Pensavo al grande chef francese Jerome Bugnac mentre salivo le scale per raggiungere la casa di Carmine e a quella sua abitudine di salire ogni sera alla stessa ora, a piedi, le scale fino al suo appartamento al settimo piano di rue de Martigny a Parigi.

Del motivo non aveva mai fatto segreto, raccogliere tutti i profumi provenienti dalle case all’ora di cena per attizzare al massimo il suo già robusto appetito. Si sbagliava! O meglio si limitava, perché da noi a Napoli, quando si parla di cibo contano molto anche i suoni, le voci, soprattutto di bambini, i rumori all’interno delle case, rumori di posate e piatti smossi su tavole apparecchiate alla sera, come ogni sera. Nell’androne al secondo piano vengo investito da un intenso profumo di calamari fritti e da un rumoroso diverbio con tanto di lancio di oggetti. Affretto il passo e salgo al successivo, lì è il minestrone di verdura a farla da padrone sovrastato dal sonoro di una televisione al massimo volume. Al quarto piano l’aroma del caffè segna la conclusione del pasto. Il volto di una ragazza appare nell’oscurità del ballatoio illuminato dalla luce azzurrina del telefono.

Forse si sente osservata, scompare. Chissà Carmine cosa mi ha preparato, di solito lui si destreggia bene ai fornelli ma prima ancora ama fare la spesa nei negozietti de quartiere – dove inizia delle interminabili e a volte surreali conversazioni. Speriamo bene, perché ieri al telefono non sembrava in gran forma, pare che Nunzia se ne sia andata e la cosa sia seria. "Dai, se vieni ti faccio la pasta con i friarielli" mi aveva detto cercando di rassicurarmi, "Ho due bottiglie di Falanghina, un filone di pane cafone e una mozzarella che è così bella che pare benedetta dal Signore. Se vieni, lo sai, mi fa piacere e puoi rimanere anche a dormire. Sono solo, Nunzia non c’è, sta incazzata. Domani ti racconto". Eccolo Carmine, mi apre la porta abbozzando un sorriso sul viso teso e pallido. "Ciao Carmine! Allora? Che succede?" esordisco mentre lui indietreggia facendomi segno di entrare. "Cose pazze, cose pazze" mi dice. "Vieni sopra che ne parliamo".

Insieme saliamo una ripida scala a chiocciola che porta a un locale cucina con terrazzo e vista sui tetti. Il cuore della casa. Salendo riconosco un forte odore di aglio fritto che quasi mi commuove. Ci sediamo a tavola. Viene aperta la prima bottiglia, i calici riempiti e svuotati due volte tra sghignazzi e frasi stranamente impacciate, poi, improvvisamente, il racconto parte fluido. "Eravamo tutti qui ieri sera, i vecchi amici, ti ricordi Vito e Carmen? No non si sono lasciati, stanno ancora insieme. E poi c’era la sorella di Nunzia con il suo ultimo fidanzato, Michele e Salvatore e una loro amica, una certa Grace, una turista inglese che hanno conosciuto in costiera l’altro giorno. Un bel tipo, sai come sono le inglesi no? Tutte composte e impettite. Però parlava italiano". Carmine si volta e con gesto deciso passa i friarielli dal lavandino al tegame con l’olio caldo creando una nuvola di vapore. Poi infila due dita in un vasetto di vetro cercando le acciughe rimaste e afferratele, le butta in pentola. Ci versiamo dell’altra Falanghina. Tutto cresce, appetito e curiosità.

È successo che io e questa Grace abbiamo cominciato a guardarci, insomma ci siamo stati simpatici da subito. Giusè, tu lo sai che io le donne le ho sempre guardate ma, da quando sto con Nunzia, mai più toccate. Stiamo insieme da 16 anni e ancora oggi, ogni notte, ci addormentiamo abbracciati a conchiglia. Eppure, Giusè, quell’inglese ha cominciato a intrigarmi, avresti dovuto vedere come sgusciava i gamberoni, sembrava che rallentasse i movimenti apposta per potersi leccare le dita più a lungo. Che pasta vuoi? Ho degli spaghetti o dei paccheri. Insomma, a un certo punto della serata l’inglese dice sono stanca, vado a casa. Nunzia si alza di scatto e si offre per accompagnarla alla porta ma, non ricordo come, riesco a impormi io e così dopo i saluti scendiamo di sotto ed entriamo in camera dove, sul letto, ci sono ammonticchiati giubbotti e cappotti. Lei indugia un attimo e poi afferra una giacchetta di pelle nera con il collo di pelliccia e se la infila. Sento il suo profumo. Non ci perdiamo di vista un attimo. Improvvisamente mi prende intorno al collo e mi tira a sé e comincia a frugarmi con la mano e poi mi dice "Scopami!". Giusè, credimi, l’ho sentita la voce che mi diceva Carmine cosa cazzo stai facendo, ma non ha insistito, anzi si è affievolita subito coperta dai gemiti di Grace e dai suoi incitamenti. Non mi sono neppure calato i pantaloni in un attimo ero dentro di lei, risucchiato in un vortice di piacere doloroso e bruciante.

Quando sono tornato in cucina Nunzia ha iniziato a squadrarmi sospettosa, poi mi ha chiesto "Tutto bene Carmine?" io ho detto sì, sono solo un po' stanco, ma era evidente che lei aveva fiutato qualcosa, forse già da ore, di fronte a me, a tavola, aveva captato qualche frammento della conversazione mia e di Grace, o chissà, magari notato qualche particolare lucentezza nei nostri sguardi complici, fatto sta che è andata avanti a farmi domande sempre più imbarazzanti e la tensione a tavola si è fatta palpabile.

Vito ha cercato maldestramente di deviare il discorso con una inopportuna barzelletta su corna e cornuti. L’ho odiato. Nessuno ha riso. Solo che io ho cominciato a balbettare e a gesticolare e si è rotto un bicchiere pieno di vino rosso. Giusè, vedere quella macchia rossa sulla tovaglia bianca mi ha fatto male. Ho sentito che dovevo prepararmi al peggio. Nel giro di pochi minuti tutti gli amici se ne sono andati, qualcuno senza neppure toccare la propria porzione di caprese tagliata fresca sul piatto. Un fuggi fuggi generale.

"E poi? Che è successo dopo?" ho chiesto io con un tono di voce pieno di sincera apprensione. "Ho trovato Nunzia che piangeva distesa sul letto, lo stesso letto sul quale venti minuti prima mi rotolavo con Grace. Mi sono sentito una vera merda e non ce l’ho fatta più, le ho raccontato cosa era successo consapevole di perdere nel medesimo istante la compagna di una vita. Nunzia ha urlato come un animale ferito, ha scaraventato a terra dei libri, ed è uscita dalla stanza. Ho sentito un frastuono di vetri rotti provenire dal bagno e il rumore della porta di casa sbattere con inaudita violenza. Da quel momento non l’ho più vista né sentita. "Cazzo Giusè, come ho potuto fare questo?" "Mi dispiace Carmine, mi dispiace per te e per voi. Ti vedo molto provato, che ne dici se ne parliamo domani dopo una bella dormita?". "Sì, forse hai ragione, sono ancora confuso. Ho passato tutto il giorno a girare a vuoto per la casa, cercando di mettermi in contatto con Nunzia. Andiamocene a dormire. Ma un caffè non lo vuoi? Ho anche il limoncello fatto in casa da Rosaria. Te la ricordi Rosaria? La figlia di Tonino, quella che stava ai bagni a Capri e... Ok, ho capito. Andiamocene a dormire, va' ".

La mattina successiva mi sono svegliato all’alba con quella sensazione di spaesamento che amo e che mi prende quando non dormo a casa mia: ritrovarmi in un letto diverso e per qualche minuto non capire dove sono, quale piacere! Ho spalancato la finestra della camera e sono rimasto in mutande a guardare fuori mentre dal vicino convento di S. Annunziata giungeva un deciso suono di campane mescolato a rumore di traffico caotico proveniente dal porto. Il mare non si vede ma si sente. Il cielo sopra i tetti ne capta una luminosità lontana che si traduce in chiarezza sottile, mentre stormi di gabbiani appaiono e scompaiono con manovre acrobatiche e versi striduli e malinconici.

La casa dei miei amici Nunzia e Carmine è un vero gioiello, passano gli anni e conserva intatto tutto il suo fascino. "Buongiorno Giusè, che fai? Il mattiniero?" Mi giro e c’è Carmine tutto sgarrupato e senza occhiali che mi viene incontro con indosso una elegante vestaglia di lana leggera stampata con motivi scozzesi in blu e verde. "Ieri sera non ti ho neppure chiesto come stai? E i tuoi figli? E Laura? L’ho vista in televisione un paio di volte, lanciatissima. Si capisce che l’intellettuale di casa è lei, mi pare un po' sprecata in politica, no? Caffè?"

Guardo Carmine e prima di rispondere noto che tiene in mano una grossa tazza di ceramica piena fino all’orlo di un liquido biancastro, fumante. "Ma che stai bevendo?" "Thè con latte", mi risponde prontamente. "Guai se ogni mattina non ne bevo almeno tre tazze piene, senza non potrei affrontare la giornata. Penso di essere l’unico abitante di Napoli che non ama il caffè. E tu non sai per quanto tempo mi sono sentito sbagliato per questo. Anche Nunzia quando voleva punzecchiarmi mi diceva che mi atteggiavo a vecchio snob inglese... E c’è di più, d’inverno uova, pancetta croccante e toast imburrati in questa casa almeno due volte a settimana, al mattino ovviamente. Perché mi guardi così?" "No, niente, la trovo una cosa assolutamente singolare. E non la sapevo". "Comunque c’è una ragione per tutte le cose e io credo di aver risolto il mistero. È successo proprio recentemente. L’anno scorso è mancata nonna Assuntina, novantotto anni vissuti tutti, fino all’ultimo, io e mio fratello Michele. C’è voluto un mese per svuotare la sua casa, te la ricordi la sua casa? Ci andavamo da piccoli, proprio a ridosso di Piazza Plebiscito. Un appartamento immenso pieno di capolavori ma anche di cianfrusaglie. Aveva sette gatti, ti assicuro che anche solo sistemare quelli... Insomma, ti dico, in mezzo alle carte ho trovato un pacchetto di lettere vecchie legate strette con dello spago. Stavo per fare il gesto e buttare tutto nei rifiuti ma qualcosa mi ha trattenuto e ho deciso invece di portare tutto a casa dove con pazienza certosina ho separato le buste e soprattutto alla fine ho potuto accedere a una interessante corrispondenza di un mio antenato, datata 1820. Ora che ci penso ne parlavo a Grace proprio l’altra sera... Capri, Napoli, Londra, le vite un tempo erano dei veri e propri romanzi. Ah, vedo che ti stai appassionando, non ti dico come mi sentivo io quando ho scoperto dell’esistenza di un certo Don Antonio Del Ponte, un notaio napoletano di bassa statura ma - scopriremo - di larghe vedute. Il Del Ponte non più giovane trascorre molti mesi all’anno a Capri dove ha una villa e dove va a servizio una certa Anna Maria, tredici anni, nessuna traccia del cognome, evidentemente di origini umili - un tempo le bambine venivano mandate a lavorare nelle case nobili pur di avere qualche speranza di sostentamento. In effetti il Del Ponte si affeziona, nelle lettere ci sono spesso dei conti con numerose voci 'regalo A.M.'."

"Nell’estate del 1821 giunge sull’isola uno dei tanti viaggiatori inglesi impegnati nel Gran Tour lungo la penisola, si chiama John Godwin, il rampollo di una ricca famiglia londinese, di animo nobile, con una spiccata passione per la pittura di paesaggio ad acquarello. L’incontro tra John e Anna Maria avviene casualmente lungo una stradina che fiancheggia una grande limonaia. Anna Maria lo ricorderà in uno scritto molto posteriore con le seguenti parole: '...mi colpì di lui il suo corpo asciutto, per niente atletico e il suo portamento nobile. A differenza degli uomini dell’isola, aveva la pelle molto chiara e soffriva in caso di lunga esposizione al sole. Non avevo mai visto prima degli occhi così blu. Inizialmente potevamo comunicare solo con sorrisi e gesti, io gli donai un cesto di limoni e dei grossi capperi, lui fece per me un piccolo acquarello che, lo ricordo ancora oggi, conservai gelosamente dentro la camicetta per sentirlo più possibile vicino al cuore'. Non si capisce quanto tempo i due riuscirono a frequentarsi certo è che a un certo punto John volle ripartire. Fu allora che Don Antonio, che già aveva notato degli strani comportamenti nella ragazza, venne a conoscenza della situazione e soprattutto dello stato interessante della ragazza. Non si scompose, parlò con la ragazza disperata e poi prese carta e penna e ammonì il Godwin chiedendogli di rinunciare a qualsiasi diritto o rivalsa rispetto alla donna e al nascituro. Lui l’avrebbe riconosciuto come suo, sarebbe stato un Del Ponte e ciò che conta avrebbe sposato Anna Maria. E così fu".

"Ma allora il famoso trisnonno Onofrio ebbe come padre un inglese?" Non resistetti e cominciai a incalzare Carmine... "Sì, il trisnonno Onofrio, ufficialmente figlio di Antonio, ebbe in realtà un padre inglese". "E la casa con vista sui faraglioni?". "Quella è rimasta sempre la casa di famiglia. E guai a chi la tocca!". "Insomma, fammi capire, mi vuoi dire che la tua passione per il thè col latte e la pancetta croccante ha origini genetiche" chiesi senza riuscire a trattenere un sorriso. "Non posso provarlo ma ciò che si eredita dagli antenati è molto di più di quello che pensiamo...". "Ma allora anche l’incontro con Grace potrebbe essere successo..." Non feci in tempo a finire la frase. Carmine mi guardò serio e mi disse: "Taci che mi ha telefonato dieci minuti fa, ha detto che questa mattina passa, che mi deve parlare...".