10 aprile 2018
Per un semplice intervento all'anca non è necessaria l'anestesia totale, è sufficiente quella epidurale. Così alle 8 del mattino mi trovo in uno spazio molto grande con diversi medici con camici verdi e mascherine bianche proprio come nei film.

Dieci anni fa quando fui operata all'anca destra avevo un anestesista che mi accarezzava e conversava con me. Ora tra me, il chirurgo e i suoi collaboratori solo un telo verde. Sento l'anestesista che, mentre m'infila l'ago in vena, dice: "Ho fatto proprio un bel lavoro, se l'avesse fatto un mio allievo l'avrei sgridato di brutto!". Sono parole che non fanno bene, soprattutto a me; infatti alla fine di una seduta di ago puntura l'infermiera o chi per lei mi lasciò un ago nella pianta del piede. Ricordo ancora lo strano rumore dell'ago a contatto con la calza - crack! Ecco a cosa penso mentre sento il rumore di martelletti e seghe elettriche. Faccio fatica a respirare perché ho il telo troppo vicino al volto. Il chirurgo, in questo anfiteatro adibito a sala operatoria, sta richiedendo un po' di silenzio. Sono sicura che l'esternazione dell'anestesista all'inizio e il richiamo del chirurgo ora sono segni che qualcosa è andato, sta andando, o andrà storto.

L'intervento di protesi all'anca è durato tre ore. Non ho male ma ho una gran nausea. Il chirurgo ha detto a Marcella che ho ossa di cristallo, il loro spessore è di un millimetro. Non riesco più a seguire il ritmo dei miei malanni: mi sono dimenticata di fare i controlli dell'osteoporosi. Continua, iniziata subito dopo l'intervento, la processione degli aghi in vena di ogni ordine e grado, di sacche grandi, piccole, medie che tramite cannule trasparenti portano direttamente, in continuazione, nel mio sangue antibiotici, antidolorifici, vitamine, sali minerali. Ogni sacca ha un suo andamento: a volte la goccia scende lentamente, altre volte è leggermente più veloce. Io le guardo.

Le guardo scendere una a una e mi sento un San Sebastiano - una povera crista - nel suo sudario ancora trafitta da tante frecce. Nel pomeriggio arriva il chirurgo con un'infermiera polacca dai modi bruschi, nel girarmi di lato per togliermi il drenaggio, il tappo nascosto di una cannula preme fortemente in una costola sotto il seno. Il dolore è insostenibile ma non è nulla in confronto all'estirpazione delle cannule dalla carne viva. Caccio un urlo che penso possa far crollare l'edificio. Rimane il male alle costole e la nausea. Può essere l'antibiotico o l'antidolorifico con oppiacei. Non lo so. Io non so più niente e non mi fido più di nessuno. Anche il mio corpo mi ha tradito: "è diventato un nemico pericoloso che finirà per divorarmi".

A occhi chiusi vado a ritroso nel tempo e mi vedo bambina e ragazza fare ginnastica artistica, volare sulle parallele, arrampicarmi sulle corde e sulle pertiche, sono arrivati poi il nuoto, lo sci e la bicicletta. Fino all'altro giorno non mi sono mai fermata. Fino a quando ho potuto - quando ero in buona salute - mi sono curata con l'omeopatia e l'erboristeria. Ho tentato disperatamente di evitare il medico. E quando, non avendo più alternative, ho iniziato a farmi visitare, a volte, spesso, sempre, ho tentato di sedurlo in mille modi. Il mio era un richiamo disperato: "Ho problemi in questa parte qui del corpo, ma sono ben altro. Da una certa angolazione posso essere anche una regina di cuori, di quadri e di picche".

Ma è difficile rimanere una regina e "conservare la propria essenza umana" di fronte a uno specialista che neanche ti guarda e dietro alle sue macchine si concentra in quella sezione del tuo corpo. Sono in rivolta, poi cedo e divento nessuno. E qui non c'entra per niente l'ingegno e la furbizia di Ulisse di fronte a Polifemo. No, corpo e mente mi abbandonano, semplicemente. E scende su di me una notte opaca. Ma una visita è cosa breve, l'intervento invece richiede una lunga degenza. Seguo le gocce della trasfusione, ecco che arriva in vena altro sangue-amico. Panico totale: non avranno commesso qualche errore? Ci sono stati scandali, e se il mio sangue rifiuta questo qui? E il gruppo sanguigno sarà quello giusto? Non ho più voglia di annotare gli eventi sgradevoli di queste giornate interminabili. Non ne sarei in grado perché la nausea mi annienta.

La nausea

Ci sono segni che mi hanno accompagnato tutta la vita, ma ai quali spesso non sono riuscita a dare risposta perché la risposta si consumava insieme all'azione del segno. E dopo lo dimenticavo. Uno di questi è la nausea che è un segno costante nella mia vita. Da bambina il rito pasquale prevedeva una colazione con uova sode benedette dal guscio dipinto, affettati, fegatini, "cresce" salate e dolci, uova di cioccolato e colomba. Per digerire, perché le donne erano già in cucina che preparavano il pranzo, salivamo in macchina e il babbo, che non aveva mangiato nulla, portava noi bambini in auto da Fano al Passo del Furlo. Regolarmente a metà viaggio si insinuava lentamente, mi prendeva a tradimento, la nausea e la sua sensazione mi accompagnava nella strada in salita, nelle curve, nelle brevi discese. Entravo in un altro mondo dove galleggiavo in una palude putrida.

La Pasqua successiva ero la prima a salire nell'auto e quando mio babbo decise, per il mio bene, di non portarmi più in quella gita, dalla disperazione mi arrampicai in vetta all'abete che si innalzava davanti a casa e solo al tramonto riuscirono a farmi scendere. Non era solo questione di cibo, l'odore della benzina mi dava la nausea e i viaggi in auto sono stati per me sempre molto rischiosi. Non furono solo i viaggi in auto. Ci sono stati poi nove mesi di nausea moltiplicati per i miei tre figli. Nove mesi per tre di nausee tremende che iniziavano al mattino appena scendevo dal letto - vomitavo "gli acidi" a digiuno che mi bruciavano la gola - e sempre in questo mio mondo acquitrinoso, carico di effluvi dolciastri andavo al martirio.

Andavo al martirio - al lavoro - con una borsa di ciliegie per la gravidanza di Marcella che si stava assestando per venire a questo mondo e il mio corpo ne era intossicato. O io ero una creatura priva di coscienza - questo sicuramente - o il segno, in questo caso la nausea con tutto il suo carico di enigmi, si esauriva con la sua scomparsa perché poi con la stessa dose massiccia di nausee ho messo al mondo altre due creature. E non furono solo i nove mesi moltiplicati per tre. La nausea, lentamente, si è impadronita, a tradimento, delle mie giornate e all'improvviso è precipitata nell'aria che respiro. Ha rivelato, così, giorno dopo giorno la mia esistenza ingarbugliata dove tutto avviene per caso. Il profondo disagio nel non riuscire ad ascoltare ciò che appartiene alla mia coscienza e ai miei desideri ha preso la forma di una nausea diffusa che partendo dalla mente lentamente invade il corpo e svela il lato oscuro di questo strano presente. Nella mia discesa agli inferi non vi sono immagini, né suoni e nemmeno parole. Niente. Se non fosse per la nausea, potrebbe essere uno stato di grazia.

25 giugno 2018
Ritorno al "semplicissimo" intervento all'anca. Dato che è un intervento di routine la mia reazione può sembrare eccessiva. Eppure a volte ci si avvicina maggiormente alla verità con il sentire piuttosto che con la ragione. Dato l'intervento di routine la mia reazione può apparire eccessiva.

Nel mio braccio sinistro è ancora presente, nella zona in cui l'anestesista ha inaugurato malamente il primo di una lunga serie di aghi in vena, - credo si sia capito che gli aghi mi terrorizzano, anche quelli per cucire, spilli compresi - un pallino che tradotto in termini medici è una tromboflebite. Nella coscia sinistra, nella zona dove è stata inserita la protesi, c'è una protuberanza che deturpa il profilo delle mie gambe che sono ultime testimonianze di un corpo un volta ben costruito ora colpito dall'inarrestabile "caduta dei piani".

Infine, forse per via delle ossa di cristallo, il tappo della cannula violentemente premuto nella zona del seno ha provocato un piccolo versamento pelvico che ancora m'infastidisce. Quando all'inizio del racconto scrivevo: "Sono sicura che l'esternazione dell'anestesista e il richiamo del chirurgo sono segni che qualcosa è andato, sta andando o andrà storto" avevo sentito, nello stesso istante, passato, presente e futuro. Da un altro punto di vista l'intervento è andato bene, cammino dritta come un fuso, ho ripreso la bicicletta, e trascorro molto del mio tempo in terrazzo avvolta dagli infiniti verdi delle piante e degli alberi. Ogni tanto ritorna a trovarmi la nausea e con lei devo regolare i conti, come con una nemica.