Si vede tutto dallo sguardo, dicono. E c’è da crederci, quando si incontrano persone come Vincenzo.

Classe 1940, testa, spalle, braccia, mani, tutto possente, generoso, autentico: un vero uomo del Sud. Quando lo vedo mi viene incontro e sorride, mettendo in vista un paio di denti d’oro, ed è tutto il viso a sorridere, tutto un chiarore ad ammantare la sua presenza.

Vincenzo parla spesso del suo paese in Lucania, lasciato all’età di diciassette anni per raggiungere uno zio al Nord che gli aveva promesso prosperità e benessere. Ormai è passato molto tempo da allora ma la luminescenza di quei suoi occhi blu è la stessa che si intravede nella foto sgualcita che Vincenzo tira fuori dal portafoglio ogni volta che racconta la sua storia. Il ragazzo magrissimo che mi guarda da quella foto porta una coppola simile a quella del signore maturo di oggi ma invece di nascondere la pelata trattiene con difficoltà una chioma riccia e scura. Il sorriso invece è identico, intatto.

Quei due sguardi sovrapposti hanno il potere di rendere ancora più evocative le parole. Riaffiorano le immagini della sua vita laggiù: il racconto, in un italiano curioso, inframezzato da espressioni dialettali, si trasforma in un mantice che soffia sulle braci dei ricordi. Vien da pensare che tutta la forza e la luce provengano essenzialmente da lì, da quelle esperienze vissute nei primi anni di vita. Senza quel tesoro segreto Vincenzo probabilmente non sarebbe sopravvissuto emotivamente di fronte all’immensità spettrale della Stazione Centrale nella notte o alle nebbie misteriose della pianura o allo sferragliare assordante della catena di montaggio in fabbrica. Si stenta a credere come uno come lui, così puro, abituato alle stellate estive e alla linea netta del mare all'orizzonte sia riuscito ad adattarsi a questa vita. Eppure è successo e i mesi sono diventati anni.

Ha incontrato Teresa, la ragazza che è diventata sua moglie e a seguire la nascita dei due figli, l’acquisto della casa in una palazzina di periferia, il lavoro nella grande fabbrica, raggiunta i primi tempi in bicicletta, poi condividendo l’auto con i colleghi e finalmente nella primavera del '65 con la prima automobile di proprietà. Anni di lavoro senza mancare un giorno anzi, spesso aggiungendo straordinari a straordinari per risparmiare e poter dire ai propri figli: ecco i soldi per studiare, per viaggiare, per poter realizzare i vostri sogni.

Il racconto di Vincenzo è scarno, netto, come certe ombre del Sud, poche immagini, sempre le stesse. Mi sembra di vederlo questo uomo cresciuto in una realtà rurale rimasta intatta per secoli, mentre si ritrova a fare la spesa in un centro commerciale caotico nel sabato pomeriggio, coppola in testa, mani enormi che tengono salda la barra del carrello come il vomere di un aratro e il carrello che si riempie di sacchi di pasta, di pallide verdure incellofanate, di bottiglioni di vino, di merendine. E ancora me lo immagino nel cucinino stretto della sua casa, la televisione accesa, i figli rumorosi, il calore del riscaldamento centralizzato che appanna i vetri mentre fuori ci sono strade illuminate, congestionate di auto e persone in preda all'ansia della vita.

Scopro anche dai racconti di Vincenzo che la madre ultranovantenne vive, ancora oggi, sola nella casa di famiglia, in paese, senza riscaldamento. Un locale per dormire e la cucina, grande, dove su un vecchio tavolo, ogni giorno, la donna prepara per sé la pasta fatta a mano. "Da mangiare c'era" mi ripete Vincenzo "C'era il lavoro nei campi, c'erano le bestie. Nient'altro". "Il primo paio di scarpe io l'ho ricevuto poco prima di partire, me lo diede il prete che si chiamava come me. Prima, nella mia famiglia, tutti giravano scalzi. Anche la battitura del grano la facevamo a piedi nudi, sopra a una grossa pietra, fuori dal paese. Per noi piccoli era una festa".

Oggi Vincenzo è in pensione, la moglie è morta recentemente dopo una lunga malattia, i figli sono grandi, indipendenti. Mi capita di vederlo quando vado a trovare degli amici in un cascinale a pochi chilometri da Milano. So dove trovarlo, è nelle stalle. Gli hanno offerto tempo fa un lavoro part-time che lui ha subito accettato. Persone come Vincenzo non possono stare a casa con le mani in mano. Quando lo incontro lo invito immediatamente a bere un goccetto. Lui si siede, si toglie la coppola, l'appoggia sul tavolo e si mette a cercare la vecchia foto di lui ragazzo perché senza quella non si fa nulla. Bere vino insieme a lui è un pretesto per raccontarsi.

“Il vino è sacro” mi dice stringendo il bicchiere che in proporzione alla sua mano sembra in miniatura. “Il vino guai tenerlo in casa o, come si usa qui, nel box magari insieme all’auto e alla scorta di detersivo”. “Così non va bene" insiste, cercando nel mio sguardo un cenno di approvazione. “Va lasciato tranquillo, lontano dalla vita degli uomini! Giù al paese i vecchi lo tengono addirittura a tre/quattro chilometri dalle case, protetto in grotte scavate nel tufo. Solo così invecchia bene. Certo va controllato. Infatti è tradizione che gli uomini, tornando dai campi, si fermino sempre a dare un’occhiata. Dai soffitti nelle grotte pendono scamorze e salsicce piccanti, il pane da qualche sacca salta poi sempre fuori, insomma, ci si ferma volentieri un’oretta o due a chiacchierare”. “Vincenzo, ma non è che gli uomini hanno trovato così la scusa giusta per ritardare il ritorno a casa e l’incontro con le loro mogli? Ci sono certe donne di carattere dalle tue parti...” aggiungo io, pungolandolo affettuosamente. Vincenzo ridacchia in silenzio.

Dal bicchiere di vino al piatto di pasta il passo è sempre breve. Apparecchiamo la tavola, un tegame con due grossi pomodori tagliati, aglio e basilico è già sul fuoco. Si fa un nuovo giro di vino aspettando il bollore dell'acqua. Vincenzo è stata per lungo tempo l’unica persona che ho visto mangiare la pastasciutta usando la forchetta con la mano destra e tenendo contemporaneamente stretta nella sinistra una grossa pagnotta. Qualche giorno fa mi è capitato di vederne un’altra: un ragazzo di nome Buba, 17 anni, ospite in un centro d'accoglienza. Partito dall'Africa sub-sahariana ha attraversato il mare per raggiungere uno zio che sta a Milano che gli ha detto vieni, il lavoro e il futuro sono qui.