Abito da quand’ero bambino in un grande fabbricato costruito ai primi dei primi degli anni Cinquanta, a un piano basso. Dalla finestra del mio studio, pur sporgendomi pericolosamente verso destra, riesco a stento a godere di un minuscolo spicchio del panorama stupefacente e celebratissimo della mia città. So, però, e questo mi rasserena assai, che oltre un gruppo di alti cedri di un giardino confinante c’è la veduta da cartolina, col mare e con le vele sullo sfondo di Capri. Mi consolo godendomi, senza sforzi acrobatici, restando seduto alla scrivania, un terrapieno che ho di fronte e che incombe sullo stesso spicchio si cortile ai piedi della mia finestra.

Sul terrapieno c’è un po’ di verde con alcuni dei miei più fidati amici: un oleandro indifferente al caldo e al freddo che proietta verso di me il fuoco d’artificio dei suoi fiori bianchi; un sempreverde alloro, robusto e vigoroso che dà spettacolo di verdissima vigoria, e il più bello, un vecchio noce che sembra immortale.

Sta là il noce, a testimoniare tenace e puntuale il cambio delle stagioni. È scheletrico e sofferto in inverno, con i suoi rami nodosi e appuntiti, tesi verso l’alto al punto che sembra così vecchio e affaticato da non farcela a superare la stagione fredda. Ma in primavera rinnova il miracolo. Gli vedi spuntare le prime timidissime foglioline e sai che in quindici giorni si caricherà di fronde, diventando quasi un alto palazzo verde densissimo e soffice.

Ma a confermarmi che arriva la primavera è la voce dei ragazzini, anzi le grida selvagge che, dalle quattro del pomeriggio alle otto di sera, hanno libero sfogo perché trovano in quel pezzo di cortile, proprio al di sotto della mia finestra, un ideale campo di calcio. E come tutti i bambini oltre a giocare fanno un tifo sfrenato ognuno per la propria formazione.

Giocano a pallone, come ho fatto io a suo tempo con i miei coetanei, e strepitano proprio come facevamo noi per ogni goal, segnato in indefinibili porte create più dalla fantasia che da qualche possibile segnacolo: ogni goal è sempre vivacemente e clamorosamente contestato da quelli che lo subiscono. E siccome in un due ore di gioco i goal messi a segno da una parte e dall’altra sono per lo più non meno una trentina, il chiassoso vociare è continuo. Giocano col pallone e non lo cambierebbero mai con il cellulare, con la playstation, con nessun cartone animato. Proprio come facevamo noi, settantenni di oggi, ai nostri tempi. La partita a pallone, proprio in questo stesso spazio, non l’avremmo mai lasciata per guardare la pur agognata tivvù dei ragazzi del pomeriggio, per giocare con un trenino elettrico, col Meccano o col Monopoli.

Poi improvvisamente cala il silenzio perché il campo di calcio viene abbandonato. Si portano dall’altro lato del cortile e qualche volta vado a curiosare dall’altra affacciata di casa. Eccoli a gruppetti silenziosi che si scambiano le figurine. Anche loro. Mi sono avvicinato, uscendo di casa un pomeriggio, nel momento di una contrattazione per lo scambio di doppioni. Sono di moda i “Me-contro-te”, che non ho capito bene come funzionano, gli “Amici Cucciolotti, le figurine che salvano gli animali”, prodotte dall’ENPA, Ente Nazionale Protezione Animali e, non potevano mancare, i sempreverdi Calciatori.

Verrebbe da dire che non è cambiato niente da sessantacinque anni a questa parte. Cambiano i temi, cambiano le storie e gli argomenti, ad eccezione degli intramontabili calaciatori. Ma la passione per le figurine è sempre la stessa, intensa allora come ora. Non so se oggi, come ai tempi nostri, esistono figurine rarissime che al mercato della contrattazione dei doppioni si cambiavano con un numero a volte elevato di di figurine meno rare. Ai tempi nostri il faccione del portiere Pizzaballa, chissà perché, era rarissima.

Oggi che la fretta ci perseguita le figurine sono sbrigativamente autoadesive, come sono anche diventati i francobolli. Uno strappo e via sull’album! Ai tempi nostri per incollarle pasticciavamo con la coccoina, sempre portati ad applicare più colla del necessario per cui i nostri album si gonfiavano e si facevano paffuti. Ai tempi i cui anche noi, tanti anni fa, ci appassionavamo con questo collezionismo simpatico e appassionante una bustina costava dieci lire: il ghiacciolo più semplice ne costava trenta, la scatoletta di Chiclet cinquanta. Appena racimolata la somma di trenta o quaranta lire correvamo dal Gigino il giornalaio e ci davamo convegno nello stesso posto del cortile condominiale dove ora si radunano i ragazzini per celebrare il rito dell’apertura delle bustine: con la stessa emozione con la quale si aprono le cinque carte del poker. Delusione per i doppioni, immancabili, e giubilo per quelle nuove! Difficile che i nostri album arrivassero al riempimento di tutte le caselle vuote, perché sul più bello usciva una nuova collezione che attirava di più.

Il collezionismo delle figurine e Il gioco del pallone praticato in tutti i possibili spazi liberi, alla faccia del progresso tecnologico, continuano imperterriti a tenere saldo un filo saldissimo di continuità tra l’infanzia della generazione degli odierni settantenni e l’infanzia di questo primo scorcio di terzo millennio. Peccato, per noi che siamo ai piani bassi, che la contrattazione per i doppioni, sussurrata e bisbigliata, salvo rarissimi litigi, sia assai più breve della clamorosa partita. E le proteste degli anziani rompiscatole, come me fissati col silenzio, contro queste fragorose dispute calcistiche, sono rimaste identiche dalla metà degli anni Cinquanta ad oggi, puntualissime all’arrivo della primavera come le foglie del mio amico noce.