti non se ne intendeva molto. “Di che protestano?” “Ma che domanda è? Si dice protestanti perché… perché è una razza speciale di preti, diversi dai preti cattolici, capisci?” “No, e non me ne importa niente di loro. Preti sono…” “Sono preti speciali, te lo dico io” aggiunse Ughetto. “Hanno una scuola che è bello andarci, sai? Eppoi, devi sapere che la Chiesa Valdese è una cosa speciale”. “È nella piazza lì dietro”, aggiunse Pino indicando con il braccio. “Fu costruita tanti anni fa, che era ancora vivo Garibaldi. E fu così, che i Valdesi costruivano la chiesa, e qualcuno di notte gliela distruggeva…” “Come?” chiese Giovanni incuriosito. “Proprio così! Loro facevamo, diciamo, due metri di muro, andavano a letto stanchi per il lavoro, e la mattina, patatrac! Il muro non c’era più… Loro lo rifacevano, e la mattina dopo, di nuovo, non c’era più! e così per settimane e settimane”.

“E chi erano quelli che buttavano giù i muri?” “Non si è mai saputo, ma di certo, capisci? Erano i cattolici, il prete, il farmacista, il capo delle dogane, gente per bene, insomma altolocata, che avevano paura della nuova chiesa, e dicevano che i protestanti valdesi erano figli del diavolo…” “Come, ma non erano preti anche loro?” chiese Giovanni che faceva veramente fatica a capire quelle cose. “Ci sono preti e preti, e anche loro bisticciano fra di loro, capisci? Insomma, dovettero mettere della guardie la notte, perché altrimenti quella chiesa non si sarebbe mai costruita”. “Comunque, loro hanno una scuola, ed è una scuola come un’altra” - disse infine Pino scuotendo la testa – “e a me la scuola non mi va giù”. “Io invece … a me piace andare a scuola” disse Giovanni. Era sempre stato il più bravo della classe, lui, e non capiva come quei due potessero marinare la scuola e starsene così, senza far nulla. “Il mio padre… il mio babbo, andrà a chiedere che io sia ammesso alla scuola di qui. Magari saremo in classe insieme. A me piace tutto, la storia, la geografia, l’aritmetica, il disegno... Ma soprattutto la storia...”.

Pino e Ughetto lo guardarono a lungo, mostrando ben poca comprensione. Ma nonostante quei gusti strani di Giovanni erano felici anche loro di questa nuova amicizia, e ricominciarono a chiacchierare di tutto un po’. Da loro Giovanni ebbe le prime lezioni di politica locale. Seppe che a Rio Marina quasi tutti gli uomini lavoravano in miniera, che c’erano i popolari e i borghesi, e tra i popolari c’erano tutti i minatori e i pescatori, e tra i borghesi c’erano i commercianti, i papalini, e quelli ricchi. Il sabato sera c’erano le sciantose - sì, donnine che cantavano nelle bettole, e mostravano anche le gambe - le gambe nude? - ma no! ma sì! - e tra poco ci sarebbero stati degli scioperi in miniera, perché i soldi della paga non bastavan più neppure per comprare il pane e il carbone. Seppe che c’erano già scontri tra popolari e borghesi, con sassi e pugni che volavano da una parte all’altra. Giovanni, che dal padre aveva preso il fervore della politica, era ora molto eccitato e cominciò a spiegare loro il perché delle violenze sociali usando le teorie anarchiche.

“A me queste cose non mi interessano” - disse a un tratto Pino, smorzando d’improvviso l’entusiasmo di Giovanni. “Ho ben altro per la testa, io, altro che politica!” “Ma figurati! Cosa sarà mai di così importante?” esclamò Giovanni tutto arrabbiato. E lo sfidò a raccontare quello che aveva per la testa. “Ma giuri di non dirlo a nessuno? È un segreto che sa solo Ughetto!” Così Giovanni venne a conoscenza del segreto di Pino. Non era poi questa gran cosa, gli sembrava, e anzi stentò a lungo a capire: “Insomma, tu lasci il paese. Come mozzo in una nave. Ma perché?” “Come perché? Perché a me piace il mare” rispose Pino risentito “Io non voglio ammuffì nei banchi di scuola. Voglio gira’ il mondo, vede’ terre lontane, ma soprattutto voglio sta’ in mare giorno e notte, capisci? Devi poi sape’, che uno dovrebbe avere dodici anni per fa’ il mozzo, e a me invece mi prendono subito. Perché sono bravo in mare, e tutti lo sanno, capisci?”.

No, Giovanni non capiva. Né osò raccontare loro che lui invece aveva fatto voto di non metter più piede dentro una barca. “Ognuno ha i suoi gusti...” disse tanto per dire. Ma poi rimase a pensare a questa frase. Era proprio così, erano in tre, e lui non avrebbe mai scelto di fare la vita che voleva Pino, o quella di Ughetto. E la cosa strana era che né Pino, né Ughetto, avrebbero voluto fare quello che piaceva a lui. Lui, Giovanni, voleva andare a scuola, imparare tutto quello che c’era da imparare, e soprattutto imparare storia e politica in modo da dire il fatto loro a tutti i prepotenti che sfruttavano i lavoratori.

“Ci sarà luna piena” disse poi Ughetto “domattina andiamo a pescare presto, con il vecchio Demetrio. Mi dovrò alzare alle quattro”. Ed emise un lungo sospiro. Il sospiro di Ughetto fu interrotto da Pino, che indicò con il dito verso lo stradello su in alto: “Guarda chi passa! Pietro e il suo asino!”. Si misero a fissare la figura piccola e curva del vecchio Pietro che seguiva l’asino carico di ortaggi, dirigendo la bestia con una canna di bambù. “Viene dalla campagna del Ventura, e porta gli ortaggi ai bottegai in paese” aggiunse Pino. Giovanni rimase molto colpito da quell’uomo, e continuò a fissarlo a bocca aperta senza sapere cosa lo attirasse così tanto in quella figura. Forse era quel suo cipiglio così severo, o quell’andatura a scatti che faceva trasparire quasi un furore, una rabbia interna. La testa era fissa e tesa in avanti, non la muoveva mai. Giovanni non poteva distogliere gli occhi da quella figura, e quando essa disparve dietro la curva ne sentì come la mancanza. E chiese: “Chi è?” “Pietro, e l’asino”, disse Ughetto. “Passano sempre di qui. Domani, se sei qui a quest’ora, di sicuro lo rivedrai. È come un orologio, quello! Seguì un lungo silenzio. L’immagine di Pietro li aveva colpiti tutti. Si alzarono in piedi, uno alla volta, e cominciarono a tirare sassi in mare. Ritornarono a sedere sugli scogli, ancora in silenzio.