Edizioni a tiratura limitata, riedizioni d’editori illuminati quando i discendenti di mio nipote non possiederanno più i diritti. Non ambisco a rendere ricco quel bambino.

Voglio contribuire alla formazione dello spirito critico del piccolo Jack e di quei pochi che leggeranno il mio lavoro.

Ho avuto buoni maestri, ne ho eletto qualcuno a modello inconsapevole. Mai un vero mentore. In parte ha a che vedere con la mia natura indomita, che mal si presta alle lezioni, in parte alla grandezza di quei maestri, che mi hanno indicato la via senza pretendere di accompagnarmi.

Sebbene ripudi la scuola nel suo ruolo d’istituzione paternalista e conformista e odi la sua funzione di livella sociale, non posso evitare di citare i nomi delle persone che hanno contribuito a innamorarmi delle parole e della mia lingua, dell’arte e della poesia.

La maestra Anna alle elementari esprimeva in un rapporto unitario fra errori e ceffoni le sue aspettative su di me. Imparai a leggere e scrivere.

La prof. Ottonello alle medie mi incise a fuoco l’ippocampo con ortografia, grammatica e sintassi.

Il mitologico Ciccio Improta provvide a fornirmi gli strumenti critici e a incoraggiare il gusto per letteratura e cinema, ma soprattutto mi spalancò le porte della poesia attraverso la sua perizia indefinibile, l’erudizione profonda e il talento pedagogico. Gli sarò grato in eterno, nessuno avrebbe potuto sostituirlo.

Lucio ha curato tutte le mie mostre d’arte visiva dopo avermi insegnato la storia dell’arte con metodo avanguardistico e accattivante, un ingegno d’altissimo livello.

Paolo e Ida mi hanno fornito chiavi magiche, hanno poi tentato di salvarmi da me stesso per un po’, ma hanno realizzato prestissimo che avrebbe richiesto tempo di cui non disponevano.

Mi alzo ogni mattina per lavorare in ufficio gomito a gomito con mio padre. Conto, incasso, conto, pago, conto. Pecunia non olet? Riconosco a Vespasiano la delicatezza olfattiva, ma di certo non ha mai respirato le banconote di piccolo taglio d’un fornaio o d’un formaggiaio. Ho rubato il mestiere a mio padre per osmosi, l’orecchio sempre teso a ragionare sulle conversazioni telefoniche e i dialoghi con i condomini. Ho posto poche domande precise, quando non avevo scelta, su aspetti nevralgici del lavoro. Tuttora mi appoggio a Fabrizio, nostro amico e collaboratore, se un dubbio m’interrompe.

Nando Trabattoni è stato il mentore di mio padre, un uomo gioviale, colto, molto intelligente. Ricordo gli ultimi anni della sua vita, ero un bambino quando morì, non era molto anziano. Pio oltre ogni limite, frequentava regolarmente la parrocchia di San Nicola e insieme alla moglie si occupava di beneficienza, era presidente onorario della Croce Rossa.

L’unica occasione in cui vidi piangere mio padre fu al suo funerale. Ne ha sempre parlato con infiniti affetto, rispetto e devozione. La scuola di Nando ha rappresentato la fortuna professionale di mio padre.

Quand’ero bambino mi educarono al catechismo e frequentai la chiesa finché non ebbi modo di scegliere per me, dopo la cresima. Il termine “giusto” riferito a una persona retta aleggiava spesso sulle teste di noi bambini durante i pasti in famiglia. Il “giusto” per antonomasia era Nando. Egli fu protagonista di un miracolo. Amava molto la buona cucina e ripeteva spesso che sarebbe voluto morire dopo pranzo, con un bicchiere di vino in mano. Fu esattamente ciò che accadde una domenica pomeriggio del millenovecentoottantanove. La povera moglie, per un istante, pensò che si fosse chinato sotto il tavolo nel gesto ironico di controllare se il bicchiere fosse rotto, ma lui si era accasciato in preda a un infarto.

Eravamo vicini di casa ed Elsa si precipitò a prendere a pugni la nostra porta, disperata. Ricordo l’eco di quei tonfi sul legno ancora oggi. I miei genitori ci intimarono di non entrare e corsero a tentare di prestare soccorso a Nando, ormai in preda al rantolo terribile della morte. I visi degli adulti intorno a cui gravitavamo furono bui per molto tempo, nonostante tentassero di simulare serenità con noi bambini.

La storia di Nando il Giusto resterà incisa sempre nella memoria ed è l’unico aneddoto agiografico che abbia mai messo in crisi il mio misticismo. L’uomo che aveva scelto come vivere ed era morto esattamente come aveva scelto.